Il filosofo tedesco Horkheimer (1895-1973) mette in luce, grazie ad una stringente analisi, le principali falle della modernità: il monopolio della scienza, l'ipertrofia dello stato, la "morte di Dio". In "Dialettica dell'Illuminismo"(1947), opera scritta in collaborazione con Adorno, Horkheimer critica la scienza moderna e contemporanea di tipo fisico-matematico, vista come inevitabile alleata del pernicioso progetto che ha portato all'attuale deriva tecnologica. Questo spiega perché "Dialettica dell'Illuminismo" cominci con una reprimenda di Bacone: "Benché alieno dalla matematica, Bacone seppe cogliere esattamente l'animus della scienza successiva. Il felice connubio, cui egli pensa, fra l’intelletto umano e la natura delle cose, è di tipo patriarcale: l'intelletto che vince la superstizione deve comandare alla natura disincantata. Il sapere, che è potere, non conosce limiti né all'asservimento delle creature né nella sua docile acquiescenza ai signori del mondo."
La natura prevaricatrice della scienza si accoppia ad una sovrastruttura ideologica che si esplica nel totale appeasement alle istanze delle classi dominanti. L'applicazione tecnologica della ricerca, più che favorire un maggiore benessere, diventa strumento di controllo, la longa manus di un sistema che il pensatore definisce "mondo amministrato", il definitivo compimento del regno moderno della schiavitù. "La logica immanente della storia porta in realtà ad un mondo amministrato. Tramite la potenza in via di sviluppo della tecnica, la ristrutturazione inarrestabile dei singoli popoli in gruppi rigidamente organizzati, tramite una competizione senza risparmio di colpi tra i blocchi contrapposti, a me sembra inevitabile la totale amministrazione della società."
In tale contesto, l'alienazione dell'uomo si radica nei rapporti interpersonali, si concreta nel lavoro estraniante, si appropria della dimensione individuale. Questa alienazione è tanto più grave in quanto non percepita come tale, ma persino accettata ed apprezzata, in un totale stravolgimento della condizione umana ormai automatizzata. Manca, oggi giorno, qualsiasi coscienza di tale coercizione: così lo schiavo si ritiene libero, perché partecipa alle consultazioni elettorali e trova la sua realizzazione quanto più si allontana dalla realtà, rifugiandosi in un eden fittizio di informazione preconfezionata e di divertimenti omologati.
L'incoscienza del proprio stato ostacola il pensiero e l'azione, come dissenso e contestazione del potere: il suddito è in letargo o, meglio, vive in una dimensione allucinatoria dove le immagini e le notizie dei media mainstream proiettano un universo artificioso e narcotizzante. Paradossalmente è l'antropocentrismo che distrugge l'identità umana, poiché recide i legami con la natura e con l'Altro. Vellicandolo nel suo orgoglio sub-umano, la modernità lusinga l'individuo con la felicità tecnologica, gli prospetta una quasi immortalità bionica, eclissando, tramite la divinizzazione dell'effimero, il senso del tempo e della caducità. La morte, esorcizzata e rimossa, è confinata nel dominio dell'inattuale, di una ritualità banale e conformista.
Si perde il sentimento della finitezza umana, pietra di paragone rispetto all'ulteriore. La chiusura verso la Trascendenza è negazione delle domande (l'uomo che non pensa è oggetto "usa e getta"), deproblematizzazione della vita e del cosmo: il risultato non è neppure l'ateismo, ma l'indifferenza. Come afferma Horkheimer: "Non possiamo provare l'esistenza di Dio, anzi di fronte al dolore del mondo, di fronte all'ingiustizia, è impossibile credere nel dogma dell'esistenza di un Dio onnipotente e sommamente buono. In particolare, non è credibile la dottrina cristiana che esista un Dio onnipotente ed infinitamente buono, avuto riguardo alla sofferenza che da millenni domina sulla terra." Se Dio, però, non è una certezza, è l'anelito, la nostalgia (Sehnsucht), la speranza che l'assassino non trionfi sulla vittima innocente".
