31 dicembre, 2013

La piramide di La Mana e la piramide del dollaro: continuità-discontinuità con il passato

La piramide di La Mana è un singolare manufatto rinvenuto nella foresta pluviale dell’Ecuador alcuni lustri addietro. E’ un oggetto litico sulla cui cuspide è incastonato un occhio. Al di sotto si allineano tredici gradini dove sono tracciati i mattoni. Sulla base si notano piccoli intarsi dorati che raffigurano la costellazione di Orione nonché un’epigrafe che il professor Kurt Schildmann, presidente della Società linguistica tedesca, ha tradotto nel modo seguente: “Il figlio del Creatore è in viaggio”. Esposto a luce ultravioletta, dall’occhio dell’artefatto si sprigiona un bagliore quasi fosforescente, mentre i gradini si accendono di riverberi azzurrognoli.

Il pensiero corre subito alla piramide effigiata sul dollaro: anch’essa ha tredici livelli e sul vertice è effigiato un occhio. Il disegno del solido con l’occhio onniveggente, rappresentato sulla banconota statunitense, fu creato dall’erudito gesuita Atanasius Kircher, come immagine di copertina del suo libro, Mundus subterraneus (1664-1678), ma evidentemente la concezione è molto più antica, anzi atavica.

La piramide di La Mana è un oggetto fuori contesto, poiché non è riconducibile alle culture pre-colombiane, laddove è descritta in varie tradizioni, tra cui quella che risale alla Confraternita del Serpente. Questa simbologia si reperisce nella Bibbia (il serpente di bronzo), nel mito, nell’alchimia, nell’araldica, nelle logge massoniche, nelle società segrete…

Lo studioso Diego Marin vede nel serpente una genealogia: “Alla fine degli anni ’60 del XX secolo, un documento di origine incerta, detto ‘Serpente rosso’ o ‘Le serpent rouge’, venne alla luce nella Biblioteca nazionale di Parigi. Conteneva le linee di sangue degli Illuminati, insieme con una pianta della Chiesa di St. Sulpice, il centro cattolico in cui si svolgevano studi di occultismo. I presunti autori dell’opera, Pierre Feugere, Louis Saint-Maxent e Gaston de Koker morirono tutti a distanza di ventiquattro’ore l’uno dall’altro, il 6 e 7 marzo 1967”.

Altri autori ritengono che il serpente adombri una stirpe di Rettili. E’ importante stabilire se in un remoto passato esistette un lignaggio non appartenente a Homo sapiens. E’ possibile che varie specie, Ominidi e no, vissero e convissero sulla Terra: alcune si estinsero, altre si mescolarono. Le indagini antropologiche, archeologiche e genetiche, sebbene disdegnate dalla “scienza” accademica”, hanno raccolto molti indizi a sostegno di una totale rivisitazione della storia. Sono indagini da cui emergerebbe che una categoria di Ominidi fu il risultato di ingegneria genetica, mentre altre ebbero diversa origine: a tale distinzione sembra alludere la Torah, quando indugia sui figli di Seth, contrapponendoli ai figli di Caino. È indubbio che, secondo il Pentateuco, non tutto il genere umano discende da un’unica coppia: quando Adamo ed Eva procrearono, esistevano già altre genti, come si arguisce, ad esempio, da Genesi, 4, 15, dove è spiegato che Dio impone un segno a Caino affinché egli non sia ucciso da chi lo avesse incontrato. Ora, è palese che non tutti gli abitanti della Terra sono nati da Adamo ed Eva, visto che Caino potrebbe imbattersi in altri uomini, una volta espulso dalla sua terra natia.

Disse Caino al Signore: "Troppo grande è la mia colpa per ottenere perdono. 14. Ecco, tu mi scacci oggi da questo suolo e dovrò nascondermi lontano da te; io sarò ramingo e fuggiasco sulla terra e chiunque mi incontrerà mi ucciderà". 15. Ma il Signore gli disse: "Ebbene, chiunque ucciderà Caino subirà la vendetta sette volte!". Il Signore impose a Caino un segno, perché nessuno, incontrandolo, lo colpisse. 16. Caino si allontanò dal Signore e abitò nella regione di Nod, a oriente di Eden”.

Se è rilevante tentare di comprendere quali specie si insediarono nei continenti del pianeta, è decisivo definire la natura della civiltà predominante i cui tratti intellettuali (nell’architettura soprattutto, ma anche nelle tecniche metallurgiche, nella cultura materiale, nella medicina, nell’immaginario simbolico etc.) si riscontrano ad ogni latitudine.

Fu una civiltà predatrice o evoluta sotto il profilo etico? Probabilmente dapprincipio fu una civiltà animata per lo più da princìpi nobili, ma, con il passare del tempo, prevalsero in essa i disvalori. Le classi dirigenti furono infiltrate da individui spregiudicati, avidi di potere che si fregiarono dei simboli appartenenti alle élites sagge: di quei simboli distorsero i significati. Questo spiega, ad esempio, perché l’occhio onniveggente, da immagine evocante la provvidenza del Creatore, si degradò ad icona di un potere perverso che tutto e tutti vuole controllare. E’ plausibile che la cosiddetta Fratellanza bianca, ossia un collegio di persone illuminate, tentò sin dall’inizio di opporsi alla tracotanza degli Oscurati, devoti al male e risoluti a dominare l’intero pianeta. Tuttavia la Fratellanza bianca, sempre più minacciata, fu costretta alla clandestinità: come gruppo iniziatico trasmise le sue conoscenze di generazione in generazione sino ad oggi. Come un rivolo la Sapienza ancestrale fluisce fino a questa età del ferro, ma pochi hanno sete della vera conoscenza e l’aridità dei tempi attuali rischia di disseccare l’esile ruscello.

Questa ricostruzione ipotetica potrebbe permetterci di superare l’antinomia che aduggia le monumentali realizzazioni dell’antica civiltà planetaria: da un lato sono opere che suscitano deferente ammirazione, dall’altro si avverte qualcosa di sinistro, pur nella maestosità. Si consideri il caso di Gobekli Tepe, in Turchia, il santuario che forse fu eretto da una progenie ormai incline al male, come indurrebbe a ritenere il suo collegamento con Orione. Orione di solito nei miti antichi per giungere fino all’ufologia contemporanea, è connesso ad influssi deleteri e ad esseri malvagi. Tra l’altro il complesso di Gobekli Tepe fu sotterrato, come se i suoi costruttori ad un certo punto avessero deciso di nascondere qualcosa che doveva restare segreto o di cui si vergognavano.

Infine un suggestivo manufatto come la piramide di La Mana, insieme con molte altre testimonianze, non solo ci sprona a rileggere le ere trascorse, ma ci porta ad interrogarci sulla continuità-discontinuità di una discendenza, sulle ramificazioni e tralignamenti, nell’attesa che – se ancora dispone della necessaria forza – il sodalizio dei giusti passi al contrattacco.

E' il nostro auspicio per il 2014.

Fonti:

M. Biglino, La Bibbia non è un libro sacro, 2013
F. Carotenuto, Il mistero della situazione internazionale, 2013
K. Dona e R. Habeck, La piramide di luce di La Mana
D. Marin, Il segreto degli Illuminati, 2013


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La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

29 dicembre, 2013

Fenimore Cooper ed i brontidi


James Fenimore Cooper (Burlington, New Jersey, 1789 – Cooperstown, New York, 1851) è scrittore statunitense. Le impressioni infantili del paesaggio di frontiera, dove crebbe, e la giovanile esperienza del mare, intrapresa dopo l’espulsione da Yale, modellarono la sua immaginazione di romanziere, creatore di nuovi miti per un mondo nuovo. Saggista e romanziere, è alla narrativa che Cooper deve la sua fama. Ancor più del ciclo dei romanzi di mare, ammirati da Melville e da Conrad e la trilogia di romanzi storici, sopravvive oggi la serie di avventure dedicate alle varie fasi dell’esistenza di un pioniere, la guida Natty Bumppo: in questo ciclo, tra cui spicca il celeberrimo “L’ultimo dei Mohicani”(The last of Mohicans, 1826), l’autore creò l’archetipo dell’eroe statunitense che per istinto evade dalle costrizioni della vita civile per cercare un rapporto con la natura, affine, nella sua ricerca di autenticità, a quello dei nativi americani, fratelli o avversari. La potenza e la qualità esemplare del mito narrativo creato da Cooper esercitarono un notevole influsso sul corso della letteratura posteriore.

