12 gennaio, 2018

Domani



E’ inevitabile: gli uomini non riescono a vivere il presente, piuttosto tendono a proiettarsi nel futuro, quando non si ripiegano sul passato. Si è che l’adesso, oltre ad essere insoddisfacente, è quanto mai effimero: così ci protendiamo, pieni di ingenue speranze, verso l’avvenire. Non sappiamo neppure se domani saremo ancora vivi, ma non ci stanchiamo mai di progettare, antivedere, concepire, come se il futuro ci appartenesse, come se fosse una miniera di opportunità e di gratificazioni.

Lo stesso Nietzsche, fra i pochi pensatori che non si lascia incantare dal miraggio dell’avvenire, dalle “magnifiche sorti e progressive”, nel momento in cui esorta a vivere l’istante onde sia riempito di gioiosa accettazione dell’esistenza, non vince del tutto l’istinto a proiettarsi nel tempo futuro, dacché, spinto da un disperato ottimismo, è incline a vagheggiare in un'età lontana l’avvento dell’oltreuomo.

La religione e la scienza, ma pure la politica promettono l’eldorado: basta saper aspettare… e si aspetta Godot.

“Domani”: mai vocabolo fu più evocativo, mai vocabolo fu più vuoto.

A differenza di quanto il volgo ripete, l’incitamento di Orazio “carpe diem” non solo non significa “cogli l’attimo”, bensì “afferra il giorno”, ma soprattutto non esprime un triviale edonismo, quanto un’esortazione a strappare ad un destino avaro le pochissime gioie che ci può forse offrire, con la consapevolezza che il domani incombe, foriero di incognite e di insidie.

Più dei filosofi, i poeti additano le verità, non di rado sgradevoli. Leopardi, nel celeberrimo “Sabato del villaggio”, c’insegna a non riporre fiducia alcuna nel futuro: “diman tristezza e noia recheran l’ore”. La fede nell’avvenire è solo una delle tante illusioni che consentono all’umanità di sopravvivere: è il monito che echeggia pure nel “Dialogo di un passeggere e di un venditore di almanacchi”. L’anno nuovo, che popoliamo di disegni e di sogni, se non sarà simile all’anno che l’ha preceduto, sarà peggiore.

Così, anche se siamo consci nel nostro intimo del perenne, sempre risorgente inganno, ci lasciamo ammaliare dalle sirene del futuro. Eppure, come le sirene che affascinano Ulisse, che cosa può garantire il futuro? Solo la morte.

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8 commenti:

  1. Amarissima considerazione questa tua..come stillata al ridotto lume di un fioco disincanto. Fin qui siamo giunti senza che quasi ce ne accorgessimo. Tutto quello che c'e' accaduto e che in definitiva sarebbe pure abbastanza insignificante rispetto alle molte esperienze dei maggiori che ci hanno preceduto, avrebbe quasi la consistenza di un sogno sconclusionato o poco piu'. Concordo, l'idea del "domani" e' un abbaglio, spesso e' occasione di rinvio o di attesa deludente. Alla fine l'esistenza stessa non e' forse esemplarmente paragonabile al volo fugace del nero uccellaccio che gracchiando dolente insegue il crepuscolo del tramonto? L'uovo emblematico sara' ancora covato per una finalita' che dopotutto rimarra' ancora inesplicabile per un altro indefinito numero di Ere. La morte pure, non costituisce forse l'occasione unica e ineludibile di un'immersione profonda che la vita attua dentro se stessa? Rivolgimento assoluto. Non bisogna temerla, ne' affrettarla.

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  2. Sempre chiaro ed efficace zret, sempre un piacere e un arricchimento leggere la tua finestra sul mondo delle verità che non ci mostrano. Occorre vivere nel qui e ora, seguire l'incitamento di Orazio e afferrare il giorno, anche se come dice un mio caro amico la vita è una valle di lacrime, ma ogni tanto c'è un'oasi :)

    Saluti

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    1. Non si consideri la riflessione una scheggia biografica, bensì un lampo su una condizione ontologica.

      Ciao

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  3. Al fondo di tutto, a me pare di intravedere il nocciolo della questione: buona parte del genere umano, non finisce mai di sorprendere per la sua abiezione.

    Se così non fosse, non saremmo costretti a sottoscrivere quanto scritto da Antonio.

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    1. Come non essere d'accordo, Altair? Com'è possibile considerare uomini coloro che non lo sono?

      Ciao

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  4. Come disse Monicelli in un intervista, credo ballarò: la speranza è un inganno! Le cose cambieranno quando non avremo più speranze. In quest'ottica il motto "finchè c'è vita c'è speranza" mi fa pensare allo sfruttamento lavorativo finchè si è in vita. Ciao!

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    1. Non a torto Nietzsche scrive che "la speranza è il peggiore dei mali", ricordando che essa era contenuta nel vaso di Pandora, ricettacolo di ogni calamità.

      Ciao

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