20 agosto, 2013

La questione del negazionismo: psicopatologia della morte quotidiana

Con il passare del tempo i significati di certi vocaboli possono cambiare. A volte il valore semantico originario si offusca, talora si perde del tutto, soppiantato da un altro. Talvolta le accezioni si moltiplicano.

Nel Medioevo il termine “usura” denotava il prestito di denaro ad interesse, anche modico, attività condannata e proibita dalla Chiesa. Oggi per “usura” si intende un interesse eccessivo. Usuraio è quindi lo strozzino, non chi si accontenta che gli sia restituito il denaro prestato cui aggiungere una piccola quota magari per coprire l’inflazione.

Negli ultimi anni i lessemi “negazionista” e “negazionismo” sono via via slittati dal campo relativo alla Shoah all’àmbito dei crimini governativi: chi non ammette le scelleratezze del sistema o di alcuni suoi apparati è, a ragione, dichiarato “negazionista”. Infatti egli, contro ogni evidenza, ignorando una mole imponente di prove e documenti, si incolla alle versioni ufficiali, false in toto o in parte, negando in primo luogo a sé stesso l’opportunità di conoscere e di approfondire.

Occorre, però, a questo punto una distinzione: esistono i negazionisti ingenui e quelli in mala fede che sono, invero, disinformatori sempre impegnati a nascondere o a filtrare le verità scabrose ed a denigrare cittadini liberi e ricercatori non omologati. I negazionisti sprovveduti sono persone in cui agisce il bias di conferma, ossia un istinto che li porta a rifiutare a priori le informazioni destabilizzanti per un già precario equilibrio psicologico.

Siamo di fronte a sintomi psicologici che connotano l’uomo spersonalizzato nella folla. Alla psicologia incentrata sull’individuo subentra lo studio della massa. Elias Canetti docet. Qui ci limitiamo a constatare che nei creduloni una percezione distorta, parziale, edulcorata del reale eclissa una visione più o meno oggettiva e critica. Le capacità cognitive sono molto limitate, la memoria storica è quasi cancellata, le competenze interpretative sono ad un livello embrionale: sono casi di cecità e di semi-analfabetismo intellettivo, qualche volta di idiozia.

Il problema diventa squisitamente psichiatrico, quando si considerano le psicopatologie da cui sono affetti i depistatori. Codesti figuri sono senza dubbio paranoici: infatti la paranoia è una malattia mentale contraddistinta da idee deliranti e da manie di grandezza in personalità che paiono, per il resto, normali.

Il ritratto del disinformatore è presto delineato: megalomane, ossessivo, violento, monomaniacale, guerrafondaio, amante delle armi, ultranazionalista, estimatore di tiranni, scientista, fissato, fanatico, ignorante, dogmatico, settario, bigotto. In qualche occasione si osservano inclinazioni scatologiche e persino coprofile o pedofile. Il suo ego ipertrofico e gigantesco si rimpicciolisce al cospetto dell’Autorità cui obbedisce con vile adulazione di tipo fantozziano. Diffusi tra i negazionisti la sindrome di Stoccolma e conflitti irrisolti con enormi difficoltà a costruire rapporti interpersonali equilibrati e costruttivi.

Di grande interesse è inoltre lo sciatto idioletto del negazionista prezzolato: è invaso da frasi fatte, da vocaboli gergali, da improperi da taverna. Uno studio delle occorrenze consente di stabilire che per un buon 80 per cento i testi dei vari disinformatori sono sovrapponibili, a causa degli stereotipi linguistici. Ciò denota una pressoché totale mancanza di personalità. Coloro sono simili a tanti timbri firma, la cui unica differenza consiste nell’inclinazione della sigla e nella quantità maggiore o minore di inchiostro, secondo la pressione esercitata. I sudditi nell’era della loro riproducibilità tecnica... Si amplia la prospettiva di Walter Benjamin.

“La psicopatologia della vita quotidiana” degenera nei disinformatori in “psicopatologia della morte quotidiana”. Costretti, in cambio di qualche privilegio (temporaneo) ad insultare su centinaia di forum e di blog, a studiarsi a memoria i vaneggiamenti sgrammaticati di Paolo Attivissimo, a compulsare furiosamente manuali di cui non capiscono una sillaba, si riducono in uno stato pietoso di larve.

Gli insabbiatori, obbligati a trascorrrere interi giorni ed intere notti per tappare le falle che sempre più si aprono nella propaganda negazionista di regime, defraudati di una vita relazionale, possono solo sublimare insuccessi e nevrosi, enfatizzando il loro ridicolo ruolo, simili a persone colpite da gravi disturbi alimentari. Costoro più sono frustrati, più ingurgitano cibo, più ingrassano in una spirale perversa.

I negazionisti istituzionali amano ostentare fotografie che li ritraggono: smunti, gli occhi strabuzzati e spiritati (si pensi all’inquietante Stefano Petrò), terrei, hanno atteggiamenti muscolari solo sulla Rete. Al di fuori sono più molli di budini.

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