Fenimore scrisse anche un racconto lungo intitolato “The Lake gun”. L’ambientazione è quella di molte altre storie: la frontiera dove i Bianchi ed i Nativi si incontrano e si scontrano. E’ una terra ancora selvaggia, avvolta nelle brume che esalano dal Lago Seneca (New York). Il narratore apprende, in analessi, da un nativo appartenente alla tribù Seneca la ragione dei misteriosi boati che si odono nella regione: è la voce profonda di Manitou che esprime in tal modo la sua riprovazione per le decisioni assunte da un demagogo. Costui, infatti, in passato aveve convinto la sua gente a tradire le proprie tradizioni, ad abbandonare le consuetudini che le consentivano di vivere in armonia con il creato. Fenimore fornisce così, intrecciando leggende a testimonianze, la spiegazione leggendaria dei sordi brontolii che si sentono ancora oggi presso il Lago Seneca ed in altre zone del pianeta.

Dunque il fenomeno dei misteriosi fragori che squassano l’etere non è recente, sebbene forse i cosiddetti “brontidi” (o B.O.N.I., boati di origine non identificata; in inglese mistpouffers, dissipatori di nebbia) non siano del tutto assimilabili alle deflagrazioni che in questi ultimi anni sorprendono e spaventano la popolazione. Tali scoppi sono descritti di frequenza più alta e sovente sono associati ad operazioni militari (caccia che rilasciano scie circolari o sinuose) ed all’uso di armi esotiche, laddove i rimbombi classici sono in genere di tonalità più grave e percepiti lungo le coste. La situazione dunque si è complicata con l’introduzione di scenari su cui fluttuano le sinistre ombre del governo invisibile.

Sulla vera genesi di questi suoni le ipotesi pullulano: la più credibile evoca cambiamenti geomagnetici legati all’attività solare, ma la risposta definitiva pare ancora lontana e forse la natura c’entra poco…

Fonti:

A. Lissoni, Boati di origine non identificata
Enciclopedia della Letteratura, Milano, 1999, s.v. Cooper


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26 dicembre, 2013

Mind and matter

E’ stata un’esperienza reale o si è svolta "solo" nella mente? Questa è la domanda che ci poniamo di fronte ad un evento che trascende le normali coordinate cronotopiche ed i parametri della logica. E’ una domanda discutibile ed ingenua, poiché ignora che ignoriamo quali siano le vere differenze tra realtà “reale” e realtà mentale. Lo spazio, il tempo e le cose stesse non sono forse in primis oggetti psichici?



Essi esistono come contenuti della coscienza, prima di trovarsi eventualmente là fuori. Ciò che è percepito è: esse est percipi, scrive appunto il filosofo Berkeley. Non disponiamo di criteri oggettivi per attribuire gradi di realtà ai disparati livelli della realtà. Il senso comune non è criterio né oggettivo né certo.

La materia è più reale del pensiero, un oggetto più di un’idea? L’universo onirico è meno vero del mondo in cui siamo desti? Una veneranda tradizione (si pensi almeno ad Artemidoro nella cultura greca) ci insegna a conferire importanza ai sogni, ad ascoltarne i messaggi sibillini, anche se l’interpretazione dei simboli onirici, dal momento che si avvale per lo più di categorie razionali, è quasi sempre condannata al fallimento.

Realtà e realismo, la realtà ed il suo rispecchiamento, un gioco di specchi dove non si sa che cosa rifletta che cosa. Così un quadro realistico ci appare più concreto e tangibile di quel fuggevole fotogramma di realtà che l’opera ha immortalato. Forse è per questo che si rimane incantati al cospetto di un dipinto realistico, quanto più è realistico. La fascinazione del realismo, con il caso estremo del fotorealismo, è sguardo di Medusa al contrario: siamo noi osservatori ad impietrire la realtà. Ne scaturisce una visione interrogativa di fronte all’oggetto con il soggetto che interroga sé stesso.

A ben vedere, nulla è più astratto ed immotivato del cosiddetto “mondo reale” che eppure ha una sua consistenza, una sua dura refrattarietà, come si può constatare sovente, soprattutto quando prendiamo una sonora zuccata.

Se la mente mente, il reale non è meno menzognero: filtrato dall’encefalo ed organizzato nelle forme a priori affinché sia conoscibile, di esso conosciamo ben poco; solo una superficie variegata in cui i colori, le forme e la tridimensionalità sono mere organizzazioni percettive, fantasmagorie.

In che cosa differiscono una pellicola cinematografica e la realtà dinamica? In questi ultimi decenni si è diffuso il paradigma dell’universo-ologramma che si avvia a soppiantare il modello del cosmo paragonato ad un complesso meccanismo: sono schemi molto diversi, ma li accomuna il fatto che non sappiamo chi sia l’ideatore di tutto questo e perché.

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24 dicembre, 2013

L'ha detto la maestra!


Suscita infinita tristezza il recente intervento di Gianluca Nicoletti sulla geoingegneria clandestina. Non siamo animati da acrimonia, ma motivati da un profondo disinganno. Non è che non ci aspettassimo un suo scivolone sul tema, ma è il modo in cui è ruzzolato ad essere pietoso. Egli, pur con tutti i notevoli limiti degli intellettuali odierni, è pur sempre un intellettuale che, in primo luogo, dovrebbe dimostrare una certa dimestichezza con il lessico e le questioni semantiche...

Invece anche Nicoletti è invischiato nella solita terminologia quasi più sciatta che falsa: “bufala”, “teoria del complotto”, “complottismo”, "sciachimisti"... E’ un linguaggio che condanna al torto anche chi, per assurdo, avesse un briciolo di ragione. Sono vocaboli usati a vanvera, in una coazione a ripetere che si può forse comprendere nei consumatori abituali delle droghe televisive, non in chi è – o crede di essere – un osservatore lucido della realtà e delle sue traduzioni mediatiche.

E’ poi pretenzioso tutto quel discorso pseudo-epistemologico con cui il Nostro ha introdotto la questione: non ci si improvvisa dei Feyerabend che, tra l’altro, della scienza aveva una concezione molto più matura e scaltrita.

Non solo, il giornalista esprime ed incarna tutti i più beceri e logori luoghi comuni del suddito rimbecillito che di fronte agli indiscutibili crimini dei potenti reagisce con la solita battuta: “Gombloddo... sarà la Spectre…”. Non si accorgono di essere patetici oltre che autolesionisti?

Non importa stabilire se Nicoletti abbia subìto il lavaggio del cervello (non è il caso di Cattivissimo che non ne è dotato) o se aderisca alla setta negazionista per interesse di bottega: ad un certo punto la differenza tra dabbenaggine e malafede diventa labile, impalpabile. I negazionisti sono simili a quei robot stolidi della fantascienza pulp, automi che uccidono in modo più cieco che bieco.

E’ anche deprimente constatare la sudditanza, la resa di Nicoletti nei confronti della “comunità scientifica”: gli manca una visione critica della scienza, come se la citata élite fosse depositaria della verità assoluta, come se essa fosse una chiesa che può distinguere tra ortodossia ed eresia. Che approccio infantile e dogmatico! “E’ così, mamma! L’ha detto la maestra!” Tra l’altro il Gotha della scienza coincide, nella vulgata di Nicoletti, con l’ideologia dominante che di scientifico ha ben poco, essendo propagandata da un’accozzaglia di accattoni che si affannano attorno alle baronie universitarie, da una cricca di disinformatori disinformati.

In questo desolante contesto, è “spalla” degna di Nicoletti tale Stefano Morrigi, “storico della scienza” che, tradotto in una lingua veritiera ed attuale, significa che non è né storico né scienziato, ossia il nulla che pontifica. Renzi è in buona compagnia.

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21 dicembre, 2013

Dualismo


L’esistenza è scissa: da un lato essa corre lungo la rotaia dell’ordinarietà, con i problemi più o meno gravi e gli impegni quotidiani. E’ la rotaia che si interrompe quando si interrompe.

Un’altra vita, però, si dipana su un’altra guida che è quasi sempre parallela. Solo in alcuni rari casi quest’altra vita si innesta nella normalità attraverso scambi che possiamo definire sincronismi, coincidenze significative, messaggi da una dimensione ulteriore, epifanie dell'invisibile.

Allora il tempo ordinario divorato dall’entropia ed eroso dal disfacimento, pur con qualche picco, rivela tutta la sua pochezza. Forse veramente il fato della materia è la morte termica, il buio dopo il nulla. Forse veramente la materia può ereditare solo la fine, mentre il significato è di là dalle frontiere.

