31 maggio, 2014

Apprendimento senza presa


Non ad scholam sed ad vitam discimus. Impariamo non per la scuola ma per la vita. (Seneca)

Che cos’è necessario davvero imparare? Quello che è realmente significativo non può essere insegnato, ci ricorda Oscar Wilde. Tuttavia qualcosa bisognerebbe tentare di apprendere: alcuni filosofi antichi, nella loro saggezza, appuntavano la loro attenzione sul destino dell’uomo in relazione alla morte. Infatti imparare a vivere è soprattutto imparare a morire. E’ palese che è compito arduo, sebbene imprescindibile: i nostri tempi rimuovono tutto ciò che riguarda la meta ultima, offuscandola dietro una cortina di noncuranti eufemismi o con la promessa di un’immortalità transumana.

Apparentemente agli antipodi di questa “scienza della morte” è il saper fare: oggi ambedue queste competenze sono escluse dal mondo dell’istruzione, anzi della distruzione, la scuola. Qui si studiano per lo più cose inutili e talmente vacue che verrebbero in uggia anche a don Ferrante. Quasi sempre si cerca di inculcare negli allievi un atteggiamento razionalista-scientista: questo spiega perché, nei quadri orari, le discipline tecniche e “scientifiche” sopraffanno le humanae litterae. L’arte, la musica, la poesia, il teatro, il mito... hanno poco o punto spazio nel sistema educativo. Nel migliore dei casi, si valorizza l’emisfero sinistro, ma soprattutto si propaganda una mentalità utilitarista, tutta imperniata sui risultati numerici, sui voti, sui crediti, sulle percentuali. I quiz INSULSI sono la scandalosa epifania di codesta impostazione gretta e stolida.

Pietoso è nel complesso l’insegnamento delle materie scientifiche, ridotte a formule dogmatiche, ad aridi elenchi, avulsi da qualsiasi contatto con una visione della realtà in cui il sapere tradizionale è tutt’uno con l’esperienza. La Storia è isterilita nell’erudizione, la Letteratura rovinata da approcci aberranti. I libri di testo sono irti di strafalcioni e di bestialità. Su tutto grava l’ipoteca di una valutazione ossessiva, della mania di quantificare ciò che quantificabile non è: la cultura non è una sbarra di ferro di cui misurare lunghezza e peso.

Sono del tutto bandite dagli istituti le abilità manuali e pratiche: saper costruire o accomodare un utensile vale quanto conoscere la trigonometria, essere in grado di disegnare è formativo quanto la conoscenza di una lingua classica o straniera.

Attualmente un titolo studio non serve neppure più a trovare un impiego, vista la crisi artificiale che destina la maggior parte dei giovani ad un futuro di frustrante disoccupazione. Allora bisognerebbe frequentare il liceo almeno per sviluppare lo spirito critico ed il senso estetico. Disoccupati sì, ma non soggiogati dal sistema e senza talento alcuno.

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APOCALISSI ALIENE: il libro

La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

29 maggio, 2014

Il gonzo ed il bonzo


Todos caballeros

Si tende a sopravvalutare il risultato delle consultazioni elettorali. Ci si arrovella in analisi che sfociano nell’acribia. La situazione è probabilmente meno complessa di quanto si creda: Renzi, il portavoce dei poteri forti, ha trionfato con il suo Partito demoncratico, perché così ha deciso la feccia mondialista. “Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole”. Non sono certo le capacità, del tutto estranee ai burattini ventriloqui degli esecutivi, a garantire il successo nell’agone politico, quanto gli appoggi e le aderenze giuste.

Non si può escludere che siano stati perpetrati dei brogli, ma in ogni caso il guitto avrebbe vinto, anche se con un margine inferiore rispetto a quello suggerito dai sondaggi.

La forza di un partito ultrareazionario, come quello di cui è segretario il vanesio Renzi, si accresce tramite la debolezza e la cialtroneria di un’”opposizione” che, almeno nel vertice, sembra aver perseguito la sconfitta: “I toni violenti del comico Grillo non hanno certo aiutato. Anzi! Il Genovese ha commesso suicidio. D'altronde la politica annacquata dei Cinquestelle in tema di uscita dall'euro, il sì all'immigrazione selvaggia (tema caro alla P2 di Licio Gelli), il non volersi esporre su temi di importanza vitale come il signoraggio bancario e la geoingegneria clandestina, hanno sortito un esito disastroso.” (Rosario Marcianò)

Probabilmente dopo che si saranno esaurite le batterie del pupazzo Renzi, gli apparati manderanno un altro bambolotto ad incantare gli Italiani, forse lo stesso bonzo ligure, settario ed esaltato, o un simile uomo di paglia. La scena “politica” è soltanto l’avvicendamento di pupi siciliani. I progetti sono attuati, a prescindere dal fantoccio che esegue il compitino, proprio come l’intreccio di un dramma non cambia, se si cambiano gli attori.

