31 ottobre, 2010

Gli U.F.O. di Paolo Diacono

Con il nome di Paolo Diacono (nome derivato dal suo grado ecclesiastico) ci si riferisce a Paolo Varnefrido (Cividale del Friuli 720 ca. – Montecassino 799), storico e grammatico longobardo. Educato alla corte di Pavia, fu per cinque anni (782-786) maestro di grammatica alla corte di Carlo Magno. Nel 787 si ritirò nell’abbazia di Montecassino. Autore di trattati sulla lingua, lettere, omelie, del poemetto didascalico De specibus praeteriti perfecti e dell’Exspositio super regula sancti Benedicti, è celebre soprattutto per la sua fortunatissima Historia Langobardorum, storia del popolo longobardo dalle origini fino al re Liutprando (morto nel 744).

L’opera di Paolo Diacono in sei libri, composta dopo il 774, considerata una delle più insigni fra i testi storiografici del Medioevo, contiene alcune descrizioni relative a fenomeni celesti anomali che meritano un’attenta analisi, poiché, come vedremo, non sono “semplici” avvistamenti di U.F.O. ante litteram.

Nel libro IV, cap. 15 si legge: Tunc etiam signum sanguineum in caelo apparuisse visum est et quasi hastae sanguineae et lux clarissima per totam noctem. “Allora parve che in cielo fosse apparso un segno sanguigno e come delle aste color sangue ed una luce scintillante per tutta la notte”.

Il segno fu scorto in cielo durante il regno di Agilulfo, sovrano dal 590 al 616. L’autore, nel ricordare un fenomeno tanto straordinario, mostra prudenza, espressa per mezzo della forma verbale “visum est” (parve, sembrò), ma non si perita di insistere sul fulgore irreale che rischiarò le tenebre notturne. La raffigurazione è di ardua esegesi: potrebbe riferirsi ad un aerolite, sennonché il colore rutilante e soprattutto la citazione delle “hastae” fiammeggianti (lance) inducono a vedervi i cosiddetti “sigari volanti”, peculiari dell’ufologia contemporanea.[1]

Nel libro V, cap. 31 lo scrittore annota: Insequenti post tempore mense augusto a parte orientis stella cometis apparuit nimis fulgentibus radiis, quae post semet ipsam reversa disparuit. Nec mora, gravis pestilentia ab eadem parte orientis secuta, Romanum populum devastavit. “In seguito, nel mese di agosto, apparve nella parte orientale del cielo una cometa dai raggi fulgidissimi che successivamente ruotò su sé stessa e sparì. Pochissimo tempo dopo, una grave pestilenza si diffuse da oriente e decimò il popolo romano”.

In questo passo è difficile vedere un fenomeno astronomico: infatti la “cometa” gira intorno al proprio asse, mostrando un movimento non riconducibile ad un meteorite o ad un asteroide. E’ inquietante la concomitanza tra l’avvistamento dell’ordigno nel firmamento e l’epidemia che colpì la città di Roma, allora sede dell’esarca bizantino e del pontefice. Alcuni studiosi hanno individuato un sincronismo tra contagi ed avvistamenti di misteriosi oggetti volanti: l’erudito longobardo ci offre una delle più antiche (e rare) testimonianze di tale coincidenza.

Infine in VI, 9, Paolo Diacono scrive: Hac tempestate noctu stella iuxta Vergilias caelo sereno inter Domini Natalem et Theophaniam apparuit, omnimodo obumbrata, veluti cum luna sub nube est constituta. Post haec, mense februario, die media stella ab occasu exiit, quae cum magno fulgore in partes orientis declinavit. Dehinc mense martio Bebius eructuavit per dies aliquot et omnia virentia circumquaque prae pulvere et cinere illius exterminata sunt. “In quel tempo, di notte, apparve una stella vicino alle Pleiadi, nel cielo sereno, tra il giorno di Natale e l’Epifania. L'astro era velato, come la luna adombrata da una nube. In seguito, nel mese di febbraio, durante il giorno, la stella lasciò l’occidente e con un grande bagliore sparì ad oriente. Quindi, nel mese di marzo, il Vesuvio eruttò per alcuni giorni e tutta la vegetazione sulle falde del monte, a causa della polvere e della cenere lavica, fu incenerita”.