Esiste un universo in cui gli eventi, anche quelli all’apparenza più insignificanti, si illuminano, dove il garbuglio del caso si sgroviglia in un disegno nitido. Questa idea porta con sé, come una chiocciola la conchiglia, un punto interrogativo, anche quando non lo si traccia. E’ inevitabile, perché la verità è offuscata dai veli del senso comune. Si possono pure gettare dei ponti, ma chi avrà l’ardimento per camminare su arcate sotto le quali si sprofonda l’abisso?

E’ possibile dar voce al silenzio ostinato dell’essere, udire l’eco della luce come risacca di un oceano infinito? La risposta abita proprio là dove non possiamo entrare.

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18 dicembre, 2013

Sincronismo



E’ noto che Giovanni Pascoli nella sua casa di Barga, avvolta nella serenità bucolica della Garfagnana, aveva uno studio con tre scrivanie. Egli, infatti, soleva dedicarsi con sorprendente sincronismo alla poesia italiana, alla poesia latina ed alla critica dantesca. Dovremmo seguire l’esempio di Pascoli ed imparare a dividere il nostro tempo fra attività differenti, coltivando diversi interessi e discipline.

Il sapere (ma è ancora sapere?) è oggigiorno iperspecializzato e settoriale. La frattura tra cultura umanistica e cultura scientifica non è stata ricomposta. Così la formazione si disgrega, si disarticola. Si erigono steccati con cui sono confinati i vari campi di studio. Il vero intellettuale rifugge dall’erudizione che è conseguenza di una ricerca unidirezionale e di un interesse sterile. Il vero intellettuale compone il Leitmotiv ed il contrappunto. Le sue dita si muovono con disinvoltura fra i tasti eburnei ed i tasti d’ebano.

E’ lodevole l’uomo che, pur concentrando sguardo ed attenzione su un soggetto, getta sempre un’occhiata altrove. La mente si avvezza a spaziare, diventa duttile, curiosa. Le conoscenze si integrano: si apprende a correlare, a trascendere limiti sovente artificiosi. La cultura si sfaccetta e, se ogni sfaccettatura è levigata, brilla a guisa di diamante.

Purtroppo siamo ben lungi dall’ideale dell’uomo enciclopedico che diede lustro al Rinascimento e lontano pure dalla mirabile simultaneità con cui Pascoli curava i suoi tre fragranti roseti. Oggidì la scuola, ridotta in uno stato pietoso, in quei pochi casi in cui tenta di trasmettere qualche conoscenza, punta su tecnicismi. Dimentica dell’armonia e della verità, s’impernia solo ciò che è utile, tosto spendibile per rosicare un sei, un credito, una competenza da sfruttare sul mercato della disoccupazione. Difettano segnatamente l’attitudine ad osservare, a riflettere ed a creare. Mentre l’intelletto si ottunde, anche la mano si aggranchisce, nell’incessante digitazione dei tasti o nel diuturno scorrimento dei polpastrelli sullo schermo. Gli occhi fissi, vitrei sul cellulare o su un’altra diavoleria: non esiste nient’altro.

Difettano tante cose anche a chi è incline ad indagare, mancano la quiete ed il tempo da consacrare all’otium. Francesco Petrarca si immergeva nei suoi amati classici, immerso nella riposante pace della natura silvestre a Valchiusa, ad Arquà.

In quale mondo e in quali rimasugli di tempo i pochi uomini vivi oggi ponderano e studiano non occorre descrivere.

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15 dicembre, 2013

Natale 2013

Oggigiorno ci si accorge che il Natale è prossimo dal battage “filantropico” che imperversa sulle televisioni: è una questua ininterrotta e petulante. Dona qui, dona là, dona tramite cellulare, dona mediante telefono fisso, dona con la carta di credito... Ci si alleggerisce un po’ la coscienza, offrendo qualche euro per i bisognosi, i terremotati, i profughi di un conflitto, gli alluvionati, gli infermi… E’ tutto un pullulare di iniziative “umanitarie” che culminano nella truffa più vergognosa del secolo, Telethon, anzi Telethont. Con tutti i denari raccolti negli ultimi decenni, se veramente fossero stati impiegati per la ricerca e per cause nobili, a quest'ora vivremmo nel migliore dei mondi possibili. Il che non è.



Non dimentichiamo che queste frodi, sinonimo di feroci sperimentazioni sugli animali, finanziano le aziende farmaceutiche che sono quasi sempre industrie della morte.

Il sistema non solo crea problemi abnormi: poi spilla quattrini agli stessi che sono, di volta in volta, colpiti con un sisma artificiale, dilaniati dalle armi di guerre decise e fomentate dalla feccia, indeboliti o menomati da una malattia dovuta ai veleni diffusi dai lestofanti che fingono di voler curare tutti, di voler debellare la miseria e la fame.

Purtroppo molti si lasciano abbindolare: il bambino con il volto rigato da una lacrima, la madre addolorata, l’anziano solo in un ospizio et voilà... il portafoglio si squaderna. I più generosi sono spesso gli indigenti o coloro che sbarcano il lunario: così sono gabbati due volte... almeno.

Bisognerebbe aggiungere un undicesimo comandamento: “Non donare”. Devolvere somme più o meno ingenti ad Onlus, enti “benefici”, associazioni “senza scopo di lucro”... significa, nella stragrande maggioranza dei casi, commettere un errore madornale. Significa favorire i carnefici e gli usurai contro cui ci si avventa in altre occasioni.

Un Natale 2013 ormai vicino, avvolto in una strana, livida atmosfera, da basso impero. La crisi economica è solo la manifestazione esteriore di una tara profonda, di un influsso larvale e putrescente. E’ il fiato di entità ammorbanti, mefitiche.

Riusciranno a sopravvivere coloro che sapranno restare in apnea a lungo…

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13 dicembre, 2013

Fisica quantistica: sfatare alcuni luoghi comuni


E’ vero che la Fisica quantistica conferma la teoria del libero arbitrio?

No. E’ vero semmai il contrario. Il mondo indagato e descritto dalla Fisica quantistica è contraddistinto da circostanze probabilistiche e dall’indeterminismo. L’indeterminismo non è sinonimo di libertà, ma di non unidirezionalità nei processi. Il libero arbitrio presuppone un’inequivocabile direzione, un preciso nesso tra la causa e l’effetto, della volontà sull’azione. E’ palese che tale idea (illusione?) è in conflitto con la natura incongrua ed indeterminata della realtà subatomica. Infatti, mentre nel macrocosmo valgono delle “leggi”, nel microcosmo ne vigono altre che sono contro-intuitive, in contrasto con i principi della logica aristotelica. Il rapporto causa-effetto, base del libero arbitrio, è estraneo all'universo quantistico.

E’ vero che la Fisica quantistica ha dimostrato l’esistenza dell’anima?

La questione è assai controversa. E’ vero che molti fisici quantistici negano l’identificazione tra cervello e coscienza, supponendo l’esistenza di un quid, inteso come substrato dei processi cerebrali. E’ legittimo quindi ipotizzare che, oltre la materia-energia, esista una dimensione metafisica che, in un modo che ancora non intendiamo, interagisce con la sfera sensibile. Gli studi in questa direzione sono i più fecondi e non si può escludere che in futuro si riescano ad elaborare ipotesi plausibili sul tema, suggerendo la possibilità di una sopravvivenza dopo la morte fisica.

E’ vero che la Fisica quantistica tende a valorizzare il nulla?

Sì. Le particelle virtuali si generano, in maniera del tutto misteriosa, dal nulla, non dal vuoto e nel nulla rifluiscono. Il nulla sembra davvero la matrice della “realtà”, il generatore sia del pensiero sia della materia-energia. I fisici asseriscono che il nulla, da cui scaturisce il tutto, è instabile. Ergo può produrre l’universo. Nessuno ha capito né come né perché.

E’ vero che la coscienza agisce sui fenomeni fisici, ossia che l’osservatore influisce sulla cosa osservata?

