“Misandra” è il titolo del romanzo scritto da Aurelius. Il protagonista, Mauro, è un uomo solitario e taciturno, un contemplativo, eroico nella sua ripulsa per la mediocrità dilagante: la sua anima è consacrata all’amore per Misandra, donna dalla venustà sovrumana, medusea.
Sì, un romanzo, ma sui generis, perché l’autore svolge il filo sottile dell’intreccio, simile al ricamo di un arazzo prezioso e variopinto, non tanto per raccontare, quanto per descrivere scenari di straordinaria e maestosa bellezza, per evocare sensazioni quasi ineffabili. L’opera è dunque lungi dal triviale gusto comune, adatta piuttosto a palati fini che amano delibare sapori delicati e fragranti, immergersi in atmosfere trasognate, vivere esperienze intime dove la realtà di continuo si trasfigura per assumere le sembianze più disparate, ora seducenti ora terribili.
Si suole ripetere che i classici sono i libri che non smettono mai di arricchirci, testi dove si scopre ad ogni lettura un aspetto nuovo. In “Misandra” la Natura è “classica”: l’autore, con la sua perizia e sensibilità, indugia sul mare e il cielo, le vette e le selve, i giardini fioriti e i colli, il sole, la luna, la notte, sempre rinnovando l’incanto dei colori, delle forme, dei chiaroscuri. Misandra stessa sembra assurgere a simbolo della Natura, intesa come energia primigenia che tutto genera e trasforma, nel perenne, incessante ciclo dei mondi e delle esistenze.
Ciclico è anche il viaggio di Mauro che percorre sentieri tra i boschi, cammina lungo le sponde, erra in sale di edifici esotici e misteriosi, s’imbatte in creature elusive, per ritrovarsi poi ogni volta sul limitare delle sue inquietudini (“Sentiva in sé il tormento dei desideri e della volontà, la tempesta senza fine delle passioni, la tortura della vita” - capitolo X), per essere risospinto, dissoltasi la visione, eclissatesi le immagini oniriche, nel monotono e stritolante ingranaggio della vita quotidiana, poiché “”la felicità non esiste e l’uomo che la cerca piangerà le lacrime amare della disperazione”. Per il protagonista vale l’aforisma di Novalis “Cerchiamo sempre l’infinito e troviamo soltanto cose”: eppure queste cose, che paiono a volte esalare il respiro dell’eternità, sono profondamente amate, sentite, vissute, in un abbraccio panico, in situazioni dove la sensualità si mesce ad aneliti mistici: “Oh fuggire, fuggire via per sempre dal mondo, via da se stesso, non essere più, finalmente dissolversi nell’eterno fluire del Tutto” (capitolo XIV).
“Misandra” è un’opera dove la grande lezione dei Romantici e dei Simbolisti è leggibile in filigrana: romantico è soprattutto il dissidio tra l’uomo e la società, un’insofferenza che conduce Mauro lontano dallo squallido ambiente urbano alla ricerca di un senso, di una serenità che è solo nell’oblio. (“Perché la volgarità autentica sta tutta in quella perdita volontaria di immaginazione, in quell’immergersi nella quotidianità che rende inevitabilmente limitati, anonimi, vuoti ed ottusi). Romantiche sono le atmosfere inquietanti di certi luoghi, come la profondità malinconica dei pensieri che culminano nel capitolo XX, mirabile meditazione sul fato e sulla morte. Romantica è la pittura degli orizzonti e delle prospettive: in particolare il pensiero corre ai quadri di Caspar David Friedrich, dove i viandanti, assorti e malinconici, contemplano il paesaggio per compenetrarne l’insondabile sublimità. Così le pagine di “Misandra” sono spesso olî bellissimi, percorsi da bagliori corruschi, intinti nelle ombre più cupe. Oltre che da questa cifra figurativa, il romanzo è impreziosito da accordi e cadenze musicali: i periodi, dal lessico elegante e dalle movenze solenni, non di rado lasciano avvertire l’armonia di un’assonanza, la vibrazione di una rima.