La fede è quindi orizzonte delle possibilità: non è né conquista definitiva né corpus di verità. La fede è la consapevolezza della finitudine e nostalgia dell'assoluto, antidoto contro l'hybris dell'umanismo, contro l'assolutizzazione del relativo. "Ogni essere finito - e l'umanità è finita - che si pavoneggia come il valore ultimo, supremo ed unico, diventa un idolo che ha sete di sacrifici cruenti ed inoltre ha il potere demoniaco di assumere un'altra identità".
Tra gli estremi opposti del credo monolitico e la noncuranza verso l'apertura al senso, si apre forse il varco attraverso cui si può ascoltare l'eco dell'infinito.
La natura prevaricatrice della scienza si accoppia ad una sovrastruttura ideologica che si esplica nel totale appeasement alle istanze delle classi dominanti. L'applicazione tecnologica della ricerca, più che favorire un maggiore benessere, diventa strumento di controllo, la longa manus di un sistema che il pensatore definisce "mondo amministrato", il definitivo compimento del regno moderno della schiavitù. "La logica immanente della storia porta in realtà ad un mondo amministrato. Tramite la potenza in via di sviluppo della tecnica, la ristrutturazione inarrestabile dei singoli popoli in gruppi rigidamente organizzati, tramite una competizione senza risparmio di colpi tra i blocchi contrapposti, a me sembra inevitabile la totale amministrazione della società."
In tale contesto, l'alienazione dell'uomo si radica nei rapporti interpersonali, si concreta nel lavoro estraniante, si appropria della dimensione individuale. Questa alienazione è tanto più grave in quanto non percepita come tale, ma persino accettata ed apprezzata, in un totale stravolgimento della condizione umana ormai automatizzata. Manca, oggi giorno, qualsiasi coscienza di tale coercizione: così lo schiavo si ritiene libero, perché partecipa alle consultazioni elettorali e trova la sua realizzazione quanto più si allontana dalla realtà, rifugiandosi in un eden fittizio di informazione preconfezionata e di divertimenti omologati.
L'incoscienza del proprio stato ostacola il pensiero e l'azione, come dissenso e contestazione del potere: il suddito è in letargo o, meglio, vive in una dimensione allucinatoria dove le immagini e le notizie dei media mainstream proiettano un universo artificioso e narcotizzante. Paradossalmente è l'antropocentrismo che distrugge l'identità umana, poiché recide i legami con la natura e con l'Altro. Vellicandolo nel suo orgoglio sub-umano, la modernità lusinga l'individuo con la felicità tecnologica, gli prospetta una quasi immortalità bionica, eclissando, tramite la divinizzazione dell'effimero, il senso del tempo e della caducità. La morte, esorcizzata e rimossa, è confinata nel dominio dell'inattuale, di una ritualità banale e conformista.
Si perde il sentimento della finitezza umana, pietra di paragone rispetto all'ulteriore. La chiusura verso la Trascendenza è negazione delle domande (l'uomo che non pensa è oggetto "usa e getta"), deproblematizzazione della vita e del cosmo: il risultato non è neppure l'ateismo, ma l'indifferenza. Come afferma Horkheimer: "Non possiamo provare l'esistenza di Dio, anzi di fronte al dolore del mondo, di fronte all'ingiustizia, è impossibile credere nel dogma dell'esistenza di un Dio onnipotente e sommamente buono. In particolare, non è credibile la dottrina cristiana che esista un Dio onnipotente ed infinitamente buono, avuto riguardo alla sofferenza che da millenni domina sulla terra." Se Dio, però, non è una certezza, è l'anelito, la nostalgia (Sehnsucht), la speranza che l'assassino non trionfi sulla vittima innocente".
La fede è quindi orizzonte delle possibilità: non è né conquista definitiva né corpus di verità. La fede è la consapevolezza della finitudine e nostalgia dell'assoluto, antidoto contro l'hybris dell'umanismo, contro l'assolutizzazione del relativo. "Ogni essere finito - e l'umanità è finita - che si pavoneggia come il valore ultimo, supremo ed unico, diventa un idolo che ha sete di sacrifici cruenti ed inoltre ha il potere demoniaco di assumere un'altra identità".