Qui si nota un collegamento tra l’apparizione della “stella” e l’eruzione del Vesuvio: non si può certo ricavarne un nesso di causa ed effetto, ma qualche ricercatore ha comunque constatato che attività sismiche e vulcaniche sono talora precedute o accompagnate da luci nel cielo, sebbene sia arduo stabilire se queste sfere di fuoco siano foriere delle calamità o le causino. Si potrebbe trattare solo di una combinazione. Paolo Diacono evidenzia la relazione cronologica tra fuochi celesti e flagelli, benché non si avventuri in affermazioni per istituire un legame causale.

William Bramley, nel saggio “Gods of Eden”, individua un rapporto tra ordigni volanti e la Morte Nera, la micidiale pestilenza che colpì l’Europa tra il 1346 ed il 1348. Scrive Bramley: “I testimoni dell'epoca accennano a ‘comete’, ma dalle descrizioni si comprende che non erano comete. Le persone riportano di oggetti volanti luminosi ed affermano che gli ordigni rilasciavano gas, da loro definiti foschie che causavano la Morte Nera. Questo fenomeno è descritto in molte città e regioni europee.

L'epidemia cominciò in Cina e colpì duramente l'Europa. Un fenomeno che reputo interessante fu la presenza di ‘men in black’ già in quel secolo. In un certo numero di villaggi e di centri urbani, le persone riferiscono di uomini vestiti di nero che sarebbero apparsi nelle periferie delle città con un lungo strumento che agitavano avanti ed indietro. Dopo queste apparizioni, si manifestavano le piaghe della peste.

I testimoni definivano questi strumenti ’falci’: le falci messorie diventarono simbolicamente l'immagine della morte, ma le persone non asseriscono che esse fossero usate da quei sinistri personaggi per mietere il grano. Perciò penso che essi brandissero degli strumenti per diffondere una nebbia piena di germi”.

L’analisi linguistica dei brani desunti dall’Historia Langobardorum, ci induce a pensare che, almeno nel caso del corpo roteante, il dotto abbia rappresentato un fenomeno straordinario di tipo ufologico, con i termini che avevano a disposizione gli uomini dell’antichità e del Medioevo. Questi vocaboli, tratti dal lessico astronomico di base ("cometa", "stella"…) sono, pur nella loro ambiguità, nel complesso adatti a delineare manifestazioni atmosferiche inconsuete. Come altri scrittori, le cui testimonianze sono studiate nell’ambito della Clipeologia (si pensi a Seneca, Lucano, Petronio, Plinio il Vecchio, Giulio Ossequente, Ammiano Marcellino….), Paolo Diacono si avvale anche del repertorio militare per dipingere forse velivoli extraterrestri: si noti il suo ricorso al termine “hastae” (aste, lance) che ben rende l’idea di un’astronave di forma allungata e tubolare. Gli scrittori classici sopra citati impiegano vocaboli come “clipei”, “scudi” o “trabes”, “travi”, sempre per tratteggiare presunti U.F.O., attingendo ad un inventario linguistico che è quanto mai efficace, nella sua valenza metaforica, per visualizzare quegli oggetti che noi contemporanei, sempre con mezzi figurati, definiamo “dischi”, “piatti”, “sigari” etc.

Ancora, sotto il profilo semantico, occorre soffermarsi sul “nec mora”, "senza indugio", ossia "subito dopo", del secondo excerptum preso in esame: lo storiografo medievale sembra qui voler evidenziare la stretta correlazione tra l’evento celeste e l’epidemia.

Nel terzo brano riportato, è notevole la rappresentazione della “stella” offuscata, come se fosse avvolta da un alone che ne smorza lo splendore. È poi icastica e dinamica l’immagine dell’oggetto radioso che, provenendo dall’occidente, sparisce ad oriente, discendendo (declinavit).

