09 febbraio, 2016

Asintoto



Qualche giorno addietro, mentre camminavo in una via del centro, traudii la voce di un araldo che cercava di catturare l’attenzione dei passanti, esclamando: “Finirà un giorno la sofferenza?”. “Finirà un giorno la sofferenza?”… bella domanda. Gli esseri viventi sono stremati dai dolori, in tutte le sue forme, consumati dalle malattie del corpo e dell’anima, segnati da perdite definitive, eppure all’orizzonte non si intravede alcuna svolta positiva. Quante persone sono martoriate e dilaniate nella carne e nella psiche! Tuttavia al cospetto di queste feroci carneficine, molti sanno solo mostrare le fantasmagoriche ed illusorie immagini di una lanterna magica.

Sempre più ci si sente soffocati dall’afa della noia, stritolati dall’ingranaggio del destino: è questo senso di fatalità, di irreversibilità che ci opprime. Gli eventi non accadono: ci cadono addosso. L’esistenza è un teatro kabuki in cui siamo attori che hanno dimenticato il copione.

Tra errori ed orrori la storia personale e quella collettiva procedono a balzi, a strattoni. Procedono, ma verso dove?

Qualcuno promette e prospetta un futuro roseo, un mondo ed un’era in cui finalmente ogni angoscia sarà cancellata, si scioglierà come neve al sole. Purtroppo codesta era è collocata in un avvenire che pare un asintoto. E’ un tempo che si allontana quanto più sembra avvicinarsi. Bastano il pensiero positivo, è sufficiente riequilibrare i chakra, stamparsi un bel sorriso sul volto, abbracciare la vita… e voilà tutto si risolve. Sfortunatamente, pur con tutte le buone intenzioni, l’incubo sembra, almeno per ora, refrattario, recalcitrante ad essere tradotto in un sogno.

“Finirà un giorno la sofferenza?” Sorprende il disinteresse con cui la gente accoglieva questo cruciale quesito. Esistono mali peggiori dei tormenti: l’insensibilità, l’incapacità di provare emozioni, di ascoltare la voce dell’infinito, magagne di un genere umano ormai riarso, desertificato.

Forse bisognerebbe urlare: “Finirà un giorno l’indifferenza?” Oggi non solo si grida nel deserto: si grida contro il deserto.

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5 commenti:

  1. Questo è il tempo dell'eterno presente; dove tutto è possibile, tranne il cambiamento. Dove tutto è necessario, tranne una coscienza.

    Ciao

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    1. Hai ragione. Potremmo scrivere, parafrasando il grande Federico, che sembriamo imprigionati nell'eterno ritorno del male.

      Ciao

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  2. ispirata e dolente riflessione sul momento attuale...anche il commento del Disadattato (geniale nickname)
    Un saluto

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    1. Grazie dell'apprezzamento, Giovanni. E' vero: si può solo elogiare il disadattamento, l'inadeguatezza e la dissonanza con questi tempi ferrigni.

      Ciao

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  3. Ciao Zret e ai commentatori,
    torniamo a parlare del male, o del sistema che è infarcito di schemi che incatenano l'uomo alla schiavitù.
    Ma in questo eterno presente, dar adito al non-cambiamento è un oltraggio verso noi stessi.
    Una volta che apriamo gli occhi, la sofferenza è più marcata e più soffocante. Ma è proprio in tale livello che l'individuo sceglie se compiere il passo. Non sono una teologa eppure se veramente è esistito Gesù o il sommo Buddha, mi pare che il male non si è arrestato e nemmeno la sofferenza..ma certamente ha aperto un varco, un varco che è sempre presente nel cuore degli uomini.
    Non possiamo negare le atrocità dei nostri gesti ma nemmeno gli atti di Amore.
    Vittime, carnefici e schiavi..ma non solo.
    Non esiste solo la dilaniante sofferenza, ma in un mondo dalle infinite possibilità..come possiamo focalizzarci solo su ciò che i nostri sensi avvertono?

    Un caro sorriso, non da New Age.

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