Tra gli estremi opposti del credo monolitico e la noncuranza verso l'apertura al senso, si apre forse il varco attraverso cui si può ascoltare l'eco dell'infinito.
amico zret e' proprio il punto dove volevano portare l'uomo,noi stiamo assistendo a una rassegnazione e sottomisione al male,come se non si potesse fare piu' niente,una illusione o incubo che ha intrappolato l'uomo e di cui non si riesce proprio a vedere che e'soltanto una illusione,la chiesa si e' fatta intermediaria di dio imponendo le loro menzogne e la sottomissione senza neanche discutere il loro ruolo,e oltre alle falsita il vero inganno di questa entita corrotta e' stato proprio di inculcare il fallimento di dio nell'uomo,come se loro rappresentassero davvero dio,e la soluzione quale sara?semplice la dottrina luciferina a cui mirano da millenni per sottomettere l'anima dell'uomo completamente,il solito tesi+antitesi=tesi o creare un problema+reazione delle persone=soluzione sempre la stessa data da loro con il consenso della gente pero
RispondiEliminamolti diranno ma perche non sottomettere in tempi piu antichi l'uomo quando era piu ignorante o piu manipolabile,in effetti l'uomo nei tempi antichi non era manipolbile quanto oggi,e gli arconti entita maligne che sono la regia di tutto questo,sanno che bisognava seguire un percorso evolutivo o involutivo dell'uomo per poterlo sottomettere completamente che dura ormai da piu' di 10.000 anni
questo perche temono l'uomo piu di quanto si pensi,essi non potrebbero reggere a una reazione di massa,e per questo hanno sempre diviso l'uomo dall'uomo,ma sappiate che non ce nessuna delusione da dio,perche sulla terra esiste questo squallore perche e'il regno di satana,ma assisterete alla venuta del regno di dio ve lo assicuro
White Wolf, reputo che gli Arconti abbiano seguito il percorso involutivo dell'umanità e che anzi l'abbiano accelerato e condotto con i loro subdoli e seducenti artifici.
RispondiEliminaCome ben sai, non credo nel mito dell'evoluzione, anzi ritengo che l'universo dal momento in cui fu promanato cominciò un po' alla volta a degenerare.
Toccato il fondo, si risalirà, sempre che...
Ciao e grazie.
Grande articolo, Zret, profondo e lucidissimo come sempre. Non conosco il pensiero di Horkheimer ma mi pare che tu sia riuscito a delinearne in poche righe i punti salienti con il massimo nitore. Mi ha impressionato constatare come, nel secondo estratto da te virgolettato, il filosofo abbia potuto descrivere in poche parole la sostanza della struttura del Nuovo Ordine del Mondo, parlando di "blocchi contrapposti", funzionali però all'"amministrazione" del Mondo stesso, la quale ha come imprescindibile conseguenza - che a ben vedere si configura in realtà come una causa, in una sorta di apparente cortocircuito logico - proprio quell'"alienazione" su cui si fonda l'attuale controllo dei "liberi schiavi" odierni. E che il paradosso, modalità realizzativa prediletta dal sovvertimento di marca arcontico-satanista - i termini con cui indicare la natura dello Spirito di Avversione sono molti, e personalmente nutro l'intimo convincimento che esso sia tanto dentro che fuori dell'Umano, anche se identica è la sostanza separativa antitetica all'Unità che ne caratterizza l'azione - di cui è anche la spia piú evidente, sia ormai la regola, lo cogli ottimamente subito dopo quando parli dell'antropocentrismo utilizzato come "grimaldello" per divellere l'Uomo proprio da quel Centro - dall'Eden, mi viene di dire, il Centro di Sé, della propria connessione con lo Spirito nonché della comunione con il Creato Tutto, e in ciò consiste, direi, l'essenza piú autentica di tale "alienazione", che è soprattutto "alterazione" ingannevole della propria natura rispetto al nucleo piú autentico di Sé - in cui si fa invece credere di volerlo collocare... il piú stridente e drammatico tra i pur numerosi e sinistri Segni dei Tempi, e, come meta-paradosso - se mi passi il termine - anche il meno evidente. Sembra di assistere all'interpretazione su scala universale dell'antico detto "promoveatur ut amoveatur"; l'uomo promosso a dio - o meglio indotto a promuoversi da sé... - scopre di essere stato estromesso dall'armonia del Tutto, e