Con poche ma efficaci note, come si è visto, lo storico longobardo evoca anche la possibilità di sinistri influssi alieni.

[1] I sigari sono U.F.O. di forma oblunga simili a cilindri, fusi, siluri. In diversi casi, i sigari volanti presentano fonti di luce sui fianchi della fusoliera, sportelli ed oblò.

Fonti:

Autore non indicato, U.F.O., F.B.I. ed epidemie, 2010
W. Bramley, Gods of Eden, 1993
G. Casale, U.F.O. e terremoti, 2005
Enciclopedia del Medioevo, Milano, 2007, s.v. Paolo Diacono
A. Lissoni, Altri U.F.O., Diegaro di Cesena, 2001, passim
R. Malini, U.F.O. il dizionario enciclopedico, Milano, Firenze, 2003, s.v. sigaro volante



APOCALISSI ALIENE: il libro

28 ottobre, 2010

Il destino degli animali

“Il destino degli animali” è la celebre opera pittorica di Franz Marc (Monaco, 1880 Verdun, 1916), artista tedesco. Marc, che morì sul campo di battaglia, nei quadri dipinti negli anni precedenti la Grande guerra, affinò uno stile in cui furono distillate le feconde esperienze a cavallo di due secoli, tra Jugendstil ed avanguardie del primo Novecento. “Nel 1912 affiorarono nella sua opera due nuove componenti: l’Orfismo ed il Futurismo, conosciuti a Parigi ed a Monaco, in quello stesso anno. Larghi fasci di luce, piani di colore trasparenti, dinamico comporsi delle strutture vennero generando una realtà cristallina, armonica e musicale, uno spazio magico dalle luci incantate in cui vibra un profondo fremito panteistico.” (Enciclopedia dell’Arte, Milano, 2005, s.v. Marc)

“Il destino degli animali” è un dipinto emblematico di questa poetica: in una foresta irreale, schegge colorate trafiggono il muto bramito di cervi ed il disperato nitrito dei cavalli. La lezione del Raggismo russo (Goncarova, Larionov), rivissuta attraverso il contatto con il Futurismo italiano e permeata delle reminiscenze espressioniste risalenti al Blaue Reiter (Cavaliere azzurro), pulsa di rossi dolenti, in armonico stridio con l’indaco ed il malinconico verde.

Il quadro, nel suo pathos, pare anticipare le sorti dell’Europa di lì a poco incendiata dagli strali della contraerea ed insanguinata dagli scontri. I destrieri dipinti da Marc, come dilaniati in uno spasimo disperato, portano alla mente le pazze cariche della cavalleria sui fronti del conflitto: macelli di uomini e di animali in brani di carne, tra pozze di sangue, sotto il lucore fosforescente dell’artiglieria. L’intuizione cromatica si sfalda nelle sfaccettature taglienti della prospettiva frantumata; vi traluce appena l’ombra di una speranza.

Il destino dei nostri amici animali – sembra presagire Marc – innestato nella sofferenza e nella morte, è il destino degli uomini. Lo precorre come un’eco al contrario. Inascoltata.

Articolo correlato: C. Penna, Propaganda a favore del microchip per gli animali, 2010



APOCALISSI ALIENE: il libro

25 ottobre, 2010

Caino tra mito e storia

Chi fu veramente Caino?

In Genesi, 4 si legge che Adamo ed Eva generarono Caino ed Abele. Il primo fu agricoltore, il secondogenito pastore. Passato del tempo, Caino offrì a Dio i frutti della terra, mentre Abele immolò per il Signore alcuni primogeniti del suo gregge ed il loro grasso. Poiché Dio mostrò di gradire l’offerta di Abele, ma non quella di Caino, quest’ultimo si sdegnò ed uccise il fratello. Venuto a sapere del fratricidio, Dio maledisse Caino, condannandolo ad errare fuggiasco sulla terra. Il bandito, però - promise Dio - non sarebbe stato ucciso, grazie ad un accorgimento, un segno che Dio mise su Caino, affinché nessuno, pur consapevole dell’iniquità compiuta, essendosi imbattuto nel figlio degenere dei progenitori, lo uccidesse.