Resta il fatto che, pur con tutte le gravissime tare ideologiche, nel Movimento cinquestelle agisce o tenta di agire qualche cittadino che addirittura è costretto ad occultare i suoi veri obiettivi, per timore di essere additato al pubblico ludibrio e con la spada di Damocle dell’espulsione. Così l’avanzata del Partito demoncratico, espressione della più becera, spregiudicata e pericolosa Realpolitik, incarna l’abbattimento degli ultimi propugnacoli di una residua partecipazione alla vita collettiva.

La disamina finisce qui, poiché non è il caso di spendere tante parole per disprezzare il ciarpame, per descrivere una classe dirigente che è infamia a sé stessa semplicemente perché esiste. Ha ragione il sarcastico narratore statunitense Charles Bukowski, quando scrive che “tra una democrazia ed una dittatura, l’unica differenza è che in una dittatura non ti devi scomodare per andare a votare”. Checché ne pensi Roman Jakobson, “democrazia” e “dittatura” sono sinonimi perfetti.


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La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

27 maggio, 2014

Cancellare


Cancellare: dovrebbe divenire un imperativo categorico.

Hanno ragione certi architetti ed urbanisti che, considerando quanto sia sfigurato l’orizzonte delle nostre città, consigliano di annullarlo. Finestre e porte-finestre prospettano su orridi casermoni, intrichi di antenne, tetre strade. Così, se ne abbiamo la possibilità, sarà opportuno ingentilire davanzali e terrazzi con vasi in cui coltivare fiori ed erbe aromatiche, con graticci dove lasciar crescere i rampicanti, ove installare frangivento, bersò e bordure. E’ meglio addirittura un parterre di piante artificiali che una skyline deturpata dalla speculazione edilizia e dai grovigli chimici.

E’ oggi pressoché impossibile favorire una simbiosi tra esterno ed interno, lasciar penetrare la luce solare, fondere il cielo con le pareti di una stanza. Così siamo costretti ad inventare gli spazi, a ricrearli secondo nuove prospettive e modalità.

E’ necessario distruggere per costruire, cancellare per disegnare. Persino un trompe l’oeil o dei faretti possono aiutarci ad evocare un piccolo eden dove il naturale e l’artificiale si integrano. Linee e tinte si insinuano, si intrecciano. Le differenze si ammorbidiscono, gli angoli si smussano.

E’ un ripiego, ma può essere anche una scelta estetica come l’esigenza di riprendere, attraverso l'intarsio dei colori ed il pentagramma delle forme, l’abitudine a contemplare il mondo esterno. E’ una consuetudine che è il preludio dell’introspezione.

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La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

24 maggio, 2014

Dall'Eden all'Inferno


Francesca Stavrakopoulou, biblista ed archeologa, appartiene a quel nutrito novero di studiosi che si approccia alla Torah secondo una rigorosa metodologia critica. Le sue ricerche in loco l’hanno condotta a chiedersi quale fu la vera natura dell’Eden, se gli antichi ebrei adoravano anche una divinità femminile, se il regno di David fu leggendario…

Tra le varie investigazioni, quella sul giardino dell’Eden è forse la più gravida di conseguenze per una visione complessiva del testo sacro e delle interpretazioni successive. La Stavrakopoulou, comparata la cultura ebraica con le testimonianze archeologiche, storiche ed iconografiche di altri popoli medio-orientali dell’antichità, propende per l’identificazione dell’Eden con un manufatto architettonico, per la precisione con il tempio di Gerusalemme, costruito su progetto dell’architetto fenicio Hiram per volontà del re Salomone. L’ipotesi può apparire audace, soprattutto perché un tempio non è un verziere: tuttavia l’edificio era adornato con motivi vegetali (foglie di palma, melegrane etc.) e, da un punto di vista metaforico, può essere considerato il giardino di YHWH, la sua dimora.

Ha ragione la biblista, quando interpreta i Cherubini del Paradiso terrestre come ieratiche figure antropozoomorfe riconducibili a sculture simili con cui i re della Mezzaluna fertile abbellivano palazzi e templi. La Stavrakopoulou ritiene che la storia di Genesi non riguardi i progenitori di tutta l’umanità, ma solo un’etnia ed i suoi miti di fondazione. Lo stesso Adamo adombrerebbe un re giudeo detronizzato da un avversario più potente. Questa ci sembra un’esegesi forzata che soprattutto cancella lo sfondo senza dubbio sumerico di Genesi.

