30 maggio, 2011

Felicità, essere e tempo

L’insopprimibile anelito alla felicità che alberga in ogni uomo è forse il segno di una nostalgia, di una condizione contraddistinta da una perfezione primigenia. Chi e perché ci strappò da quello stato che cerchiamo disperatamente come ciechi che brancicano nel buio? Esiste la felicità o è solo una chimera? Perché è connaturata all’essere umano la ricerca della serenità? Sono domande che sono destinate a restare senza un responso soddisfacente, almeno nell’arco della nostra breve vita.

Un quesito cui, invece, è più facile replicare verte sulle circostanze che possiamo considerare elargitrici di gioia. Se, come notava Schopenauer, non sappiamo veramente per quale recondita ragione tendiamo verso obiettivi che ci donano un per quanto effimero appagamento, siamo consci di quanto siano gratificanti certi risultati. Il ricordo, sia pure sfocato, di quei piaceri ci sprona a ripercorrere le strade che menano al soddisfacimento. Sono strade – è arcinoto – disseminate di sassi roventi e di spini, ma tant’è…

Uomini simili a bruti perseguono solo la voluttà dei sensi, mentre le persone di natura elevata aspirano a ben altre mete, al nutrimento dell’anima. Le situazioni intermedie sono numerose. Gli Ottentotti, in fondo, desiderano prolungare indefinitamente certe sensazioni gradevoli, laddove gli “spiriti magni” vedono proprio nel tempo l’inciampo, adoperandosi per trascenderlo e negarlo. L’estasi di Plotino ed il nirvana sono proprio superamenti dei limiti spazio-temporali in cui è serrata l’esistenza.

Che cosa pensare dunque di quelle chiese che promettono una felicità eterna ai giusti in una terra rigenerata, ma pur sempre su questa terra, attraverso una vita idilliaca e serena, situata nello spazio e nel tempo? Mi pare una prospettiva poco desiderabile: non subentrerebbe ad un certo punto la noia? Anche qualora quella vita paradisiaca fosse allietata da mille delizie ed animata dal desiderio di studiare le meraviglie della natura, si gusterebbe, primo o dopo, il sapore stucchevole del già noto, a meno che tale stato non combaci con un flusso inconsapevole, ossia con una felicità dimentica, ignara di sé stessa, un po’ come quella degli animali che non provano la sofferenza legata alla coscienza di esistere. Suprema contraddizione: si è felici solo se non si sa di esserlo.

Vivere per sempre? Certo, Ziusudra tentò in ogni modo di carpire agli "dei" il segreto dell’immortalità, ma forse gli uomini sono più felici degli dei proprio perché mortali. Paradossalmente la felicità prospettata da taluni diverrebbe una condanna.

Antitetica è, ad esempio, la concezione della felicità in Dante che considera la beatitudine un pieno adeguamento alla volontà di Dio. Il Paradiso è luogo che è un non-luogo, un tempo che è un non-tempo. La beatitudine, ineffabile stato, è sull’orlo del non essere.

Chissà, forse l’unica vera felicità concessa all’uomo, creatura curva sul dolore e sull’angoscia, è l’estinzione, il nulla. Quante volte abbiamo desiderato spegnerci! Inutilmente. Eppure se la felicità non è l’annientamento, abita nelle regioni limitrofe dell’oblio, del silenzio, della lontananza infinita dal mondo.

Infine l’unica vera ricompensa per aver tanto patito e sopportato invano, potrebbe essere il niente… meglio di niente.


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11 commenti:

  1. è vero, quel vuoto rappresenta la nostalgia di 'casa'.... :) ma è anche vero che ci siamo allontanati per *nostra* scelta, così da tornarvi e poter raccontare dell'incredibile viaggio....

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  2. Sì, theyogi, "nostra" va virgolette. Speriamo che il nòstos non tardi.

    Ciao e grazie.

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  3. Messaggio per coloro che hanno difficoltà nel postare commenti (Blogger redirige alla pagina di login a ciclo continuo).