Bisogna chiedersi in che cosa consisté il marchio di Caino: fu forse un tatuaggio? Fu, invece, un particolare anatomico, come un neo? Fu, come è più probabile, una caratteristica genetica o un tratto distintivo "sottile”, quindi un suggello spirituale?

Il nome Caino significherebbe “possesso” oppure “fabbro”: qualora significasse “fabbro”, si potrebbe vedere un nesso con il colore associato agli artigiani delle fucine, ovviamente perché esperti nel lavorare i metalli con il fuoco. Se ricordiamo che Caino figura anche nel Corano con il nome di Kabil, si è tentati di rapportarlo, per la somiglianza del nome, ai Cabiri, antichi dei non ellenici collegati alla fertilità e reputati protettori dei naviganti.

Caino è sempre stato considerato il prototipo dell’assassino, del fratricida: tale sinistra reputazione lo accomuna ad un altro personaggio biblico, Giuda, additato come l’incarnazione del tradimento. Di solito gli antropologi vedono nella rivalità tra i due fratelli figli dei progenitori, il conflitto universale tra gli agricoltori stanziali (Caino) ed i pastori nomadi (Abele) per il controllo di terre ed acqua. Questi conflitti sono evocati in testi sumeri come parte della storia dell’umanità primordiale.

La Bibbia, in Genesi, 4, indugia su questa umanità delle origini: dopo aver ricevuto il marchio destinato a durare per sette generazioni, Caino vagò fino a giungere nel paese di Nod (vagabondaggio), ad est di Eden, dove ebbe il figlio Enoch (fondatore, fondazione). I successori di Caino furono Irad, Mecuiael, Metsuael, Lamech, Iabal, Tubalkain. Quest’ultimo fu un fabbro, “padre di quanti lavorano il rame ed il ferro”.

Pur nella sua concisione, l’autore biblico delinea una cultura che, dall’agricoltura passò attraverso una fase di nomadismo pastorale per costruire infine una civiltà urbana forse nella regione dei Monti Zagros, di Elam e della Media, nell’attuale Iran.

Com’è noto, tra le fonti della Torah bisogna annoverare testi sumeri ovvero le parti più antiche della Bibbia sono confrontabili con racconti mesopotamici molto antichi: ecco dunque che la tavoletta fittile catalogata BM 74329, reperto custodito nel British Museum di Londra, ci fornisce un interessante addentellato. Il documento, tradotto da Millard e Lambert, racconta di un gruppo di esuli che vagabondarono fino ad insediarsi nel paese di Dunnu, dove il loro capo costruì una città il cui simbolo era costituito da… due torri identiche. Il capo di questa comunità si chiamava Ka’in.

Mike Plato interpreta la figura di Caino in chiave simbolica: nel suggestivo articolo “Caino, il sigillo della potenza”, l’autore riabilita il “fratricida”, vedendo in lui un simbolo stratificato in cui confluiscono valori iniziatici, alchemici e spirituali. Caino “rappresenta l’evoluzione e l’elevazione spirituale dell’iniziato, se non l’iniziato stesso”, asserisce lo studioso che collega il personaggio biblico ai miti dei gemelli (ad esempio, i Dioscuri), al rapporto tra gli egizi Ka e Ba, cui alluderebbero i nomi Caino ed Abele. Le incursioni etimologiche di Plato, che reperisce nel nome Caino radici riferibili al greco kainos, “nuovo”, all’inglese chain “catena” e knight, “cavaliere”, mi sembrano un po’ forzate, sebbene le riflessioni sul sacrificio di sé, che è arra di vittoria, siano condivisibili.