A ragione Zecharia Sitchin, Biagio Russo et al., come è notorio, reputano l’Eden un luogo coltivato. Il termine probabilmente origina dall'ugaritico 'dn', con il significato di "posto in cui scorre molta acqua", "luogo ben irrigato", a sua volta dall’accadico edinnu, “pianura”. La fonte è il sumero edin, eden, "steppa", "pianura". Nella Bibbia è descritto come una plaga dalla vegetazione lussureggiante e ben delimitata.

Il libro del profeta Ezechiele 28: 12- 14, ci offre una descrizione dell’Eden che taluni specialisti ritengono più antica del racconto di Genesi. YHWH si rivolge ad Ezechiele con queste parole: “Figlio dell'uomo, intona un lamento sul principe di Tiro e digli: ‘Così dice il Signore Dio, pieno di sapienza, perfetto in bellezza; in Eden, giardino di Dio, tu eri coperto d'ogni pietra preziosa, rubini, topazi, diamanti, crisoliti, onici e diaspri, zaffiri, carbonchi e smeraldi; e d'oro era il lavoro dei tuoi castoni e delle tue legature, preparato nel giorno in cui fosti creato. Eri come un cherubino ad ali spiegate a difesa; io ti posi sul monte santo di Dio e camminavi in mezzo a pietre di fuoco”.

La raffigurazione è evocativa e sembra suffragare la congettura della Stavrakopoulou, secondo cui il giardino è una sontuosa costruzione consacrata a Dio, impreziosita da gemme rutilanti e da lamine d’oro.

L’Eden era dunque a Gerusalemme? Capitale del regno ebraico dal 1070 a.C in poi, dopo la divisione della nazione in due regni, (997 a.C.), Gerusalemme continuò ad essere la capitale del regno meridionale di Giuda. Il nome più antico della città di cui si abbia memoria è “Salem” (Ge. 14:18). Il toponimo è presumibilmente da associare ad una divinità semitica occidentale chiamata Salem. Il presunto fondatore del Cristianesimo, Shaul- Paolo (Eb. 7:2) spiega che il vero significato della seconda parte del nome è “pace”, ma pare una falsa etimologia. Nei testi accadici la città era chiamata Urusalim o Ur-sa-li-im-mu. Nel toponimo si può staccare la base Ur che significa “città” nell’idioma dei Sumeri.

I primi abitanti di Gerusalemme furono i Gebusei, un gruppo di Cananei: “Urushalim”, da cui deriva “Gerusalemme”, è una parola cananea-amorrea che significa “fondato dalla divinità Shalem” e la città ha una storia che va ben oltre quella del popolo ebraico, risalendo ai Sumeri.

Gerusalemme è nota anche, per sineddoche, come Sion, toponimo dall’etimo oscuro. ll monte Sion è un'altura di 700 metri sul livello del mare. Su questo poggio si formò il nucleo originario della futura Gerusalemme.

Sitchin opina che il Monte Moriah, dove fu poi eretto il Tempio, fosse un luogo dove gli Annunaki istituirono il secondo centro di controllo della missione dopo il Diluvio universale. Prima del cataclisma, questa base era ubicata a Nippur, ma, dopo che le inondazioni sommersero la Sumeria, fu deciso di creare un altro spazio-porto proprio nel sito che in seguito ospitò Gerusalemme, città sacra per le tre religioni monoteiste medio-orientali, perché furono gli “dei” a fondarla. Sotto il basamento della Spianata delle moschee si dovrebbero trovare monoliti di eccezionali dimensioni e peso, come a Baalbek.

Che sia o no quella di Sitchin una ricostruzione fantasiosa, è incontestabile che Gerusalemme è città decisiva per Ebrei, Cristiani e Musulmani. A Gerusalemme predicarono i Messia ed il profeta Maometto fu assunto in cielo là dove oggi si staglia la scintillante Cupola della roccia.

Dante, che fu iniziato oltre che sommo poeta, riconosce il ruolo centrale della città ma – singolare scelta – vi colloca nei pressi l’ingresso dell’Inferno.

Con un volo pindarico, lungo il solco che si immerge nelle viscere del pianeta, possiamo accennare alla pellicola “Matrix” dove Zion-Sion, è l’unico centro di "Matrix” in cui gli uomini sono liberi, ma è situato (non è poi così strano) nelle profondità della Terra. Simboleggia la Terra Promessa per l'equipaggio della nave. Un simbolismo biblico ed onirico è collegato anche al nome della nave, Nebuchadnezzar (Nabucodonosor). Nebuchadnezzar, re di Babilonia, fu istruito in sogno da Dio per distruggere gli abitanti di Gerusalemme che adoravano falsi profeti.