Premesso che nessuno sa che cosa sia davvero la natura e come da essa emergano prima la vita e poi la coscienza, si può ritenere che osservatore ed osservato siano, sotto certi aspetti, interdipendenti, ma credere che il primo incida sul secondo, significa ricadere nel concetto di causalità che è estraneo alla visione quantistica del cosmo. Tra l’altro, per osservatore si deve in primo luogo intendere uno strumento di misurazione, dispositivo che non è dotato di coscienza. L’impressione secondo cui l’osservatore interviene sul fenomeno osservato deriva dall’abitudine a pensare in modo sequenziale e temporale, mentre il piano subatomico è dominato dalla simultaneità e dalla non località. Inoltre non è vero che le "cose" diventano tali solo quando sono percepite e misurate. Esse possiedono un loro fondamento, per quanto enigmatico, un fondamento che assume configurazioni differenti, a seconda del tipo di esperimento.

Non solo, alcuni ricercatori, contraddicendo l’assunto secondo cui l’osservatore avrebbe efficacia sull’osservato, reputano che sia l’esterno ad operare sull’interno: ad esempio, Bruce Lipton spiega che non sono i geni a causare le malattie, ma il modo in cui il nostro corpo interpreta gli stimoli ambientali. La nostra mente inconscia elabora ogni secondo oltre quattro miliardi di informazioni e risponde ad esse in base a come è stata programmata. E’ proprio la nostra mente inconscia che controlla il 95% delle funzioni dell’organismo. Regola la respirazione, la digestione, il battito cardiaco, la pressione arteriosa, decodifica le informazioni dell’ambiente ed attua i relativi meccanismi di feedback. Ora, se Lipton ha ragione, l’io non agisce sul mondo, ma viceversa. Se Lipton ha ragione, visto che l’azione dell’individuo si esplica per lo più sotto il controllo di una forza inconscia, è difficile continuare a sostenere l’idea della libera volizione. Che cosa poi ha programmato la mente? Se è stata programmata, il convincimento circa la libertà di scelta si rivela sempre di più una chimera.

Esiste qualche nesso tra il potere dell’intenzione ed i processi fisici del mondo subatomico?

Sono due àmbiti differenti: il potere dell’intenzione e la cosiddetta “legge dell’attrazione” sono concetti che, sebbene in parte mutuati da acquisizioni degli scienziati di frontiera, risultano arbitrari, fondati su una semplificazione e su una strumentalizzazione di princìpi fisici incompatibili con valenze psicologiche. La nozione secondo cui il pensiero può guidare gli eventi – vera o falsa che sia questa nozione - non appartiene alla Meccanica quantistica i cui capisaldi sono matematici e non psicologici.

E’ vero che la Fisica quantistica si allinea con la filosofia idealista, secondo cui il mondo materiale è un’illusione, essendo privo di consistenza e di autonomia ontologica?

In una certa misura è così. Si giunge ad un punto della sfera subatomica in cui le particelle si assottigliano nelle vibrazioni, nella nebbia intangibile ed evanescente dell’informazione. Tuttavia la Fisica quantistica, benché tenda a smaterializzare la materia, non la nega in toto. Inoltre non postula uno Spirito né introduce la dottrina dell’Io che, per affermarsi, pone un non-Io. E’ tutto molto più sfumato e complesso. Non solo, alcuni indirizzi tendono verso una forma di dualismo (mentre l’Idealismo è monista), per cui su ordine implicito è strutturato un ordine esplicito. Quest’ultimo, pur essendo una realtà olografica, non è scevro di una sua sostanzialità.

E’ vero che la Fisica quantistica ci pone di fronte ad un mondo irrazionale, incomprensibile nella sua essenza?

Sì. I ricercatori seri ammettono che le scoperte dell’ultimo secolo hanno squadernato una realtà sorprendente e meravigliosa, ma che mina convincimenti consolidati ed il senso comune. E’ una sfida alla logica tradizionale: da un lato stimola esplorazioni avventurose, dall’altro frustra i tentativi di costruire teorie coerenti e semplici. Questo non significa che l’essere sia in sé del tutto illogico, ma che ancora non abbiamo affinato gli strumenti interpretativi per comprenderlo.


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09 dicembre, 2013

The Sirius connection



Marina Tonini appartiene al drappello di coloro che, nell’ambito dell’ufologia, affermano di essere in contatto con i visitatori di Sirio. Da tempo immemorabile l’umanità volge lo sguardo a questa stella (in realtà un sistema ternario): scintillante e bellissima, Sirio è al centro della cultura egizia e degli arcani miti elaborati dai Dogon. Il filo luminoso della Stella del Cane si intreccia a molti ambiti culturali sino al Corano per giungere alle odierne avventure di David Sereda e di Federico Bellini.

La dottoressa Marina Tonini è perito grafologo presso il Tribunale di Verona. E’ divenuta un personaggio pubblico nel momento in cui ha deciso di esporsi sui media, raccontando i suoi incontri con esseri extraterrestri. Il primo risale al 2008.

Così si esprime l’experiencer: “I contatti con le popolazioni di Sirio B continuano. Comunico i loro messaggi in una serie di conferenze e attraverso un video-blog su Youtube denominato ‘In-coscienza aliena’ [...] La diminuzione del campo magnetico terrestre sta intensificando alcune frequenze che espongono il nostro pianeta, il sistema solare e l’intera galassia ad una svolta energetica. Tale fenomeno libera e cambia la frequenza degli esseri umani e di tutto ciò che è sottoposto a questa forza”.

Di recente la donna è stata interpellata sulla rivista “X Times”: nell’intervista, rilasciata a Giovanna Lombardi ed intitolata “In viaggio tra i Siriani”, la Tonini ripercorre le sue singolari esperienze. Ella descrive gli alieni di Sirio che non provengono da un pianeta del lontanissimo sistema solare, ma da una dimensione in qualche modo legata ad esso. E’ un piano di realtà che gli uomini, incistati in una visione meccanicistica, neppure riescono a concepire.

Le informazioni della grafologa combaciano quasi sempre con le notizie apprese da altri testimoni in contatto con i Siriani: essi sono visitatori saggi che intendono stimolare l’evoluzione dell’umanità, senza, però, interferire in modo sensibile. Appartengono all’arcinota Federazione galattica, una sorta di confraternita extraplanetaria, cui non aderiscono, però, le genie malevole che, come è facile immaginare, sono confederate con i poteri forti della Terra.

Non crediamo che le convergenze sopra indicate dipendano da una cognizione per opera della Tonini di altri vissuti inerenti ai contatti con Sirio. Significa che veramente esiste una Sirius connection genuina, frutto non di fantasie, ma di un agente esterno, i cui veri scopi sono poco nitidi.

La contattata offre il repertorio tipico dell’ufologia “ottimista”: la necessità del risveglio per opera di un’umanità ottenebrata, l’ascensione, il potere dell’intenzione, il cambio di frequenza, preludio della palingenesi...

Eppure questo quadro idilliaco è incrinato dall’accenno ai microprocessori. Racconta la Tonini: “Mi è successo due volte di svegliarmi la mattina con uno strano, piccolo rigonfiamento sul braccio.[...] Dopo qualche giorno, ho scoperto da loro che erano dei microchip biologici che servivano a localizzarmi meglio e che poi erano riassorbiti naturalmente”. Sarà... ma, quando leggiamo di impianti sottocutanei, il pensiero corre a rapimenti, controllo mentale, implicazioni militari e via discorrendo.

E’ difficile pronunciarsi sulla vexata quaestio degli ufonauti bendisposti: fatto sta che, mentre la masnada degli Alienati ci sta cucendo la morte addosso, duriamo fatica a confidare in “salvatori” dello spazio. Da almeno cinquant’anni, dai tempi di Adamski, i visitatori promettono mari e monti, con il risultato che ci ritroviamo con un pugno di mosche. Ci attenderemmo qualcosa di più dei soliti proclami cosmico-umanitari e di qualche volgarizzamento relativo alla Fisica quantistica.

Nota: l’intervista a Marina Tonini è apparsa sui numeri 58 e 59 di "X Times" cui rinviamo i lettori che intendono avere un quadro esauriente di un caso comunque interessante e degno di essere approfondito.

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APOCALISSI ALIENE: il libro

La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

06 dicembre, 2013

Sistemi entropici e controllo sociale

To kill softly...



L’entropia imperversa in ogni dove. Basta pensare alle condizioni in cui si riduce, nell’arco di poche settimane, un cassetto che abbiamo riordinato con tanta cura. In modo inavvertito le cose ivi contenute si ammassano, si sparpagliano, talvolta si perdono.

Ad un assetto ordinato e razionale, un po’ alla volta, sottentra la disorganizzazione. La vita stessa, giorno dopo giorno si disarticola: i più grandi mutamenti sono quelli che avvengono senza che ce ne accorgiamo. Un abisso divide il presente dal passato, anche se il passato sembra identico all’oggi.