Lo scrittore asserisce che “Caino è un mito e che non è mai esistito un uomo con tale nome”. Non sarei così apodittico: sull’humus storico crescono piante simboliche, ma l’emblema è sovente il risultato di una stratificazione a posteriori, benché alcuni archetipi siano primigeni. Questi immagini, però, si innestano in contesti culturali da cui sono inscindibili. E’ questo il mito: storia e metastoria al contempo. Così, per rimanere nell’ambito del personaggio in questione, il colore rosso associato a Caino può adombrare sia la presenza di una razza rossa (perseguitata?) sia il legame con la metallurgia (arte iniziatica) sia la rubedo alchemica. Se oggi le strade tra storia ed esoterismo sono separate e parallele, forse – fermo restando che le ricerche serie ed oneste sono in ogni caso feconde, in qualsiasi campo siano condotte – un giorno convergeranno.

Fonti:

A. S. Mercatante, Dizionario universale dei miti e delle leggende, Roma, 2001 s.v. Caino
M. Plato, Caino, il sigillo della potenza, 2010



APOCALISSI ALIENE: il libro

23 ottobre, 2010

Vita d'uscita

Giorno dopo giorno, pare offuscarsi l’orizzonte di senso che, un tempo, affiorava tra la nebbia. Si è assaliti dal dubbio che il significato che ci ostiniamo a cercare ed a vedere nella filigrana delle cose, anche le più sparute, anche le più laceranti, sia un miraggio, un’illusione ottica.

Si confida nella Luce, ma che fatica immane, che smarrimento, aggirarsi tra spessi drappi d’ombre!



APOCALISSI ALIENE: il libro

21 ottobre, 2010

Persona

Mi pare che la vita degli uomini sia simile ad un lungo corteo di maschere. (Luciano)

Il termine "persona" risale probabilmente al greco "prosopon", volto, attraverso la mediazione dell'etrusco "phersu", con il significato di "maschera". L’ironico vocabolo è davvero idoneo all'uomo di oggi che indossa una maschera in cui si identifica. L'essenza umana è così esteriorizzata in un'immagine di sé che è falsa e statica. Forse, però, è più grave rispetto al nascondimento della propria natura, la sua riduzione a simulacro, ad effigie piatta. Chi oserà internarsi nel profondo, con le sue segrete buie, i baratri amari, le paludi marcescenti? Superato l'istmo doloroso che collega la parvenza all'interiorità, il cammino è periglioso ed oscuro. E' vero che, alla fine dell'itinerario, potremo scoprire una vena aurifera, ma occorre attraversare gli stagni della putrefazione, scendere pendii sdrucciolevoli, sporgersi sugli abissi della follia. Il percorso interiore ci espone ai rischi della conoscenza, il cui viso è meduseo.

La faccia è facciata. Ci si incarna nell'aspetto e nei suoi corollari: il nome ed il cognome, l'abbigliamento, il ruolo sociale, la professione... Luigi Pirandello definiva questa facies "forma", l'insieme di tratti fittizi e caduchi che costituiscono e soprattutto sostituiscono la natura umana, la garanzia di un "essere" che è essere per gli altri, per il loro giudizio. La rispettabilità borghese atrofizza l'espressione. Sii canonico, logico, razionale, regolare, normale. Sarai allora una "persona umana". "Persona umana", ossimoro grandiosamente spaventevole: una maschera animata appena da un fremito preagonico.

Il timore del giudizio altrui costringe a soffocare la propria indole cui subentra il carattere. "Character" è personaggio: ecco, di nuovo l'inautenticità si appropria del volto e dell'io per spingerlo sul proscenio della società affinché reciti la parte, il cui copione non può essere cambiato di una virgola. Recita dunque e recita sempre: alla fine non ti accorgerai neppure che è una messinscena. L'abitudine compie miracoli. Così i bimbi sono strappati alla spontaneità ed allevati negli asili e nelle scuole: docili ed ubbidienti, anche quando saranno trasgressivi, diventeranno "onesti cittadini".

Lo stato garantisce la dignità e la libertà della "persona umana", ossia le marionette si muovono "liberamente" rette da fili, purché i fili restino invisibili. Se qualcuno mostra un briciolo di intelligenza, la soffocheremo tra roveti di luoghi comuni. Voilà, ora siamo tutti persone, le maschere per la mascherata finale. Ormai la stessa bidimensionalità è assottigliata fino ad essere risucchiata nel grigio dell'indistinto.