Che Gerusalemme sia la “città della pace” donde si irradia la luce per l’umanità è forse un sogno romantico, come tutti i sogni destinati a dissiparsi con il risveglio.

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21 maggio, 2014

Scacco matto


Cerchiamo di tendere i vocaboli ad esprimere significati inattingibili, abissali. In questo parossismo, in questo spasmo verso l’indicibile restano solo brandelli di linguaggio, a somiglianza di alghe sfilacciate dalle correnti.

Il campo in cui il ragionamento, insieme con la lingua che traduce le argomentazioni, fallisce in maniera più clamorosa, è quello del male. Il male, essendo privo di logica e di senso, sfugge alla presa dell’intelletto che è, in primo luogo, ricerca di senso. Non ne comprendiamo né la genesi né soprattutto l'ipertrofia e gratuità.

Le giustificazioni del male pullulano, ma sono una più misera dell’altra. Sono ridicole: così la tragedia dello scacco è, per così dire, intercalata da episodi comici, di comicità involontaria ed amara.

Il male, prima di intaccare il bene, di erodere la fede (per chi ha fede), l’armonia, è una sfida al pensiero, un oltraggio.

Viene il giorno in cui ci accorge che le domande sono vane come le risposte, sempre fuori fuoco, destinate a perdersi nell’oceano infinito dell’assurdo, come il messaggio in una bottiglia, una richiesta d'aiuto che mai nessuno leggerà.

Se il discorso abortisce di fronte all’inesplicabilità del mysterium iniquitatis, il silenzio non è meno fragile ed inefficace. Alla fine parole e silenzi sono equivalenti, intercambiabili, perfettamente inutili.

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17 maggio, 2014

Rileggere alcuni aspetti del Cristianesimo (terza ed ultima parte)

Leggi qui la seconda parte.

I cliché interpretativi più stucchevoli riguardano Costantino: non esiste alcun editto di Milano emanato nel 313 d.C., ma una circolare applicativa del provvedimento voluto da Galerio. Costantino non inventa il monogramma cristologico, contrassegno più antico. Favorevole ai Niceni e, pur con qualche retromarcia agli Ariani, vede nelle varie comunità cristiane delle possibili alleate nel consolidamento del suo potere. Profondamente pagano, Costantino, prima della battaglia di Ponte Milvio, scorge nel firmamento la costellazione del Cigno: ecco spiegata la pia leggenda della Croce e la frase “In hoc signo vinces”. La cosiddetta “pace della Chiesa” attribuita ad un Costantino, uomo della Provvidenza, coincide con le più crudeli vessazioni nei confronti di tutte quelle comunità cristiane che in ottemperanza degli insegnamenti evangelici, rifiutano ogni compromesso con le autorità di un mondo il cui Principe (Arconte) è Satana.

Potrei continuare a snocciolare altre distorsioni sulla storia del C., a sfatare altre storie edificanti, ma mi fermo qui, perché vorrei riprendere la questione centrale. Ha senso evocare una una campagna anti-cristiana per sradicare ciò che resta del senso religioso, dal momento che il concetto di C. è tanto controverso? Questa etichetta si può attaccare un po’ a tutto ed al contrario di tutto: dal Cattolicesimo alle fanatiche congregazioni statunitensi, dai Testimoni di Geova alla sparuta comunità tedesca di cristiani vegetariani. Riferirsi ad una crociata anti-cristiana mi pare una semplificazione, tanto più riduttiva quanto più il quadro è complesso e contraddittorio.

Ammettiamo pure per assurdo che la Chiesa di Roma non sia almeno in uno dei suoi vertici pesantemente coinvolta nel mondialismo più empio che ateo, anche per mezzo del presente gesuitico papa, si può ritenere che essa custodisca il senso del sacro o, nel migliore dei casi, non è oggi una specie di sindacato dei poveri e dei derelitti? Anche qui, però, le incongruenze sono colossali: infatti, mentre prelati e sacerdoti si sgolano per invocare la giustizia, il rispetto per il creato, l’amore per la verità e tante altre belle cose, non solo non accennano mai alle questioni decisive (geoingegneria clandestina, potere delle banche, élites sataniste…), ma soprattutto agiscono nella direzione opposta. Il Vaticano è una costola della C.I.A., una protesi della N.A.S.A., un’articolazione della N.A.T.O. Ha interessi enormi nel mondo finanziario e persino nell’industria bellica, attraverso l’Opus Dei, lo I.O.R. e le banche cattoliche. E’ favorevole alle sementi transgeniche, alle vaccinazioni, alla medicina ufficiale. Sostiene i governi totalitari, come quelli italiani. Coopera con criminali come Kissinger o Obama. Propala le menzogne sui cambiamenti climatici dovuti al biossido di carbonio.