Come spesso accade, esiste l’eccezione alla regola: è nella società che l’entropia, la tendenza progressiva verso il disordine, è trasformata in sintropia. Ciò accade nel sistema sociale nel suo complesso, nonostante le singole cellule manifestino l’inclinazione opposta.

Si consideri una classe scolastica: in essa si sviluppa negli anni un movimento entropico che porta la classis, ossia “gruppo armonico” verso situazioni dispersive e di anomia che non è libertà. Anche nei nuclei familiari è facile riscontrare dinamiche centrifughe che si palesano nell’allentamento progressivo dei legami e nell’instaurazione di nuovi vincoli all’esterno della famiglia.

In maniera quasi sorprendente nel mondo contemporaneo, la frammentazione, l’individualismo, i moti di fuga sono tutti dominati e ricondotti in un recinto invalicabile. Il sistema è riuscito ad erigere uno steccato in cui anche le azioni all’apparenza anarchiche sono, per così dire, sterilizzate ed omologate. Se si vuole controllare l’azione, si deve in primo luogo soggiogare il pensiero.

Bisogna riconoscere che quei ribaldi dei ceti dirigenti sono dei geni, anche se geni del male. Non è forse geniale la loro capacità di dirigere miliardi di persone sul pianeta, di indirizzare gli eventi verso i fini da loro perseguiti? Non è forse geniale l’abilità di piegare pure gli accadimenti che sfuggono alla regia dei burattinai di modo che i processi storici si muovano verso le mete prefissate dall’establishment?

E’ sbalorditivo: attraverso la coercizione (“giustizia”, leggi, istituzioni, struttura economica, forze dell'ordine...), ma soprattutto per mezzo della persuasione più subdola, essi sono stati in grado di scatenare due conflitti mondiali, la cui conseguenza precipua, ossia la graduale centralizzazione del potere, è proprio quella da loro prefissata!

Il totalitarismo “democratico” è stato creato passo dopo passo, con paziente tenacia. Oggi questa dittatura sotto le pallide sembianze della libertà e del pluralismo, è scambiata da molti per il migliore dei governi possibili. Un altro colpo di genio! Il consenso non è strappato con la violenza, ma ottenuto con il raggiro e la seduzione.

Come hanno potuto i globalizzatori conseguire tale scopo ciclopico? Soprattutto attraverso i media di regime la cui diffusione attuale non conosce più limiti. Dacché essi hanno egemonizzato la Rete, è stato creato un pensiero, anzi un non-pensiero unico. I mezzi di disinformazione di massa usano i paralogismi, non si peritano di generare la dissonanza cognitiva. Inoltre banalizzano, censurano, distorcono, inventano i fatti. Pochissimi si accorgono di tali patenti incongruenze e plagi, poiché la massa è stata precedentemente preparata. Che cosa l’ha preparata? La scuola. Il sistema “formativo” è il più poderoso, formidabile strumento usato per distruggere lo spirito critico, il pensiero divergente, la creatività, l’intuizione. Gli studenti sono nutriti con dosi massicce di logica aristotelica ipersemplificata, abituati a credere nelle verità assolute della matematica e delle scienze “esatte”. Tutti gli ambiti culturali e gli approcci che potrebbero stimolare una visione del mondo non dualistica, più duttile e problematica sono esclusi a priori. Ecco allora che si producono automi programmati in cui l’abitudine al ragionamento è ridotta ad uno stato vestigiale e l’immaginazione azzerata.

Non stupiamoci poi se, ogni qual volta si tenta di favorire una comprensione degli sviluppi storici e politici, tra i cittadini medi, non si cava quasi mai un ragno dal buco. Anche quando finalmente, dopo mille spiegazioni, si riesce ad attivare una sinapsi, trascorsi pochi giorni, ci si accorge che il collegamento è interrotto. E’ come tendere un elastico: dopo che è stato teso, l’elastico torna come prima. Non solo, a furia di tenderlo, esso si spezza. Fuor di metafora: se si insiste troppo, il suddito perde il controllo, diventa aggressivo verso chi sovverte il suo falso ma rassicurante edificio di credenze.

Così gli apparati sono riusciti a costruire una prigione a cielo aperto, una cella talora confortevole ma fredda. Hanno invertito il movimento entropico, ottenendo una struttura ordinata, dolcemente oppressiva. Quest’ordine nondimeno non è armonia, ma un caos organizzato, un regime che irreggimenta le coscienze, che confonde ed atterrisce. E’ un ordine garantito dalla penosa confusione in cui versa la massa.

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APOCALISSI ALIENE: il libro

La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

02 dicembre, 2013

Oltre l'usura

In “Dante e la nascita dell’allegoria”, Pietro Cataldi scrive: “L’idea di salvarsi da una condizione catastrofica, inventando nuove forme di ricostruzione del senso appare particolarmente attuale, non solo per la nostra percezione di vivere all’interno di una spaventosa catastrofe di civiltà, ma per la connessa difficoltà s ricostruire i legami tra le parole e le cose, cioè ad attribuire significato e valore all’esperienza e alla vita. La 'Commedia' è stata composta anche contro qualcosa; anzi, si ha spesso l’impressione che gli obiettivi polemici siano nel poema siano ancora più nettamente definiti che non le finalità positive. Dante si scaglia contro religiosi e politici corrotti, contro valori sociali che hanno pervertito ogni possibile buona convivenza umana, contro abitudini che distolgono gli individui dalla salvezza per asservirli ai disvalori pubblici ed alla corruzione pubblica; ma fissa l’origine di tutta questa rovina in un’entità di alto valore simbolico che anima il male nelle sue varie forme: il denaro, l’oro, la ricchezza. D’altra parte la civiltà del guadagno fondava proprio in quei decenni una possibilità di relazione fra cose e significati che ne ridislocava fatalmente il valore: acquistando un prezzo e sempre più coincidendo nella communis opinio con un prezzo, le cose vedevano sempre più attenuarsi il loro valore trascendente”.

Il critico ha ragione e tuttavia occorre sottolineare che il sommo poeta non tuona soltanto contro la cupidigia di denaro, contro la “gente avida di subiti guadagni”, poiché egli comprende anche che il denaro scade a merce nel momento in cui diventa mezzo non per acquistare e vendere, ma per accumulare altro denaro. L’esecrazione dell’usura pone l’Alighieri in rotta di collisione con la mentalità mercantile, con la religione borghese del capitale. Gli usurai peccano contro l’arte, ossia contro il lavoro. Essi traggono profitti da un’attività sporca e disonesta, da un’occupazione contro natura. Bene aveva inteso Ezra Pound che una civiltà degna di questo nome non può fondarsi sul prestito e sulle frodi dei banchieri. Quindi non solo gli oggetti perdono il loro valore intrinseco per acquisire un valore di mercato, ma il denaro si traduce in una merce come le altre. Alla reificazioni dei valori e dei rapporti umani segue la mercificazione dei soldi. L’Alighieri è un laudator temporis acti: la sua Weltanschauung tenta di mantenere in vita la concezione cortese della liberalità, dell’elargizione generosa e disinteressata. La storia, però, va in un’altra direzione ed il mondo tardo medievale che declina prepara il declino senza speranza, senza remissione.

Chi oggi si sorprende o s’indigna di fronte alla consuetudine di prestare somme caricate di interessi più o meno elevati? Chi oggi reputa immorale ricavare dei profitti da una cifra depositata o investita? Eppure l’interesse, attivo e passivo che sia, è un non-senso, un’aberrazione, preludio e pilastro di altri raggiri finanziari, quali la speculazione più immorale, l’anatocismo, il signoraggio, la creazione di banconote dal nulla.

Evento spartiacque fu nella storia moderna e contemporanea la fondazione della Banca d’Inghilterra, il 27 luglio del 1694. L’istituto inaugurò e diffuse le perverse pratiche creditizie che strangolano le nazioni, soggiogano i popoli. Si stringe un cappio attorno al cittadino costretto a lavorare per uno stato esoso ed incontentabile. Lo stato lo grava di un debito che in realtà è un credito!

Quale può essere la via d’uscita? Restituire al denaro la sua valenza di medium, non di fine. Eppure, anche se la nostra società fosse emancipata dall’avarizia e dalla grettezza, dalla bramosia di figuri rapaci, di governi famelici, vivremmo sempre sotto una pesante ipoteca che è nel disconoscimento di ogni idea e principio non monetizzabile.