Una vasta, tragica sinfonia è l’apocalittico epilogo del romanzo: qui si compie il destino di Misandra, ancipite ed enigmatica divinità, e con lei, quello di Mauro, ora emblema di un’umanità in procinto di affrontare la sfida più importante e cruciale… l’ultima?
Sì, un romanzo, ma sui generis, perché l’autore svolge il filo sottile dell’intreccio, simile al ricamo di un arazzo prezioso e variopinto, non tanto per raccontare, quanto per descrivere scenari di straordinaria e maestosa bellezza, per evocare sensazioni quasi ineffabili. L’opera è dunque lungi dal triviale gusto comune, adatta piuttosto a palati fini che amano delibare sapori delicati e fragranti, immergersi in atmosfere trasognate, vivere esperienze intime dove la realtà di continuo si trasfigura per assumere le sembianze più disparate, ora seducenti ora terribili.
Si suole ripetere che i classici sono i libri che non smettono mai di arricchirci, testi dove si scopre ad ogni lettura un aspetto nuovo. In “Misandra” la Natura è “classica”: l’autore, con la sua perizia e sensibilità, indugia sul mare e il cielo, le vette e le selve, i giardini fioriti e i colli, il sole, la luna, la notte, sempre rinnovando l’incanto dei colori, delle forme, dei chiaroscuri. Misandra stessa sembra assurgere a simbolo della Natura, intesa come energia primigenia che tutto genera e trasforma, nel perenne, incessante ciclo dei mondi e delle esistenze.
Ciclico è anche il viaggio di Mauro che percorre sentieri tra i boschi, cammina lungo le sponde, erra in sale di edifici esotici e misteriosi, s’imbatte in creature elusive, per ritrovarsi poi ogni volta sul limitare delle sue inquietudini (“Sentiva in sé il tormento dei desideri e della volontà, la tempesta senza fine delle passioni, la tortura della vita” - capitolo X), per essere risospinto, dissoltasi la visione, eclissatesi le immagini oniriche, nel monotono e stritolante ingranaggio della vita quotidiana, poiché “”la felicità non esiste e l’uomo che la cerca piangerà le lacrime amare della disperazione”. Per il protagonista vale l’aforisma di Novalis “Cerchiamo sempre l’infinito e troviamo soltanto cose”: eppure queste cose, che paiono a volte esalare il respiro dell’eternità, sono profondamente amate, sentite, vissute, in un abbraccio panico, in situazioni dove la sensualità si mesce ad aneliti mistici: “Oh fuggire, fuggire via per sempre dal mondo, via da se stesso, non essere più, finalmente dissolversi nell’eterno fluire del Tutto” (capitolo XIV).
“Misandra” è un’opera dove la grande lezione dei Romantici e dei Simbolisti è leggibile in filigrana: romantico è soprattutto il dissidio tra l’uomo e la società, un’insofferenza che conduce Mauro lontano dallo squallido ambiente urbano alla ricerca di un senso, di una serenità che è solo nell’oblio. (“Perché la volgarità autentica sta tutta in quella perdita volontaria di immaginazione, in quell’immergersi nella quotidianità che rende inevitabilmente limitati, anonimi, vuoti ed ottusi). Romantiche sono le atmosfere inquietanti di certi luoghi, come la profondità malinconica dei pensieri che culminano nel capitolo XX, mirabile meditazione sul fato e sulla morte. Romantica è la pittura degli orizzonti e delle prospettive: in particolare il pensiero corre ai quadri di Caspar David Friedrich, dove i viandanti, assorti e malinconici, contemplano il paesaggio per compenetrarne l’insondabile sublimità. Così le pagine di “Misandra” sono spesso olî bellissimi, percorsi da bagliori corruschi, intinti nelle ombre più cupe. Oltre che da questa cifra figurativa, il romanzo è impreziosito da accordi e cadenze musicali: i periodi, dal lessico elegante e dalle movenze solenni, non di rado lasciano avvertire l’armonia di un’assonanza, la vibrazione di una rima.
Una vasta, tragica sinfonia è l’apocalittico epilogo del romanzo: qui si compie il destino di Misandra, ancipite ed enigmatica divinità, e con lei, quello di Mauro, ora emblema di un’umanità in procinto di affrontare la sfida più importante e cruciale… l’ultima?
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