L’ateismo di Michel Onfray e sodali è risibile, quando si pensa al sacrilego “culto” degli Oscurati, questo sì foriero di sradicamento del sacro come del profano, insulto allo Spirito come alla Natura. Fino ad oggi non si è levata ancora, all’interno delle chiese cristiane o sedicenti tali, una sola autorevole ed intrepida voce contro la cupola globalizzatrice, a difesa della vita, della verità, dei valori spirituali.

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13 maggio, 2014

Tesla e Reich: contatti con gli extraterrestri? (seconda ed ultima parte)

Leggi qui la prima parte.

Wilhelm Reich (Dobrzcynica, Galizia, 1897 – Lewisburg, Pennsylvania, 1957) è lo psicanalista austriaco appartenente alla seconda generazione dei dissidenti freudiani. Dopo aver studiato biologia, si laureò in medicina nel 1922. Fu attivo a Vienna prima del 1930 in consultori psicanalitici popolari, poi a Berlino, dove collaborò con il Partito comunista tedesco (K.P.D.). Nel 1933, in seguito alla pubblicazione del saggio "Psicologia del fascismo", fu espulso dal K.P.D. Costretto all’esilio dall’avvento del nazionalsocialismo, si trasferì negli Stati Uniti, dove fondò nel Maine un Orgone Institute. Dal 1947 entrò in attrito con le autorità statunitensi per le sue idee politiche e per i sistemi terapeutici da lui adottati. Nel 1956, accusato di ciarlataneria, fu condannato a due anni di carcere: molti suoi libri furono distrutti o requisiti dall’F.B.I., mentre le apparecchiature furono smantellate. Reich morì nel 1957, nel penitenziario di Lewisburg. Sino all'ultimo confidò che qualcuno in alto loco potesse dare l'ordine per la sua scarcerazione. Invano.

Secondo Reich, la libido, espressione fondamentale degli organismi viventi, è strettamente legata al sistema neurovegetativo ed è una manifestazione specifica di ciò che Reich definisce “orgone”, un’energia che pervade la natura. L’orgone può essere misurato ed adoperato con fini terapeutici, per i quali lo psicanalista aveva messo a punto appositi “accumulatori orgonici”.

Alcuni ricercatori identificano l’orgone con l’etere cosmico, un mezzo elastico e trasparente, ipotizzato, fino all’inizio del secolo XX, come substrato per la propagazione delle onde luminose e per la trasmissione a distanza di forze come quella gravitazionale. L’ipotesi dell’etere cosmico fu abbandonata dopo l’esperienza di Michelson e Morley e con l’elaborazione della teoria della relatività.

Nonostante ciò, la nozione di etere continua ad essere considerata valida da studiosi eterodossi, sia perché assimilabile o, in qualche modo, correlata a concezioni tradizionali ed esoteriche (si pensi al prana ed al qi della cultura cinese), sia perché il concetto di vuoto assoluto è stato superato, grazie agli sviluppi della fisica quantistica. Infatti il vuoto non è vuoto. Questo fatto, estraneo ai paradigmi concettuali della fisica classica, è, invece, un dato incontrovertibile per la fisica quantistica. Infatti, se all’interno di un sistema, togliamo ogni particella ed ogni campo, rimane sempre un’energia di fondo, la cosiddetta energia (o fluttuazione) del “vuoto”, definita anche energia del punto zero. Questa energia, rilevata attraverso l’esperimento ideato dallo scienziato olandese Casimir, ancora non è ben conosciuta, ma sembra che rivesta un ruolo fondamentale sul piano cosmico e non solo. L'energia della fluttuazione del vuoto è quantizzata, ovvero non è distribuita in maniera continua, ma in quanti, pacchetti discreti. I quanti di energia hanno la possibilità di creare coppie di elettroni e positroni (le antiparticelle degli elettroni, quindi di carica positiva) che, dopo aver vissuto un’”esistenza” per tempi brevissimi, si annichiliscono a vicenda, riformando il quanto di energia che li aveva generati.

Reich individua anche un’energia stagnante e distruttiva, definita Dor, ossia Orgone mortale, deadly orgon, all’origine del deterioramento e della desertificazione subiti dalla biosfera. Scrive Giacomo Casale: “Per meglio studiare il processo di desertificazione e la possibilità di combatterlo, Reich organizzò nell'ottobre del 1954 una spedizione in Arizona, nei pressi di Tucson che chiamò Expedition Orop Desert Ea. I risultati di questa straordinaria esperienza furono pubblicati con il titolo di “Contact with space”,1957. Il termine Ea significa “energy alfa” o “energia primaria”, quindi energia orgonica cosmica. Questo ci introduce al controverso capitolo riguardante i cosiddetti oggetti volanti non identificati (U.F.O.). Wilhelm Reich iniziò ad interessarsi a questo soggetto durante l'esperimento Oranur.