Si teme pure la superficie, perché certe superfici - è un prodigio assai raro - rivelano inaspettate profondità.


APOCALISSI ALIENE: il libro

19 ottobre, 2010

Telefon

"Telefon" è una pellicola statunitense del 1977, per la regia di Don Siegel. Tra gli interpreti figurano Charles Bronson, Lee Remick, Donald Pleasence, Alan Badel, Patrick Magee, Tyne Daly. Paolo Mereghetti recensisce il film: "Una scheggia impazzita del KGB (Charles Bronson) mette in azione alcuni agenti di stanza negli Stati Uniti, addestrati solo a livello inconscio. Tratto dal romanzo di Walter Wager e sceneggiato con abilità da Stirling Silliphant e dal futuro regista Peter Hyams, 'Telefon' è una spy story originale e ben diretta, che mantiene la tensione altissima fino all'ultima scena. Tra gli attori, meglio il mefistofelico Pleasence del legnoso Bronson."

L'intreccio del film, collocato nella temperie della cosiddetta "Guerra fredda", sviluppa i tòpoi della storia spionistica, introducendo il tema dell'ipnosi usata come strumento di controllo mentale: infatti negli Stati Uniti cinquantuno agenti sotto copertura ed "assopiti" sono destati, attraverso messaggi telefonici contenenti i versi del poeta Robert Frost, da un anziano esponente del KGB, contrario alla distensione tra le due superpotenze.

Se sfrondiamo l'opera cinematografica dal frusto e, in buona misura, fittizio, agone tra "buoni e cattivi", "Telefon" si può apprezzare, oltre che per l'atmosfera di angosciosa fatalità, per il riferimento al condizionamento subliminale, attuato con comandi post-ipnotici. E' un motivo quanto mai scottante: i Sovietici furono i primi a compiere esperimenti nel campo dei poteri psichici e ad usarli in operazioni segrete, ma gli Statunitensi non hanno nulla da invidiare. Si pensi al diabolico programma MK Ultra ed a tutte le sue filiazioni.

Non si sbaglia di molto, se si considera il mondo odierno una sorta di gigantesco laboratorio per il dominio delle coscienze e di quanto si situa oltre la labile soglia dell'io. Si impiegano – con successo - i mezzi più disparati per soggiogare l'umanità e tenerla in uno stato di perenne torpore.

Don Siegel, il regista statunitense noto soprattutto per il classico della fantascienza, “L'invasione degli ultracorpi” (1956), esprime "crudezza stilistica e scetticismo morale" in una pellicola secca ed ellittica. Come in altre sue produzioni, Siegel evoca implacabili scenari per esibire tutta la falsità di un epilogo consolatorio.


Fonti:

P. Mereghetti, Il dizionario, dei film, 2000, s.v. Telefon
Enciclopedia del cinema, a cura di G. Canova, Milano, 2002, s.v. Siegel



APOCALISSI ALIENE: il libro

17 ottobre, 2010

La pietra-fitta dei prati di San Lorenzo

La pietra-fitta dei prati di San Lorenzo è un monolite che sorge nell'entroterra ligure occidentale presso il borgo di Rezzo. Mario Codebò è autore di un'approfondita ricerca su questo manufatto, testimonianza di una cultura megalitica le cui imponenti ed enigmatiche testimonianze sono per lo più interpretate all'interno dell'archeoastronomia, riferendole a fenomeni e ad allineamenti astronomici nonché ai calendari solstiziali e precessionali. Sono tracce di un mondo perduto, avvolto nelle nebbie di tempi quasi del tutto obliati.