    Probabilmente abbiamo risolto optando per la soluzione "commenti nella finistra di popo up". In questo modo, non facendo ricaricare la pagina, si scavalca l'ennesimo "problema tecnico" della piattaforma.

    Ora troverete il link per commentare in fondo alla pagina con i commenti.

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  4. Aveva ragione nostra cugina, che perse il padre anni addietro (anche lui per tumore), che col tempo si soffre ancora di più. Purtroppo è così. Si deve accettare l'assenza di papà, ma non ci si rassegna facilmente, anche perché, malauguratamente, si ricordano benissimo tutti gli episodi di sofferenza e si ricordano bene le prime avvisaglie, malauguratamente prese sotto gamba (grazie anche ai medici) e non si riesce a farsi venire in mente un solo episodio felice. Tutto cancellato dal dolore suo e nostro. Brutto davvero, ma è così.

    Allora che cos'è la felicità se non l'assenza del dolore? Ma il dolore è presente, per cui la felicità non può esistere. Non almeno in questa vita. Ben venga un aldilà senza dolore e ben venga la noia. Almeno non dovremo lottare per vivere!

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  5. Condivido Straker, il dolore non si cancella mai, dura nel tempo e nello spazio, si sente di giorno, di notte, mentre dormi e nei sogni.

    Se si può parlare di felicità, la si può solo riscontrare in pochi momenti della vita, una manciata di secondi nell'eterna lotta contro il dolore che ci sovrasta, ci attanaglia e non ci lascia mai.

    Si! Meglio una noia dell'aldilà, che soffrire in un corpo dalla nascita fino alla morte, una strenua lotta, par la sete, per la fame, per il freddo e il caldo, per l'amore, per il rancore, l'invidia, la gelosia, la cupidigia, la lussuria, e potrei andare avanti all'infinito.

    Questa è la crudeltà dell'essere e della materia, un disegno perverso del demiurgo, volto solo a soddisfare un suo capriccio.

    wlady

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  6. Io sono dell'idea che la noia a lungo andare diventa la peggiore delle torture, peggio di una vita di sofferenza con la consapevolezza però che un giorno avrà fine. L'eterna noia è ciò con cui ci accoglierà il diavolo al posto del dolce tepore dei fuochi infernali. I pochi che saranno invece accolti nel regno di Dio riceveranno il nulla eterno, il nirvana, verranno finalmente liberati dall'oppressione dell'io e saranno finalmente liberi, liberi dalle sofferenze, liberi dalla noia, liberi dalla felicità.
    Spero solo che non esista un essere tanto sadico da decidere dove ognuno di noi sia destinato ad andare dopo la morte, spero solo che la nostra natura ci permetta di scomparire quando non c'è più la vita, spero che ci abbiano programmato per esistere solo su questa terra senza prolungamenti in altre dimensioni. Quale stolto preferirebbe essere cestinato per l'eternità in un paradiso piuttosto che essere eliminato definitivamente?

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  7. Nel mio piccolo mi chiedo:_ che sapore avrebbe una "conquista" se fosse priva di qualsiasi patimento?
    Il dolore è compagno di vita, almeno quanto la certezza che non vi sia solo questo per noi.
    Ciò perchè la felicità e la serenità esistono davvero, sta a noi scoprirle e coglierle.

    Grazie, ciao.

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  8. Antonio, hai ragione. E' quindi una questione di sovrabbondanza di dolore che può portare solo alla pazzia. La felicità - scrive Blake - è nello spazio tra due attimi: esiste, ma è pressoché inafferrabile ed effimera.

    Ciao e grazie.

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  9. Death Kneader (alias...), una vita è più che sufficiente: la noia non è meno detestabile del dolore. Il nulla si sconta vivendo? Veniamo dal nulla per precipitare nel nulla? Forse. Forse è bene sia così.

    Ciao

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  10. Wlady, concordo con te. La felicità è simile ad una goccia di pioggia in un deserto arido e rovente, una goccia che cade una volta l'anno, non di più.

    Ciao e grazie.

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