Dopo aver letto alcuni libri sull'argomento si convinse che gli U.F.O. esistevano e della loro provenienza da altri pianeti. Dapprima considerò gli occupanti degli U.F.O. come amichevoli, ma successivamente li ritenne responsabili del processo di desertificazione del pianeta attraverso la deliberata immissione nell'atmosfera di Dor e finì con il considerarli il prodotto di una civiltà decadente. Ritenne anche che la propulsione dei dischi volanti fosse dovuta ad una tecnologia altamente avanzata in grado di impiegare l'energia orgonica, cosa che, in base ai suoi studi sulla gravitazione, spiegava le stupefacenti capacità di volo di questi apparecchi.

Durante la spedizione in Arizona risultò chiaro a tutti i partecipanti che il lavoro di ripristino della normale pulsazione atmosferica, grazie alla rimozione del dor eseguito con i cloud-buster, era regolarmente seguita dalla ricomparsa di dor come conseguenza del passaggio di oggetti volanti, osservati sia di giorno sia di notte. [...] In “Contact with space” sono riportate alcune drammatiche esperienze in cui ‘stelle’ nel cielo notturno, sotto l'effetto diretto di appositi dispositivi, denominati space guns, cambiarono il loro colore fino a scomparire.

Tuttavia, in tali occasioni il melanor (una forma particolarmente concentrata di dor o energia letale), che Reich scoprì essere un sottoprodotto del sistema propulsivo degli U.F.O., sottoprodotto avente l’aspetto di una polvere nera, era caduto abbondantemente a terra quando le navette aliene avevano sorvolato il laboratorio, causando a Reich ed ai suoi collaboratori una serie di malesseri tra cui sete, spossatezza, senso di oppressione etc.


E’ una coincidenza se sia Tesla sia Reich inciamparono negli Altri in plaghe desertiche? Sono zone in qualche modo idonee ad un contatto?

Da rilevare la differente concezione dei due ricercatori circa le nazioni stellari: mentre l’inventore serbo coltivò un’idea romantica delle civiltà aliene, la stessa che è al centro delle edulcorate sciocchezze sulla Federazione galattica, il discepolo di Freud dipinse un quadro a tinte fosche. E’ un quadro che, sulla base degli studi successivi e della situazione effettuale, ci sembra più realistico, sebbene unilaterale.

Forse l’intuizione più folgorante di Reich riguarda la visione degli alieni come una civiltà degenere per cui lo sbalorditivo avanzamento tecnologico è inversamente proporzionale all’evoluzione etica e spirituale. Si spiegherebbe per quale ragione, nella stragrande maggioranza dei casi, gli incontri con gli Stranieri sono forieri di danni e di interferenze. Eventuali popoli di pianeti lontani o di altre dimensioni (ma la differenza è sottile. Si veda in proposito Il caso di Filiberto Cardenas: ridefinire i criteri della ricerca, 2012) giunti all’acme del progesso tecnico-scientifico, fatalmente perdono la coscienza. Sono proprio costoro che possono o superare le distanze siderali o muoversi attraverso una scienza magica, weird science, tra i piani di realtà. Sembra il destino di codesta umanità ormai avviata, a causa soprattutto di una tecnologia disanimante, verso una metamorfosi involutiva, l’ultima mutazione antropologica, preludio di un’irreversibile reificazione.

Fonti:

G. Andrews, Extraterrestri amici ed ostili, Diegaro di Cesena, 2001, passim
G. Casale, Wilhelm Reich: energia orgonica e dischi volanti, 2005
G.L. Margheriti, Gli uomini più misteriosi della storia, 2014
J. Spencer, The U.F.O. encyclopedia, New York, 1991


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09 maggio, 2014

Antropologia e politica


Non sarà l’uomo a risolvere i problemi dell’umanità.

Ancora qualcuno crede alle ricette ed alle promesse dei patetici “politici”? Spero proprio di no. Ammesso e non concesso che davvero qualcuno intenda agire per il bene della collettività, non si scontrerà con ostacoli insormontabili?

Almeno dai tempi di Platone si teorizza lo stato ideale: si sono solo costruiti organismi pessimi. Perché lambiccarsi per delineare un modello di governo perfetto, un paradigma di democrazia, quando ci ritroviamo con il peggiore degli stati possibili pressoché in ogni dove?

