24 settembre, 2010

Filologia

Sono sufficienti due esempi: Nietzsche e Michelstaedter. Entrambi si imbatterono nella filologia per negarla. Nietzsche pubblicò la sua prima opera, "La nascita della tragedia dallo spirito della musica", nel 1879: nell'opuscolo l'approccio filologico alla genesi della tragedia greca è già in gran parte superato nella direzione della filosofia. Michelstaedter scrisse “La persuasione e la rettorica”, una singolare tesi di laurea che invece di vertere su questioni erudite, le trascende in un saggio che è una dolorosa, quanto appassionata, analisi della vita e delle sue pungenti contraddizioni.

La filologia, tranne qualche esito eccezionale, è materia da topi di biblioteca, una mummificazione ante mortem. Di fronte alle terribili meraviglie dell'universo, quanti scelgono la via larga del "sapere" inerte ed inutile! L’erudizione fine a sé stessa diventa quasi uno schema di "pensiero", un modo di porsi e di essere, anzi di non essere. Oggi anche quasi tutti gli studiosi e "scienziati" sono filologi: esaurito l'elan, smarrito lo stupore di fronte al mondo, gli scienziati misurano, catalogano, computano. L'indagine muore nella quantità e nella statistica: crolla l’orizzonte umano. Nessuna modanatura filosofica attraversa il gelido mausoleo della "scienza".

Scrive a tale proposito Koiré in "Newtonian studies", 1965: “La scienza abbatté le barriere che separavano cielo e terra: essa realizzò tale unificazione, sostituendo al nostro mondo della qualità e delle percezioni sensibili, il mondo che è il teatro della nostra vita, delle nostre passioni e della nostra morte, un altro mondo, il mondo della quantità, della geometria reificata, nel quale sebbene vi sia posto per ogni cosa, non vi è posto per l’uomo”.

Agli antipodi della filologia, si slargano le terre avventurose dell'Arte, ma la via che conduce in quelle regioni è stretta, ripida ed accidentata. L'Arte esige disciplina sino all'ascesi, solitudine ed abnegazione, pure annullamento di sé per dar voce all'Idea. I veri artisti sono mistici che plasmano il silenzio e ne cavano echi di infinito. Sono scalatori che, toccata la vetta, spaziano con lo sguardo oltre il confine dell'invisibile.

Sulla china si inerpicano i filosofi che, quando oltrepassano il raziocinio, tendono l'arco del pensiero verso l’alto per scoccare il dardo dell'intuizione. Allora la riflessione perde di rigidità per splendere nel fuoco dell'aforisma e della domanda bruciante. La verità, appena proclamata, viene incenerita, l'affermazione provocatoriamente contraddetta.

Il volgo, invece, striscia sul terreno cedevole dei dogmi, prosternato davanti agli "scienziati", servi dei servi del regime.



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7 commenti:

  1. Contraddizione, incenerimento. Forse ci si dimentica o si vuole scordare che ogni cosa ne conserva un'altra opposta ad essa. La dualità non è cosa che si può comprendere tramite un pensiero troppo scissionista, una non nega l'altra ma tende il tappeto su cui ci destreggiamo.
    Ad ognuno la propria spada di Damocle, ma senza il senso di responsabilità ove finirebbe il mondo?
    L'idolatria altro non è e sempre sarà che un sotterfugio per chi non ha la consapevolezza di se.
    La piramide sociale si interseca nuovamente nella ragione più pura deviandola o estorcendola lasciando che il tutto sia un caso.
    La scienza non è priva di umanità, ma ancora credo non sia arrivata a scorgerne l'essenza.

    Ciao

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  2. Hai ragione, Fenice: un dualismo eccessivo, radicale rischia di compromettere la visione unitaria del reale. Forse è per questo è che la scienza non è mai stata (etimologia docet) tanto scissa e scindente come oggi.

    Nella tradizione cinese il Dao (Tao) non è la compenetrazione di Bene e male, ma di archetipi cosmici complementari e così vedo il male come escrescenza non redimibile. Concordo dunque con Angelo che nel suo ultimo articolo scrive:

    "Ci sono forze spirituali oggettive nemiche dell'uomo, contro le quali è necessario combattere con le armi in dotazione da sempre e cioè fede e conoscenza. Non credo in chi sostiene che il male è complementare del bene e che quindi andrebbe trasformato; o peggio, che non esiste perché tutto fa brodo".

    Ciao e grazie.

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  3. Un conto e dire ciò che è, un conto è trascendere da ciò ed innalzarlo ad una ragione più pura. Ma la ragione forse non è uno strumento e labile quanto è il pensiero?
    Se fosse così anche il bene ed il male non si saprebbero posizionare, ora comprendo il bisogno di individuare il cancro al fine di curarlo, ma per il cancro è la cura ad essere il male.
    Questo è quel che dice il Dao credo, un concetto di bene e male molto più sottile .
    Quando Angelo dice "Ci sono forze spirituali oggettive nemiche dell'uomo" e mi rifaccio alla parola uomo allora si ne do atto .

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  4. Bello, Zret, ho appena finito di commentare l'ultimo articolo di Angelo, e venendo qui constato che ne abbiamo avuta la stessa impressione. Ma non ne dubitavo, come l'ennesima sincronicità dimostra.

    La scienza oggi ha perso la "i", è diventata "scenza", e forse la pronuncia è spia sottile e fedele a un tempo della degenerazione delle cose. Perdendo il suono di quella vocale è come se avesse abdicato alla propria essenza che è quella del reale sapere, della conoscenza autentica. La scienza antica conosceva la qualità delle cose, quella moderna "crede" nelle sue misurazioni, in omaggio al dogma della quantità. Il sapere è andato perduto...

    Un saluto

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  5. Ciao Lupo nella Notte. Scrivi egregiamente: la "scienza", perdendo la "i" è diventata "scenza", ossia un sapere scemo, diminuito, menomato. E' incredibile quanto siano istruttive queste sfumature, queste differenze quasi impercettibili.

    I sincronismi ci porteranno alla sin-ergia ed alla sin.tonia? Lo spero.

    Ciao e grazie.

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  6. Fenice, credo che il pensiero dovrebbe diventare elfico, leggero, etereo e quindi tradire la sua radice semantica (da "peso"): si comprende come, in un ambito superiore, il tradimento sia necessario.

    Ciao e grazie.

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