L’ingordigia più perniciosa non è quella diretta verso i beni materiali: i lupi voracissimi, infatti, agognano qualcosa di scintillante, ma che non è la moneta...

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APOCALISSI ALIENE: il libro

La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

30 novembre, 2013

La Bibbia non è un libro sacro

“La Bibbia non è un libro sacro” è l’ultima fatica del Professor Mauro Biglino. Il titolo e la tesi sono perentori: se la Bibbia non è un testo di fede, che cos’è? E’ in buona misura un’opera storiografica o, meglio, l’epopea, dalle forti coloriture ideologiche, di un antico ed oscuro popolo medio-orientale. Il Genesi poi è un manuale di biologia molecolare ante-litteram.



Il saggio di Biglino porta la tradizione biblica dal Cielo alla Terra, dimostrando attraverso esplorazioni filologiche ed archeologiche che millenni di costruzioni religiose e spirituali sono un inganno, un grande inganno. L’autore non è il primo e probabilmente non sarà l’ultimo a compiere questo lavoro di critica biblica. Tuttavia egli si segnala per la chiarezza nell’esposizione, lontana dai bizantinismi di certi filologi. D’altronde una lettura oggettiva di molti capitoli contenuti nel Pentateuco permette a chiunque sia dotato di normale intelligenza di accorgersi che di sublime la Torah ha poco o nulla. Ciò, nonostante le traduzioni edulcorate che sono ammannite dai catechisti e dal clero.

E’ proprio la traduzione il campo in cui il Nostro si impegna con maggiore tenacia: conscio che l’ultima roccaforte da espugnare è quella dei sedicenti esperti che si ostinano a tradurre Elohim con il singolare, Biglino allestisce un’artiglieria formidabile con cui smura la rocca e la conquista. Nel momento in cui si dimostra, oltre ogni ragionevole dubbio, che Elohim è un plurale, si sovvertono inveterati pregiudizi, radicate ricostruzioni. Gli Ebrei (Shasu), una delle tante etnie che pullulavano in Palestina dove si contendevano pascoli e sorgenti, sono ricollocati nel loro preciso contesto storico; YHWH è ridimensionato ad uno dei tanti “dei” che, tra II e I millennio a.C., si affannò per ritagliarsi la sua sfera d’influenza; il “peccato originale” è negato ipso facto

E’ evidente che le conseguenze delle indagini condotte da Biglino e da altri specialisti sono colossali, perché il Vecchio Testamento crolla sull’edificio già pericolante del Nuovo. Non è solo la religione ebraica a sgretolarsi, ma pure il Cristianesimo, insieme con la sua estrema, strana metamorfosi, l’Islam.

Sia chiaro: altri, prima del Professor Biglino, avevano inferto colpi micidiali alle tre fedi monoteiste, ma qui l’analisi è condotta oltre i confini della critica biblica e della storia antica per tratteggiare il quadro di una dominazione plurimillenaria. Auspichiamo che l’autore proceda lungo questa direzione per denunciare il legame tra poteri forti e mistificazioni ideologiche: non è un caso se gli specialisti del forum “Consulenza ebraica” sono dei negazionisti della geoingegneria clandestina...

Ci si chiederà: “Se la Bibbia non è un libro sacro, che cosa resta?” Rassegniamoci: se cerchiamo dei valori mistici ed esoterici, dobbiamo rivolgerci altrove. Leggiamo o rileggiamo dei classici, in primis la Commedia e il nostro appetito sarà soddisfatto. E’ vero: la Bibbia contiene qualche bella pagina, spesso creata da abili arrangiatori del testo “originale”, ma nel complesso, è cosa noiosa e pragmatica, un po’ come i Commentarii di Cesare dove la pazienza del lettore è messa a dura prova da una ridda di scaramucce, battaglie, spedizioni, assedi… Se intendiamo trovare risposte al mistero dell’essere e del male, dovremo compulsare altri volumi ed interrogare la nostra reticente coscienza.

Che cosa resta dunque? Si ha l’impressione che rimanga una distesa incenerita da un incendio, ma è una terra su cui un po’ alla volta spuntano germogli verdissimi destinati a crescere in vigorosi arbusti ed imponenti alberi.

Lo sappiamo: molti reputeranno questo libro un'opera iconoclasta, anzi blasfema, ma riflettiamo... anche un bambino che frequenta, suo malgrado, i corsi di catechismo, si accorge che qualcosa nella Bibbia non quadra. Se approfondirà, se imparerà a porsi domande, con il tempo comprenderà che, mentre una strada è sbarrata, se ne aprono molte altre. Inoltre anche le indagini dell’ottimo Garbini, per citare solo uno dei tanti biblisti, approdano a conclusioni simili a quelle di Biglino. Se egli è “sacrilego”, è in buona compagnia.

Come sempre, invitiamo i lettori ad accostarsi al saggio in oggetto con spirito critico e serenità: la fede in Dio non è neppure scalfita dalla ricerca, una ricerca che è ancora in fieri a tal punto che non sappiamo di preciso dove potrà portarci. L’erta è stata indicata: avremo la lena per percorrerla sino a toccare la vetta?

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APOCALISSI ALIENE: il libro

La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

27 novembre, 2013

Mondi all'interno di mondi



A volte la vita sembra solo un mangiare per essere mangiati. Più che una struggle for life è una struggle for death, per procrastinare la morte. Che si sopravviva più o meno a lungo, alla fine ci attende un unico destino.

Lo spettacolo della natura ci incanta, ma le meravigliose apparenze, i colori luminosi, i suoni ed i profumi attraenti celano l’oscura, irrazionale corsa verso il disfacimento ed il nulla. Leopardi osserva un giardino ameno e vi scopre la sofferenza: il regno vegetale è un campo di battaglia. Ma si sa: Leopardi è un “pessimista”… L’esplorazione del mondo ci conduce sulle soglie dell’abisso, là dove precipita la luce, là dove le voci si spengono e tutto il passato è annerito nell’oblio.

La realtà è questa. E’ questa la realtà? In un attimo cambiamo concezione mille volte. Difficile pensare che il mondo sia solo un’arena, anche se l’esperienza quotidiana sembra deporre a favore di questa idea. Difficile pensare che il caso ed il caos dominino incontrastati. Eppure è arduo scorgere una logica nella carneficina degli eventi, ancora di più un disegno provvidenziale.

Non è la fede, ma un’immaginazione potentissima ad adombrare un senso oltre il non-senso.

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La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

24 novembre, 2013

Quando il totale è superiore alle parti che lo compongono


Lo spettro nella massa

La massa non è un insieme di individui: essa ospita un quid che la trascende. Già gli antichi romani solevano ripetere: “Il senato è una brutta bestia, anche se i senatori sono brave persone”. E’ così: nel momento in cui il singolo rinuncia alla sua identità irripetibile, subentra una forza più grande di lui. Il senso di appartenenza ad un gruppo defrauda il soggetto della sua volontà che è incanalata nella “volontà generale”.

Alcune pagine dei “Promessi sposi”, ancora prima dei classici studi ad opera di Le Bon, Reich e Canetti, ben illustrano la psicologia della folla preda di un impulso irrazionale che la trascina come una bufera fa roteare le foglie secche. All’interno della moltitudine sopravvive un drappello che è ancora in grado di agire secondo ragione, ma è una minoranza la cui voce è soverchiata dalle grida dei fanatici.

Per il potere è più facile manovrare la massa che l’individuo, poiché nella prima è inoculato una sorta di virus che, un po’ alla volta, prende possesso delle cellule all’interno dell’organismo. Oggigiorno la massa è soprattutto quella formata dai teledipendenti o, in generale, dai destinatari dell’”informazione” mainstream. Il cittadino medio è di norma più intelligente del fruitore omologato: costui, però, perde gran parte della sua capacità critica per accettare le versioni tranquillizzanti ammannite dai “giornalisti” di regime.

Per gli apparati è necessario trasformare i cittadini in un’unità indistinta dove alla facoltà di giudizio è sostituita la fede. E’ la fede nelle ricostruzioni e nelle esegesi che il sistema propina: che esse siano inverosimili o contraddittorie tra loro non importa. Ad esempio, il cittadino massificato crede che il debito pubblico possa essere ridotto dalle misure tra oculate e draconiane di un governo, pur sapendo che il disavanzo interno aumenta ogni volta in cui sono emessi titoli di stato che sono appunto titoli del debito. Ancora, colui crede che votare possa ancora influire sulla politica, pur essendo conscio che i “politici” sono semplici burattini inetti e corrotti. E’ qui evidente dunque un’altra incongruenza: il soggetto plagiato si affida a colui sul quale non fa alcun affidamento. E’ convinto che i maneggioni sono dediti solo ai loro loschi interessi, ma ritiene che le trame non esistano. E’ questa una concezione paradossale, una concezione che è inculcata attraverso la spersonalizzazione della persona. E’ anche uno stato di dissonanza cognitiva.