Si sono soltanto vagheggiate utopie, spesso pericolose come ci avverte Emil Cioran. Basti pensare al Cristianesimo, la “religione dell’amore” secondo la vulgata (in realtà la comunità dei Nazirei era tutt’altro che pacifica) capace solo di generare il monstrum della Chiesa. Se certi valori furono proclamati, essi non fecondarono per nulla la società e, a distanza di duemila anni, possiamo constatare il totale fallimento delle “magnifiche sorti e progressive” proclamate dai primi “cristiani”, Paolo in primis.

Il discorso vale anche per tutti quegli autori che si illusero di poter definire un modello statuale organico. Gli specula principis medievali sono opere i cui intenti sono tanto nobili, quanto irrealizzabili. E’ un disegno che palesa dabbenaggine nel momento in cui si crede di poter concretare certe idee. Non sfugge a questa imbarazzante sublimazione Dante con il trattato in tre libri, De monarchia. La verità è sconvolgente: tra ideale e reale il divario non è ampio ma infinito.

Pochi pensatori compresero la vera natura del potere: tra questi Machiavelli e soprattutto Guicciardini. Il “segretario fiorentino” con amarezza constata come sia impossibile coniugare etica e politica; il secondo, inariditasi anche l’ultima vena di idealizzazione con cui Machiavelli descrive uno stato forte, ma, nel complesso eretto nell’interesse della comunità, registra l’assoluta spregiudicatezza degli apparati che schiacciano l’individuo privo di “discrezione”.

Lo Stato è visto ora come necessità ineludibile (Hobbes) ora come male assoluto (Marx e Nietzsche); di converso è glorificato da chi, si pensi a Hegel, tratteggia un consorzio sociale e politico che non è mai esistito e mai esisterà. Si è che le teorie devono fare i conti con la “verità effettuale”, con la natura umana. Sono conti molto salati.

Non so se l’uomo sia naturalmente incline al bene o al male: so, però, che nel corso della storia l’unica compagine in cui di solito regna l’armonia è quella formata da un solo individuo. Già, quando si è in due, cominciano i problemi: non oso pensare quali dissidi si generano in comunità ampie, formate da milioni di persone. Certo, poi interviene un diabolico (in senso letterale) esecutivo di turno a sistemare le cose. Povera umanità, incapace di governarsi e che delega ogni autorità a chi la governa con la coercizione e la frode! Si rinuncia alla libertà con il sogno di ottenere un po’ di sicurezza: ci si accorge dopo poco tempo, di aver perso entrambe. Per sempre.

Esistono forse le eccezioni: le società gilaniche, alcune tribù di nativi americani in cui ognuno ricopriva il suo ruolo, senza prevaricazioni ed in sintonia con il prossimo; la Comune del 1871, i consigli di Liebknecht e Luxembourg... ma sono esempi sporadici, effimeri, non scevri da una certa dose di trasfigurazione, di nostalgico ripiegamento.

E’ possibile dunque ipotizzare un’amministrazione volta a garantire i diritti dei cittadini, sancendo solo i doveri davvero ineludibili? Horkheimer auspica che lo Stato sia diluito in una forma di conduzione il più possibile leggera, quasi impalpabile. Purtroppo non solo il suo auspicio è rimasto lettera morta, ma addirittura siamo costretti a rilevare che, con il passare del tempo, le strutture di potere diventano sempre più tiranniche, pur dietro le pallide parvenze della democrazia (in realtà demoncrazia). Non solo, ci dobbiamo sorbire i peana in onore delle “democrazie occidentali” per opera di servi del sistema, come Karl Popper.

Di fronte ad una situazione siffatta si può solo sperare in un sovvertimento radicale e definitivo di ogni Stato, nel crollo di tutte le istituzioni che sono irriformabili. Alla loro natura degenere si somma la natura comunque ambigua dell’uomo di cui né la morale né la religione né l’educazione possono sradicare i difetti che anzi scaltri personaggi alimentano e strumentalizzano. Si innesca una climax in cui il male individuale si moltiplica a causa della nequizia connaturata alle classi dirigenti tutte.

Si può sperare in un cambiamento, in un’evoluzione dell’uomo, una palingenesi tale da costituire la premessa per un mondo migliore? Atroce è non avere le risposte; ancora più atroce sapere che a pochi importa cercare risposte e risoluzioni.

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06 maggio, 2014

Fantasmi


“La mia testa è piena di fantasmi”. Così rispose il fisico Ettore Majorana ad Enrico Fermi che vide lo scienziato siciliano intento a bruciare un quaderno di appunti. Il poliedrico Majorana era, come tutti gli spiriti magni, simile ad un parafulmine che attrae le idee più folgoranti. Chi, come lui, è in grado di vedere oltre, è accecato dalla luce del silenzio, attraversato dai raggi lancinanti della verità.