di gravare sul Creato con il suo non piú tollerabile carico di divorante orgoglio e insensata bramosia. Si scopre fardello di sé stesso e della Natura Cosmica, e ormai sembra rimanergli solo l'inconsapevole ma in realtà oscuramente paventata attesa del momento in cui il resto della Creazione deciderà di affrancarsi da simile gravame. Questo per ciò che concerne il relativo; riguardo all'Assoluto, invece, personalmente sono ottimista, sebbene convenga che da siffatte premesse arduo sarebbe l'ipotizzarlo. :) Intendendo con questo significare che per quanto il dominio del relativo possa essere barbaricamente straziato dalla manifestazione dell'"umanesca" tracotanza - e qui approfitto per dire che alla per me priva di senso distinzione malanghiana tra "uomini" e "umani", etimologicamente inconsistente e quindi tale tanto in sostanza quanto in essenza, preferisco parlare di comportamenti "umaneschi", quando questi si distacchino con tanta virulenza da quelli "archetipici", nell'accezione piú autentica del termine - confido che nel dominio dell'Assoluto, in cui pure nonostante tutto permaniamo giacché nulla è concepibile al di fuori di Esso - neanche il concetto stesso di "fuori di Esso" - oltre la spessa coltre dell'illusoria relatività spazio-temporale, gli spigoli di questa "scheggia" impazzita che sembriamo globalmente rappresentare verranno smussati fino alla ri-accoglienza completa nel Grembo della Totalità Universa. Né pensare all'umanità odierna, d'altra parte, come a un "virus" creato ad arte e immesso nel virtuoso circolo della Natura perché lo saboti dall'interno è poi ipotesi tanto remota e peregrina.
RispondiElimina- continua - Al sapere prevaricatore di stampo illuministico, a me piace contrapporre - ma in realtà non di vera opposizione si tratta, quanto piú propriamente di due piani ontologici distinti, il piú ampio dei quali comprende e sublima - per cosí dire - inevitabilmente il secondo, espressione del relativo, apportatore di potere effimero quanto devastante, fondato sull'ignoranza dei piú e agito come mero "instrumentum regni" - la Conoscenza, pertinenza esclusiva dell'Essere, con cui viene a coincidere nel momento in cui viene esperita. Tagliare i legami dell'Uomo con il proprio Sé piú autentico significa alienarlo dalla Luce della Vera Conoscenza, e dunque della sua Essenza, cui invece egli si illude di avvicinarsi tramite il fittizio quanto abbagliante sapere razionalista, che rende la misura e a un tempo esemplifica proprio la finitezza dell'uomo terreno cui accenna il filosofo. Esiliato cosí dalla Luce, reso alieno a sé stesso, l'uomo brancola nelle proprie irreali tenebre interiori cercando al di fuori ciò che non sa piú trovare nel proprio intimo. Su un punto del pensiero di Horkheimer estrapolato non mi trovo d'accordo, ed è quello inerente all'impossibilità di un Dio onnipotente, la quale è a mio parere da considerarsi non un dogma - concetto intellettuale umano privo di qualsiasi valore assoluto - ma una necessità invece realmente assoluta. Va da sé che Dio o è onnipotente, o non è. Postulare diversamente significherebbe figurarsi un dio che non è in grado di porre ordine nella creazione da lui realizzata, il che è un non senso. Credo che la sintesi delle apparenti contraddizioni circa il Male nel Mondo, possano essere risolte solo lasciando che il relativo compia sé stessso dipanando le proprie intricate matasse, per poi disciogliersi nell'Assoluto cosí da scoprire che Esso non è stato neanche increspato dalle disarmonie del dominio inferiore. Piú che di fede - e men che meno di mera "credenza" - parlerei di "fiducia", e della capacità di "affidarsi" al nostro - necessario sebbene sofferto - anelito per l'Assoluto. Ugualmente chiara mi appare l'effettiva inconoscibilità di Dio in quanto Principio Unico e Solo, poiché - ferma restando la coincidenza tra Essere e Conoscere - conoscere Dio significherebbe diventare inevitabilmente Uno con Lui, ed essere "riassorbiti" dall'Unità senza piú sussistere in quanto emanazioni indipendenti. Abusata ma sempre valida, ritengo, la metafora della goccia che entra nel mare cessando di esistere in quanto goccia ma non di "essere" in quanto Mare.