La “cultura” di massa è il risultato di un potente rito magico: si genera una specie di egregora, un parassita che domina il “corpaccio” per mutuare un’efficace metafora di Manzoni. L’opinione pubblica è controllata: essa pensa, si esprime ed agisce come guidata da un pilota automatico. Agisce una forza inconscia nella folla: il dittatore di turno si appella a quella forza, la evoca, la lusinga, la dirige. I grandi manipolatori estraggono dal sottosuolo umano gli istinti distruttivi, l’aggressività, l’ira repressa, le inclinazioni deteriori (thanatos) per conseguire obiettivi nefandi.

Ora è il demagogo a sedurre la ciurmaglia ora il gazzettiere ora l’”esperto”: suadenti, insistenti, essi inoculano le menzogne con il loro linguaggio stravolto dove la verità si tramuta in “complotto”, la stupidità assoluta della rivista “Focus” assurge a scienza, l’attitudine a vedere oltre è degradata a paranoia. Nel lessico rovesciato del servilismo “giornalistico” l’insulto e la distorsione assumono le sembianze dell’oggettività, ma l’idioletto invaso da vocaboli come “bufala”, “teoria”, “fantasia”, “leggenda metropolitana”... tradisce la perfetta ottusità dei manutengoli.

Il popolino ha bisogno di essere rassicurato, blandito. “Mi mentano pure, a condizione che la bugia sia idilliaca. Mi derubino di tutto, purché mi lascino il campionato di calcio. Avvelenino il cibo, ma che io possa fare incetta al supermercato di scatolame vario”.

La plebe oggi è paga delle briciole che le sono graziosamente elargite. Essa non protesta, non si ritira sull’Aventino, perché non ha coscienza che i suoi diritti sono calpestati.

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La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

20 novembre, 2013

Medioevo indecifrabile (seconda ed ultima parte)



Leggi qui la prima parte.

Una concezione gnostica?

Amfortas, il Re Pescatore o Re Ferito, è un personaggio che figura in alcune opere del ciclo arturiano come ultimo discendente della dinastia dei Re del Graal, custodi della preziosa reliquia. E’ caratterizzato in modi anche molto differenti dai vari autori. In ogni caso, soffre di una menomazione alle gambe o ai genitali ed ha difficoltà a muoversi. L’invalidità si riverbera sul suo regno che si è trasformato in un luogo deserto e sterile: è "la terra desolata", la "terre gaste". Il Re trascorre il tempo pescando in un fiume nei pressi del castello di Corbenic. Molti cavalieri erranti si recano dal Re Pescatore per sanarlo, ma il miracolo potrà essere compiuto solo dal prescelto destinato a trovare il Graal (nelle storie più antiche Parsifal; in seguito anche Galahad e Bors).

La ferita del Re Pescatore si collega ad una punizione per peccati o colpe. Le opere in cui la leggenda è cristianizzata sviluppano questo motivo, instaurando un'analogia tra la ferita del Re Pescatore e la lesione al costato subìta da Cristo sulla Croce. L'arma è la stessa: la lancia del destino.

ll Re Pescatore fu introdotto per la prima volta nell'opera di Chrétien de Troyes dove Parsifal incontra due sovrani feriti. Scopre troppo tardi che ambedue avrebbero riacquistata la salute, se avesse chiesto loro del Graal. Parsifal apprende anche di essere discendente dei Re del Graal, giacché sua madre è figlia del Re Ferito. Il poema si interrompe prima che Parsifal torni al castello dei due sovrani.

La scelta dell’appellativo "Re Pescatore" può essere ricondotta ai seguenti ambiti simbolici. Nel Cristianesimo primitivo il pesce evoca Cristo, in quanto “ichtys” è l’acrostico in greco di Gesù Cristo, figlio di Dio Salvatore e poiché la nuova religione si diffuse all’alba dell’era astrologica dei Pesci. Nella mitologia celtica, il pesce (il salmone) è collegato alla saggezza. Un’altra implicazione sarebbe suggerita dall'assonanza fra le parole francesi pêcheur e pécheur, rispettivamente "pescatore" e "peccatore". Il Pesce potrebbe alludere alla costellazione ed all’era dei Pesci, con tutte le sue risonanze allegoriche: questo spiegherebbe perché, nell’opera di Chrétien de Troyes, i re infermi sono due.[1]

“Parsifal” è l'ultimo dramma musicale di Richard Wagner, andato in scena il 26 luglio 1882 a Bayreuth, ma rappresentato nei teatri europei solo a partire dal giorno 1 gennaio 1914 con la "prima" a Bologna.

Dopo una gestazione durata alcuni decenni, l'opera fu composta tra il 1877 ed il 1882 e segnò il ritorno al tòpos del Graal, già affrontato molti anni prima in “Lohengrin”.

Considerato il capolavoro di Wagner, ricevette gli strali di Nietzsche che accusò l’artista di essersi miseramente "accasciato ai piedi della Croce", mentre Marinetti considerò “Parsifal” il segno della decadenza della cultura occidentale. Questo dramma mistico (definito da Wagner "sacro per eccellenza" e che costituisce il vertice della concezione "liturgica" del dramma musicale come Wagner lo intendeva) è permeato di significati spirituali ed iniziatici.

Tuttavia - come scrive il professor Andrea Bedetti - nemmeno Nietzsche si accorse che le allusioni religiose del “Parsifal” non sono riconducibili ai dogmi cristiani, ma alla dimensione imperscrutabile del sacro.

Alcuni particolari del dramma collocano Parsifal nel solco di una concezione gnostica? Il tema della Madre – Parsifal è cresciuto nel cerchio esclusivo dell’amore materno – sottintende Sophia? La piaga che affligge Amfortas è la lacerazione cosmica? Per ricomporre lo strappo dell’universo è necessario un eroe che racchiuda in sé qualità sublimi. Quest’eroe è il Salvatore, il Redentore che redime sé stesso: Egli getta il seme della salvezza in un mondo infetto (la piaga di Amfortas) per propiziarne la palingenesi o, meglio, per emancipare le anime dal carcere della materia.

In filigrana allora leggiamo, nelle storie del Graal, soprattutto se ne valorizziamo l’’indiscutibile sottofondo cataro, l’anelito verso la l’ascesa dell’anima, il kerygma della liberazione.

Wagner si avvicinò al senso profondo della leggenda? Che cosa significa, però, che il tempo si trasforma in spazio? Che senso recondito hanno simboli come il Graal (calice, pietra, stirpe reale, smeraldo di Lucifero o che cos’altro?), la lancia, la terra desolata, la madre…? Si ha a volte l’impressione di imbattersi in un’espressione culturale involuta, tortuosa dove gli oscuri emblemi si “chiariscono” solo con altri emblemi ancora più oscuri. I diversi autori rielaborarono il mito, integrandovi qualcosa di proprio, ma, come un fiume in cui non si possono distinguere le acque degli affluenti, essendo mescolate, così in questa saga polimorfa non riusciamo a discernere un contributo da un altro. A complicare ulteriormente il quadro, si aggiunge la pletora degli interpreti sempre pronti a fornire chiavi di lettura più ingegnose che convincenti.

Fermiamoci un attimo. Questo mito non sembra aver alcun senso… come molte altre cose.

[1] Philip K. Dick, nel romanzo “Valis”, anche se in un contesto di “finzione” narrativa, ipotizza che il glifo dei Pesci adombri la doppia elica del D.N.A., dunque una memoria genetica. Il visionario autore radica la leggenda del Graal in numerosi ed eterogenei substrati culturali, incluso il retaggio dei Dogon che raccontano di Nommo, un dio rappresentato in forma di pesce.