Viene in mente una sentenza del maestro gnostico Basilide: “L’uomo è un accampamento di demoni”. Che cos’è, infatti, l’uomo se non un catalizzatore di energie, un crocevia di mondi, di pensieri, di spettri? Da lì si dipartono i sentieri che conducono alla conoscenza ed all’infinito, ma la conoscenza è trafittura e l’infinito, contenuto nell’angusto tabernacolo dell’io, esplode in mille frantumi.

Una mente sublime come quella di Majorana e degli altri geni sublima il non-senso, si innalza oltre le vette delle intuizioni, esplora i templi siderei e le costellazioni delle particelle, ode la musica che non fu mai udita e pronuncia a fior di labbra la parola che partorì l’universo.

Uno spirito eccelso aborre dalla tranquilizzante normalità borghese: tuttavia se il piatto materialismo lo disgusta, non trova requie neppure traversando le sconfinate lande dell’anima. Qualcosa gli manca, sempre. Nulla sembra estinguere la sua sete di illimitato: anche l’immenso per lui è poco.

Il suo destino è la solitudine. Le sue risposte sbriciolano le domande: egli sa che non esistono né le une né le altre. Egli sa che il male non ha alcuna giustificazione.

E’ calzante la descrizione di Baudelaire: l’albatro, che si muove goffo sulla tolda tra gli scherni dei marinai, poco tempo prima volava maestoso nel cielo.

Da lassù la sua vista spazia. E’ una vista ancestrale: si spinge nell’abisso del principio là dove un nulla annoiato si protende nell’ignoto e nel futuro. Reduce dall’avventura ai margini dell’ineffabile, il genio proclama al gregge umano il vero, ma nessuno può capirlo e la sua voce subito si scioglie come neve al sole.

La sua dissonanza con il mondo è segno di inarrivabile grandezza. I fantasmi che si agitano in lui sono gli interlocutori di un dialogo incessante, mentre gli uomini sono larve evanescenti.

Un giorno Majorana si confidò con Edoardo Amaldi: “La Fisica è su una strada sbagliata. Siamo tutti su una strada sbagliata”. Forse è l’unica strada, quella su cui sdruccioliamo, tracciata sin dalla fondazione del mondo.

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03 maggio, 2014

Un suggerimento a proposito del sincronismo junghiano


Il sincronismo junghiano è una coincidenza significativa che esula dal nesso di causa-effetto, lasciando trasparire una relazione non locale ed ucronica tra due fenomeni. Teorizzato e studiato, come è noto, dallo psicologo Carl Gustav Jung e dal fisico Wolfgang Pauli, del sincronismo sono state fornite ipotesi interpretative più o meno convincenti, anche se manca una spiegazione che lo situi all’interno di un modello esaustivo del reale.

Tale manifestazione sembra indicarci che il mondo delle cause e delle conseguenze (quindi in una certa misura anche l’idea di libero arbitrio) è soltanto una sottile pellicola che copre un’essenza assai differente, un quid dove il tempo e lo spazio assumono inedite configurazioni. E’ l’universo esplorato, tra gli altri, da alcuni filosofi e dai fisici quantistici. E’ una twilight zone dove le “leggi” naturali del macrocosmo slittano in una dimensione contro-intuitiva. Qui le distanze, anche quelle siderali, perdono di significato; qui la “causa” può precedere l’”effetto” ed il tempo può scorrere dal futuro verso il passato.

Si genera una sintonia tra le cose, si intravede un sottile disegno che unisce le parti di una composizione più ampia, come l’ordito e la trama di un arazzo che, osservati alla giusta distanza, delineano figure e sfondi.

Per quanto mi consta, nessuno ha mai considerato la possibilità di raccogliere i sincronismi che costellano la nostra vita: si tratta di annotare, di volta in volta, la parola o l’espressione che si fissano in un istante sincronico. La successione dei vocaboli o dei sintagmi potrebbe produrre una sequenza significativa, un enunciato dotato di logica? E’ un esperimento che si può compiere agevolmente, magari riportando anche la data e l’ora in cui si incappa nella concomitanza.

Dopo aver ottenuto la frase (si dovranno inserire articoli, preposizioni etc.) e la serie numerica, si potrà tentare di stabilire se esse sono del tutto casuali o se paiono contenere una ratio, suscettibile poi di eventuali ulteriori esegesi ed inquadramenti teorici.[1]

[1] Quale dovrà essere la lunghezza della proposizione? Ricordando che per un singolare concorso in italiano gli enunciati tendono a configurare degli endecasillabi (versi di undici sillabe metriche), si potrebbe costruire una locuzione riconducibile alla misura di un endecasillabo.

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