RispondiEliminaP.S. Ho visto che anche stavolta sono arrivato in ritardo, giacché il mio commento arriva dopo il tuo nuovo post. Chiedo venia per questo mia connaturata asincronicità...
Magnifica e monumentale pagina, Lupo nella notte. Hai enucleato il senso del testo ed approfondito i singoli significati. Veramente non saprei che cosa aggiungere, vista la ricchezza e l'articolazione delle riflessioni da te svolte.
RispondiEliminaRitengo che la parola-chiave sia "amministrare" , poiché contiene "minister" che significa "schiavo", quindi l'amministrazione è l'asservimento dell'uomo.
Circa la presunta non onnipotenza di Dio, benché io non aderisca del tutto al pensiero di Horkheimer, reputo che si possa congetturare una connaturata imperfezione dell'Essere, dacché esso tende a manifestarsi. E' un concetto su cui ho scritto molto e che propongo come mera ipotesi, correlata alla necessità dell'esistenza, poiché l'esistenza (ex-sistere) porta con sé, come la tartaruga il carapace, il peso del tempo e dell'estrinsecazione.
Ciao e grazie.
Devo rettificare in due punti la seconda parte, per delle sviste dovute a disattenzione: là dove ci si riferisce all'impossibilità di un Dio onnipotente, è da leggersi "il quale" e non "la quale", volendo riferirsi a Dio stesso e non all'impossibilità, svista che cambia il senso di quanto volevo dire. Poche righe sotto, è da leggersi "credo che la sintesi delle apparenti contraddizioni circa il Male nel Mondo possa essere compiuta" in luogo di ciò che ho invece scritto sbagliando anche la concordanza del verbo.
RispondiEliminaMi scuso per le imprecisioni, un saluto.
Caro Zret, concordo su un'imperfezione connaturata all'esistenza materiale, e ritengo che questa si possa attribuire a quella Caduta di cui piú volte s'è trattato. Forse l'entità di tale imperfezione è proporzionale a quella dell'allontanamento dal Centro.
RispondiEliminaUn caro saluto, e a presto
Lupo nella Notte, ho riletto il tuo commento per trovarvi moltissimi spunti fecondi nonché pungoli per nuove (antiche) domande.
RispondiEliminaAd esempio, mi chiedo se nella concezione teologica e cosmica da te prospettata, vi sia spazio per la distruzione o la dannazione degli enti. Mi domando poi se la pur controversa teoria antropologica di Malanga non sia almeno in una certa misura plausibile, vista l'abissale degradazione di alcuni uomini che paiono irredimibili. Penso alla gente pericolosa, perché incosciente e perversa fin nel midollo: i tipici miserabili che scoprono solo da morti di non essere mai stati immortali. Che posto hanno costoro nel piano infinito?
Certo, ci si discosta sempre più dal Centro, ma questo allontanamento come è vissuto dall'Essere? Può l'Essere restare nell'indifferenza, rinunciare alla sua onnipotenza? E' arduo comprendere non tanto perché e come l'Assoluto coesista non con il relativo, piuttosto perché con QUESTO relativo. Qui molti introducono l'idea del libero arbitrio che è resta solo un postulato indimostrabile.
Alcuni pensano che Dio ci metta alla prova ed abbia messo pure alla prova gli Arconti che intendono sedurre ed imprigionare gli uomini, ma, se sapeva già come sarebbe andata a finire, che senso ha questo gioco?
