06 maggio, 2011

L'Arte

Un tale – è Cicerone a riportare l'aneddoto - voleva insegnare a Temistocle, il fondatore della talassocrazia ateniese, l'arte della memoria. Temistocle non mostrò interesse: "Mi useresti un piacere di gran lunga maggiore, se mi insegnassi a dimenticare, piuttosto che a ricordare ciò che desidererei non ricordare." Saggia risposta quella dell'uomo politico. In verità non è solo auspicabile obliare gli affronti, come chiosa l'Arpinate: bisognerebbe imparare l'arte dell'oblio per cancellare quelle memorie (errori, sventure, incomprensioni, affanni) che assediano il presente.

Sebbene l'inglese sia ritenuto una lingua profana, alcune incursioni semantiche in tale idioma ci offrono motivi di riflessione: così che cos'è la dimenticanza, se non un conseguimento eccelso, una conquista gloriosa? Per questo motivo in inglese scordare è (to) forget, ossia ‘prendere, ottenere assai’ (il prefisso “for” ha valore intensivo). E' solo apparente il paradosso: molto stringe chi tutto perde, chi si lascia dietro di sé lo strascico tetro, fallace dei ricordi. Tra l'altro (to) forget è costruito secondo lo stesso modello di (to) forgive, omologo di “perdonare”: perdonare, infatti, è un donare molto, implicando un'elargizione di sé che è nobiltà d'animo.

Come apprendere dunque l'arte dell'oblio, dacché le rimembranze ci attorniano per espugnarci? Un ricordo assale il baluardo della coscienza, un altro le tende un'imboscata, un altro, muovendosi di soppiatto, entra da una breccia delle mura, un altro le dirocca, un po' alla volta, per penetrare nella cittadella...

Le reminiscenze sono in ogni dove. Scrutano, bisbigliano, fluttuano, quando non strattonano o non scaraventano nell’abisso del tempo trascorso. Là è un libro, qui un volto, lì un profumo, quivi una voce, ora è un sapore, talvolta è un brivido... Viviamo in un labirinto di memorie, tra riflessi di ombre ed ombre di larve. Né il sonno, con i suoi sogni pregni di esperienze, ci dà requie: durante la notte, anzi le ricordanze, trasfigurate in immagini emotive, ci turbano con in più quell'alone enigmatico che sfida il tentennante raziocinio.

Qualcuno scrisse che "un ricordo del dolore è ancora dolore, mentre un ricordo della gioia è dolore": è così, sebbene la qualità della sofferenza cambi. Cambiano il timbro e lo spessore: anche i patimenti appassiscono. Perché dovremmo, novelli Enea, rinnovare la pena con la rievocazione? No. Meglio tacere, quand’anche scordare significasse tacitare il cuore. L’oblio diventi obl-io, cancellazione dell’io caduto-caduco. Nel silenzio e nell'amnesia è il fuoco della speranza.

Che cosa saremmo senza le memorie, senza il solco del passato? Nulla. Ce ne dorremmo?



APOCALISSI ALIENE: il libro

4 commenti:

  1. Già ... la memoria e il passato, ci sono momenti nella vita in cui qualcuno ti manca così tanto che vorresti proprio tirarlo fuori dal passato dei tuoi sogni per abbracciarlo davvero!

    A volte ci si mette nei panni dell'altro e ... ti ci senti stretto stretto, ma probabilmente anche loro si sentono così.

    Si dice che: quando una porta della felicità si chiude se ne apre sempre un'altra, ma parlerei più del dolore che della felicità, del patimento e non della gioia, si guarda sempre quella porta che si è chiusa, e ... mai quelle che si aprono.

    Finisco con una citazione di Barbara Young:
    "Il bene non possiamo farlo, perché è il respiro stesso dell’universo, ma possiamo scegliere di respirare e vivere in esso e con esso".

    wlady

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  2. Wlady, il detto secondo cui, chiusasi una porta della felicità, se ne apre un'altra, mi pare una mera frase consolatoria. Sarà... A proposito di porte, mi viene in mente un disincantato verso della Merini: "Bussate e vi sarà chiuso". Spesso è così, purtroppo.

    I ricordi ci aiutano a creare una prospettiva: senza la memoria la vita si appiattirebbe.

    Ciao e grazie.

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  3. Spesso i ricordi ci tormentano, e viene da chiedersi se non si tratti di un meccanisco a cui non possiamo opporci.
    he senso ha, avere un "dono" come questo? Si tratta di una effetto del nostro vivere in società? E' frutto dell'evoluzione? O si tratta di un impianto che ci costringe a produrre sempre nuovo dolore. E a cosa (o a chi) serve il dolore immenso che produciamo?

    Avete mai osservato come lavorano i fermenti che producono col latte lo jogurt? Queste piccole creature, simili a spugnette, trasformano il latte in jogurt e intanto si riproducono. Più si riproducono, più jogurt fanno. La brava casalinga, poi, filtra lo jogurt e lo separa dagli inconsapevoli fermenti che vengono rimessi nella ciotola. E il ciclo continua all'infinito.
    Pensare che gli esseri umani siano un po' come quei fermenti, non vi provoca un brivido lungo la schiena?

    PS
    Per la dedica di The Secret, mandatela pure appena potete a staff(chiocciolina)insonne.net
    E grazie!

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  4. Giuseppe, le tue domande - che sono anche le mie - sono più importanti, nella loro valenza decisiva e cruciale, di molte risposte, in realtà fumose e parziali nonché fragili interpretazioni.

    L'efficace esempio da te riportato pare dar ragione a Schopenauer che vede in tutti gli esseri viventi e persino nei cristalli all'opera un'identica forza, la Wille, tesa verso la perenne perpetuazione di sé stessa, senza, però, uno scopo preciso, se non quello di continuare ad esistere in un modo o nell'altro. Anche la memoria è persistenza contro l'obsolescenza: quale sia la meta, però, non si sa.

    Appena possibile, ti manderò la dedica.

    Ciao e frazie.

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