09 novembre, 2006

La lupa del Purgatorio (prima parte)

Dante Aligheri attaccò coraggiosamente le proditorie macchinazioni politiche del papato nel XIII secolo. Sette secoli più tardi, la situazione non è differente. (Michael Carmicheal)

Il presente studio è la naturale continuazione di Dante ed il veltro celeste, un articolo in cui ho congetturato e, in una certa misura dimostrato, che, nel I canto dell’Inferno, sia possibile scorgere una filigrana astronomica e simbolica. Questo studio, però, non è incentrato, a differenza del precedente, sull’archeoastronomia, ma spazia anche verso altri ambiti.(…)

Contro la lupa il sommo poeta prorompe in un‘invettiva nel canto XX del Purgatorio con i seguenti versi:

Maledetta sie tu, antica lupa,
che più che tutte le altre bestie hai preda
per la tua fame senza fine cupa!

O ciel, nel cui girar par ne si creda
le condizion di qua giù trasmutarsi,
quando verrà per cui questa disceda?


Dante maledice la lupa poiché, tra le fiere, è la più famelica, quindi si chiede quando verrà il veltro per opera del quale la lupa abbandonerà il mondo. Giuseppe Giacalone, osserva: “Se la Commedia è il libro che denuncia i mali dell’umanità, è anche, dall’altra parte, un messaggio di speranza e di fede nella redenzione dell’umanità, attraverso l’intervento divino, tante volte indicato da Dante in un’oscura, ma fiduciosa escatologia, in un rinnovamento totale del mondo. Questo spiega l’antitesi logica e figurale dei due simboli, Lupa-Veltro, la cui dialettica condiziona il dramma stesso di D. poeta”. Le notazioni del critico, come quelle di molti altri esegeti, colgono l’antitesi Lupa-Veltro, sotto il profilo allegorico e morale, ma sembrano non sottolineare il valore politico e, soprattutto, ignorano il cenno astronomico.

È necessario riprendere l’interpretazione delle terzine sopra riportate alla luce della loro tessitura astronomica. L’autore, dopo aver esecrato la vorace lupa, volge lo sguardo al cielo e si domanda quando sarà visibile nel firmamento la costellazione che preannuncerà la palingenesi del genere umano. È evidente che il “ciel” è la sfera stellata che ruota, secondo la cosmologia aristotelico-tolemaica, attorno alla terra (nel cui girar): la rotazione è destinata a rendere visibile un gruppo di astri dal significato propizio.

Stando alla cronologia, il poeta insieme con Virgilio, procede lungo la cornice in cui sono puniti gli avari ed i prodighi nelle prime ore antimeridiane del 12 aprile del 1300. L’estate è ancora lontana, ma il moto incessante delle sfere, rende sempre più vicino il momento in cui brillerà Sirio, la stella più luminosa del Cane maggiore: il cambiamento stagionale dalla primavera all’estate allude per caso, in in ossequio alle profezie di Gioacchino da Fiore, al transito dall’era del Figlio, nato forse in primavera, all’età dello Spirito, nel cuore della radiosa estate?

Nel canto XX, Dante tra gli avari incontra Ugo Capeto, figlio di Ugo il Grande (morto nel 956), duca di Francia, di Borgogna e d’Aquitania, conte di Parigi e d’Orlèans, fondatore della dinastia capetingia. Ugo il Grande tenne il Regno di Francia, de iure ancora dei re Carolingi, Ludovico IV (936-954) e Lotario (954-986). Egli lasciò un figlio, Ugo Capeto (987-996), che, dopo il brevissimo regno di Ludovico V il Neghittoso (986-987), salì sul trono di Francia.

Dalle parole che l’autore mette in bocca al compunto Ugo Capeto, si arguisce che il poeta considerava la dinastia dei Capetingi la radice di molti mali (Io fui la radice della mala pianta/ che la terra cristiana tutta aduggia).(…) Il culmine della cupidigia e della slealtà fu toccato con Filippo il Bello. Così si esprime il poeta:

Veggio il novo Pilato sì crudele
che ciò no’l sazia, ma sanza decreto
porta nel Tempio le cupide vele.


L’invettiva di Ugo Capeto contro Filippo il Bello ed il Regno di Francia fa da pendant alla condanna dantesca dell’avidità francese e clericale incarnata dalla lupa: il perverso sodalizio Francia-Roma, suggellato dalla decisione di papa Clemente V, al secolo Bertrand de Got (1260- 1314) di istituire un processo contro i Templari e che nel 1312 sospese l’ordine, è evocato, insieme con un oscuro riferimento al “messo di Dio” nel canto XXXIII del Purgatorio, là dove si legge:

… un cinquecento diece e cinque,
messo di Dio, anciderà la fuia
con quel gigante che con lei delinque.


Nota: il presente articolo è uno stralcio di un testo più ampio: chi fosse interessato a leggerlo integralmente, può scrivere al mio indrizzo di posta elettronica. Le fonti sarranno indicate in calce alla seconda ed ultima parte.

5 commenti:

  1. Ciao Angela, nella seconda parte leggerai qualcosa di sconcertante. Ciao e grazie.

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  2. ottimo post (anche se solo una parte) aspetto anche io la seconda per trarre le conclusioni. ciao

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  3. Grazie Capitano Nemo, è fondamentale la seconda parte per una riflessione. Ciao!

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  4. Ciao Pedro, non ho ben capito che cosa intendessero Busi e Bonolis. Se vuoi, delucidami. Ciao

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  5. Ora ho capito: il vertice della chiesa di Roma è una setta luciferina al meno dal IV secolo. Si pensi alle pie frodi dei padri della chiesa, a Cirillo, istigatore dell'omicidio di Ipazia etc. Ciao e grazie.

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