E' possibile che tendiamo ad umanizzare Dio: forse lo concepiamo in modo errato. Non sono così sicuro di essere ottimista sul piano teleologico.
Ciao e grazie.
Mi fa piacere continuare lo scambio di idee con te, Zret. Molte delle domande che ti fai, sono anche mie. Cercherò di dire qualcosa su ognuno dei punti da te riportati.
RispondiEliminaInnanzitutto, il problema di una possibile dannazione eterna di qualsivoglia Ente è di enorme portata. Se riteniamo che ogni Ente sia stato promanato da un'Unica Origine, e che dunque sia fatto a "immagine e somiglianza" di Questa, è praticamente impossibile concepire che per una parte dell'Essere stesso possa darsi una perdizione perenne e senza riscatto. In quest'ottica, il relativo - tanto nel piano terreno quanto in quelli immediatamente superiori, come quelli del Basso Astrale - potrebbe essere considerato un Purgatorio, dove l'Essere - nelle sue innumeri frammentazioni - impara a riconoscere e a separare ciò che in esse è grano e ciò che è loglio, per poter poi affrancarsi dal dominio dello spazio-tempo material-astrale e "ritornare", ritorno che è tale solo da una prospettiva relativa, ovviamente - forse sublimando anche il "loglio", e trasmutarlo per ricondurlo parimenti - al proprio Punto d'Origine, capacità forse "persa" per le "disarmonie vibratorie" prodottesi per un Peccato Originale di Ego, di cui s'è già detto.
- continua - Riguardo alla concezione antropologica prospettata da Corrado Malanga nella maniera molto "tranchant" che lo caratterizza, direi che senza dubbio essa si trova in un qualche grado di verità, ma a mio parere - che è irrilevante, ça va sans dire... - non fino in fondo, e non nei termini da lui prospettati. Una differenza di natura "interiore" tra gli uomini sicuramente esiste, ed è sommamente manifesta anche nella vita di ogni giorno, perciò non è seriamente discutibile, a meno di non voler scadere in un egualitarismo ideologico e incondizionato. Non credo però sia possibile - e da un punto di vista spirituale neanche "plausibile" - parlare di totale assenza di principio animico nella maggior parte dell'Umanità, ma solo di un maggiore o minore sviluppo di esso a seconda della variabilità individuale, e della maggiore o minore "mescolanza" con "materia grezza" contaminante del principio stesso. In numerose concezioni sciamaniche, per esempio, è ammesso parlare di persone che "hanno perso l'anima" - significando implicitamente che in ogni caso essa è qualcosa che in origine appartiene all'essere umano, volendo rimanere al solo àmbito umano, naturalmente - che però può essere "recuperata" dallo sciamano che intraprende appositamente il viaggio verso i Mondi Sottili. Forse è per questo che la nostra "civiltà" sovrabbonda di malattie - che sono in primo luogo "guasti" dell'Anima - per aver perso qualsiasi connessione con la dimensione sacra dell'esistenza. Credo che in alcuni l'Anima sia talmente poco sviluppata da non essere capace di alcun contatto con lo Spirito, con cui dovrebbe fare da tramite per il corpo materiale, e che da questo derivi una vulnerabilità enormemente maggiore rispetto agli attacchi di Entità ostili che possono arrivare a manipolare a piacimento gli individui "ilici". Questo per dire che ritengo che un "nocciolo" animico sia presente in ognuno, ma che vada sviluppato, "raffinato" e portato alla luce perché possa essere di nuovo "spiritualizzato". Certo, la terminologia usata da Malanga non aiuta a chiarire simili concetti archetipici - al contrario, per come li ho recepiti mi sembra ingeneri notevole confusione - in quanto, da quel che ho potuto comprendere leggendo "Alien Cicatrix", egli inverte i termini Anima e Spirito, cosí come normalmente adottati da tutte le Tradizioni - e parellelamente opera la stessa inversione in àmbito psicanalitico tra quelli di "subconscio" e "super-io", con risultati alquanto sconcertanti... - ed è per questo che, personalmente, non sentivo alcun bisogno dell'ennesimo "stravolgimento semantico" operato dal professore consistente nel postulare una fittizia distinzione tra "uomini" e "umani".