Fonti:

C. Cagigal, A. Ros, Figli del sangue reale, Milano, 2008
Enciclopedia del Medioevo, Milano, 2007. s.v. Graal, Perceval
P.K. Dick, Valis, Roma, 2010
A. S. Mercatante, Dizionario universale dei miti e delle leggende, Roma, 2001, sv. Parsifal


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APOCALISSI ALIENE: il libro

La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

16 novembre, 2013

Il segreto degli Illuminati


Diego Marin ha recentemente pubblicato il saggio “Il segreto degli Illuminati”. L’autore è versatile: è un fisico, ma non disdegna discipline quali l’archeologia e la storia, materie in cui ci pare ferrato più di tanti sedicenti specialisti.

Prevengo un’obiezione: come è possibile che una casa editrice del sistema dia alle stampe un volume come questo che, pur non essendo rivoluzionario, è comunque una grossa pietra lanciata nello stagno del “sapere” accademico? La risposta è semplice: nei paesi “democratici” la censura si esercita in modo scaltro, lasciando filtrare qualche verità, con la certezza che un libro come quello scritto dal Dottor Marin resterà confinato nella nicchia dei lettori consapevoli... e sono pochi.

Peccato, perché il Nostro prosegue la sua indagine avviata con “Atlantidi”, un interessante contributo che non abbiamo recensito per carenza di tempo, con questa nuova fatica. E’ un’indagine che potremmo definire ipermetrope: Marin guarda lontano nel passato dell’umanità. Paradossalmente, però, tale approccio ci permette di vedere meglio il presente. Così si scopre che la Confraternita dell’Occhio onniveggente, sin dall’età protostorica, tiene le redini del pianeta. E’ una potenza politica ed economica che, attraverso la linea di sangue del Serpente rosso, mascherata sotto diversi nomi, è giunta fino a noi per portare a compimento il suo progetto, il Novus ordo seclorum.

Non è facile riassumere i contenuti del libro: tanti e tali sono gli spunti che spaziano dalla storia segreta alla glottologia, dall’antropologia all’economia. E’ proprio il capitolo sull’economia il più succoso (ed inquietante): se ne dovrebbe proporre la lettura nelle scuole superiori per mostrare il vero volto della finanza mondiale che trova il suo punto di svolta nella fondazione della Banca d’Inghilterra. Era il fatale 27 luglio del 1694. Gli stati si consegnarono nelle mani avide degli usurai. Il perverso sistema del signoraggio e della moneta-debito è alla base della crisi economica attuale, preludio di un’implosione generalizzata, ma le sue radici attecchiscono nelle epoche trascorse. Ezra Pound docet.

La tesi principale del saggio si sprigiona dall’investigazione circa il popolo noto come Hyksos: in urto con quanto sostenuto da altri studiosi, ad esempio Alessio De Angelis, Marin opina che gli Hyksos fossero indoeuropei. E’ opinione controversa, anche se documentata in maniera plausibile. Anche altre ricostruzioni abbisognano di verifiche e di approfondimenti. Soprattutto, mentre l’autore si ferma nel territorio storico-archeologico, per quanto eretico, siamo propensi a spostare la frontiera della ricerca per includere orizzonti ulteriori, persino metafisici.

Nonostante ciò, “Il segreto degli Illuminati” è un’utile esplorazione della realtà negata: ne affiorano il ruolo ed alcuni scopi della Setta, le connessioni genealogiche fra le stirpi dell’antico Egitto, le dinastie imperiali romane, i Carolingi, fino ai Romanov ed agli odierni governanti.

Marin si chiede se in questo quadro difficilissimo, ormai prossimi al crollo globale, si possa fare assegnamento sui superstiti della Fratellanza bianca. Ce lo chiediamo anche noi.

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APOCALISSI ALIENE: il libro

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11 novembre, 2013

Nuova luce sull’oscura vicenda del P.I.D

Chi non conosce la cosiddetta leggenda circa il vero Paul Mc Cartney che, dopo la morte in un incidente stradale, sarebbe stato sostituito da un sosia? Questa epopea, nota con la sigla P.I.D., ossia “Paul is dead”, appassiona da decenni fans dei Beatles, giornalisti, studiosi della cultura pop. La storia è tanto intrigante perché alonata dal fascino ambiguo, anzi ambivalente del doppio.

E’ tema antico. L’equivoco si intreccia al senso della perdità della propria identità nell’Amphitruo di Plauto: nella commedia Giove, innamoratosi di Alcmena, assume le sembianze del di lei marito Anfitrione, per concupire la donna. Il dio Mercurio, aiutante di Giove, prende l’aspetto del servo di Anfitrione, Sosia, per favorire la tresca.

Il topos dell’equivoco, dello scambio sciolto nella tradizione letteraria attraverso l’agnizione, il riconoscimento risolutivo all’interno dell’epilogo, scade nel cliché (si pensi ad una squallida produzione cinematografica di Roberto Benigni), nella trovata che strappa una risata banale.

Il P.I.D. si colloca agli antipodi di codesta comicità stanca e ripetitiva per collocarsi quasi nella dimensione della tragedia. E’, però, una tragedia senza catarsi, con eroi imborghesiti, nonostante il loro spirito trasgressivo, di una trasgressione che rafforza lo status quo con le sue devianze volute ed autorizzate.

Secondo la ricostruzione più diffusa, la notte del 9 novembre 1966 Paul Mc Cartney era uscito dalla sala prove dopo un violento alterco con gli altri tre Beatles (stando ad un'altra versione Paul era uscito frastornato da una festa all'inizio di dicembre del 1965). Salì sulla sua auto per tornare a casa e, lungo la strada, diede il passaggio ad una ragazza che faceva l'autostop. La ragazza si chiamava Rita e gli raccontò che stava fuggendo di casa, perché era incinta e, contro il parere del fidanzato, aveva deciso di abortire. Solo lungo una stradina di campagna, Rita comprese che la persona al volante era Paul dei Beatles. La sua reazione esagitata spaventò e distrasse McCartney. Egli non si accorse che il semaforo stava diventando rosso. Pur riuscendo ad evitare l'impatto con un altro veicolo, la vettura del Beatle uscì di strada e si schiantò contro un albero, prendendo fuoco. Paul, sbalzato fuori dall'abitacolo, sbatté la testa contro l'albero. Sia Paul sia Rita persero la vita. Stando ad un’altra ricostruzione dell'incidente stradale, Paul rimase decapitato nello schianto contro un autocarro.

Davvero l’attuale Paul Mc Cartney è un impostore e l’impostura dura da tanti decenni? Chi intende smentire la “leggenda” adduce come “argomento” forte il seguente fatto: era impossibile trovare un sosia del vero Paul che fosse altrettanto talentuoso come bassista e compositore. Chi, invece, sostiene che il vero Paul morì nel 1966 (o 1965, come si è visto), affastella una messe di indizi disseminati in testi di canzoni, copertine di dischi, istantanee... da cui si evincerebbe che i tre Beatles sopravvissuti continuarono a rimpiangere ed a rievocare il sodale defunto. Sono indizi, non prove, benché molto numerosi e spesso significativi.

Il colpo di grazia ai negatori della “leggenda” è giunto dalle indagini antropometriche circa il profilo dei padiglioni auricolari, la distanza tra gli occhi, la forma dell'arcata dentaria... fra i due “simillimi”? Riteniamo di sì, quantunque gli increduli respingano le evidenze biometriche, asserendo che le analisi sono state condotte su fotografie poco definite, neanche fossero state scattate da Niépce e da Daguerre…

Il dibattito è infuocato né importa poi più di tanto stabilire chi abbia ragione e chi torto. E’ indubbio, però, che la possibile morte di Paul è circonfusa di un’aura sinistra, da rituale nefando, da liturgia ominosa.

Il volto del satanista Aleister Crowley campeggia sulla copertina dell’album Sergent Pepper: Crowley come inquietante mentore dei Fab four.

Più, però, di tante tracce diaboliche e funeree – particolare che nessuno sembra aver adocchiato – è la data della dipartita di Paul a suggerire alcunché di oscuro. L’incidente occorse il 9 novembre 1966, ossia 11 9 1966, secondo la sequenza usata nel Regno Unito ed altrove per le date.

L’incidente fu un sacrificio umano compiuto per ottenere da stigie entità di perpetuare il successo nel campo della musica? Fu un’immolazione cui seguì un senso di colpa codificato e sublimato nei messaggi subliminali di copertine e libretti?

Restava da risolvere un problema: dove trovare non tanto una controfigura credibile del vero Paul, ma un sosia che fosse altrettanto creativo ed abile nel suonare il basso? Forse non è difficile trovare la risposta, pensando al potere del numero 11 collegato a qualche rituale di magia nera. Fantasie? Può darsi. In ogni caso, il mito vive nella morte.

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