RispondiElimina- continua - Sull'allontanamento dal Centro e su come l'Essere possa vivere tale esperienza, credo che ognuno di noi possa farsene un'idea se solo prova a fermarsi a riflettere su di sé; voglio dire che anche noi siamo Essere, ma quante volte ce ne rendiamo conto, anziché limitarci a "esistere" in quanto mere "maschere" dell'Essere? Nella risposta a questa domanda ritengo ci sia anche quella a come l'Essere possa vivere la coscienza di essersi allontanato dal proprio Centro - come ci sentiamo noi ogni volta che la "real-izziamo" - oltreché quella a quanto ciascuno di noi ne sia individualmente lontano. Relativo e Assoluto che coesistono in noi, quindi. Quanto alla "qualità" del relativo, rischio la risposta tautologica, temo: la qualità è data dalla distanza dal Centro, ed è a essa inversamente proporzionale.
RispondiEliminaÈ senz'altro vero, comunque, che noi antropomorfizziamo Dio, è un processo parte della nostra finitezza. Per questo ritengo inconoscibile la Verità Ultima, se non disciogliendosi in Essa.
>Non sono così sicuro di essere ottimista sul piano teleologico.
Mi sembra una buona cosa, Zret; significa che non sei neanche sicuro di essere pessimista. :)
Grazie a te, e a presto.
Carissimo Lupo nella Notte, per un singolare sincronismo, i tuoi commenti sono pervenuti, mentre stavo rileggendo alcune densissime pagine di Jaspers, in cui egli considera la relazione tra Ente (Da-sein) ed Essere (Trascendenza).
RispondiEliminaA proposito della distruzione o dannazione dell'ente, hai espresso, anche se con parole diverse, quanto scrissi tempo addietro in "Ni-ente". L'ente non può essere negato o annullato, senza che Dio mutili, amputi una parte di sé. Per questo alcuni teologi pensano ad un inferno deserto. Certo, questa concezione stride con l'escatologia cattolica, ortodossa e delle chiese cosiddette evangeliche, ma esprime una visione inevitabile dell'assolutezza dell'Assoluto, a meno che non si voglia credere ad un Dio che rinuncia ad una parte di sé, privandosi dell'infinità. E' possibile comunque che su questo mi sbagli, vista l'angolazione "umana troppo umana" e fatalmente soggettiva da cui considero il problema.
Anche su Malanga concordo: non comprendo perché abbia invertito i termini e quindi i valori. Il problema è che poi il chimico toscano pare ignorare una dimensione veramente spirituale, a favore di una Weltanschauung tecno-quantistica.
Tempo fa, scrissi che l'anima è un po' come un seme che può germogliare oppure no, da cui può crescere una piantina destinata ad allignare per diventare una pianta frondosa o seccare. Quindi anche sull'anima sottoscrivo la tua doviziosa glossa.
In fondo, il tema che specialmente dovrebbe essere sviscerato è ancora quello della Caduta che potrebbe, ma sottolineo il condizionale, essere il risultato di una distrazione dell'Essere o di una sua intrinseca "leggerezza", come suppone anche Fiorella Rustici, rari nantes in gurgite vasto, nel libro "E Dio creò la mente". So che questa può essere vista come un'affermazione più blasfema che eterodossa, ma è un dubbio che mi assilla da anni.
"Ritengo inconoscibile la Verità Ultima, se non disciogliendosi in Essa."
Anche su questo consento e mi chiedo se sia sufficiente la morte per dissolversi nella Verità ultima e nell'Essere.
Certo è che, come scrive l'ottimo Jaspers, l'esistenza è naufragio, scacco, sconfitta ed è in questa deriva che, come simbolo fugace, si manifesta l'Essere da cui ci separa non solo una distanza enorme che è in primis differenza ontologica.
Ciao e grazie di questa bella conversazione filosofica. Non sai quanto mi gratifichino disquisizioni tanto essenziali, in un mondo in cui il tema più profondo è il calcio.
:)