Nel saggio intitolato "La pietra-fitta dei prati di San Lorenzo", 1996, Codebò scrive: "Questa struttura è nota anche con altri nomi, menhir di Triora o del passo della Mezzaluna o del passo della Teglia (E. Bernardini 1975, 1981). Tuttavia la sua ubicazione esatta è sul margine occidentale della depressione dolinica detta di S. Lorenzo o prati di S. Lorenzo, non lontano dalla chiesetta omonima oggi ridotta ai soli ruderi delle fondamenta ed ubicata entro i confini comunali di Rezzo, sia pure al loro limite occidentale limitrofo a quello orientale dei comune di Molini, a quota m. 1400 s.l.m., lungo un antico sentiero forse originariamente congiungente la costa con la Pianura Padana per via transalpina, in una zona ricca di castellari (molto vicino quello di Drego; cfr. Bernardini, 1981) ed all'incrocio di altri cinque sentieri.

E' una lastra di pietra di forma sostanzialmente rettangolare, inclinata verso S di circa 40°, con due facce S-N e due spigoli E-W. Misura in altezza circa m 2.[...] Si tratta in sostanza di una lastra quadrangolare molto sottile e carenata in senso E-W quasi ad indicare una direzione. In particolare, lo spigolo E è piuttosto accuratamente appiattito come il vertice, formando all'intersezione con le due facce laterali veri e propri angoli retti, mentre lo spigolo W si assottiglia progressivamente in forma di prua di nave o di lama di coltello. L'inclinazione della pietra, come anche la sua ubicazione non esattamente sul crinale, ma alcune decine di metri più a valle verso Molini di Triora potrebbe avere, secondo L. Felolo, la funzione di renderla visibile dal basso fino dal fondovalle.

Nel complesso, la località è suggestiva e panoramica, godendovisi, per un arco di circa 150° W, un'ottima vista dell'intero sviluppo della valle dalla sua origine fino allo sbocco nel mare.

La particolare forma della pietra, così ben sagomata e carenata, identifica, di fatto, una direzione specifica verso il profilo delle Alpi Marittime ben visibili all'orizzonte occidentale; l'azimut di questa direzione può essere agevolmente rilevato, affiancando il lato rettilineo della bussola ad una delle facce larghe della lastra, parallelo all'asse E-W, identificato, come si è detto, dagli spigoli carenati e mantenendo, ciononostante, la bussola in bolla. Questo azimut magnetico oscilla intorno ai 237°, corrispondenti al tramonto del sole al solstizio invernale".

Il nostro amico e collaboratore M.B. ci fornisce le indicazioni per raggiungere la zona dove sorge il monumento litico. "L'escursione al menhir prevede un trasferimento automobilistico verso il Passo Teglia ed offre due possibili soluzioni: l'auto può essere lasciata prima del valico, dopo Drego, dove è possibile notare un sentiero identificato da un gruppo di sassi. Tale via è più breve ma ripida ed assolata. Come seconda possibilità, si può parcheggiare in prossimità del Passo Teglia, dal quale parte un sentiero C.A.I. pianeggiante ed ombroso, diretto a San Lorenzo ed al Colle della Mezzaluna. In circa mezz'ora, si giunge in una zona scoperta: alla sinistra del sentiero è visibile una conca interna piuttosto estesa. Si è in località San Lorenzo - come segnalato da un cartello divelto - e non sono presenti indicazioni per il menhir. Va quindi imboccato un sentiero ad ore 8 rispetto al senso di marcia, all'inizio non ben visibile, seppur piuttosto evidente sul crinale dalla parte opposta della conca. Toccato il crinale, da cui si scorge la valle di Drego, bisogna andare a sinistra e, dopo pochi metri di salita, si raggiunge il menhir che, però, per chi arriva da tale direzione, può essere confuso con le rocce retrostanti".



APOCALISSI ALIENE: il libro

15 ottobre, 2010

Una tristissima Gaia

Spiritualità: è la prima parola che, in modo paradossale, mi è venuta in mente, quando mi sono imbattuto in questa video-presentazione intitolata “Gaia, il futuro della politica”. Sì, è proprio la dimensione mistica che domina, nonostante le apparenze, in questo scenario tecnocratico, omologato, livellatore: è una spiritualità invertita, satanica, quella che si nasconde tra le pieghe di un progetto che sembra laico, solamente umanista, in realtà transumanista.

Gli autori di questo documento, "Gaia - il futuro della politica", prospettano (prevedono?) un avvenire, in cui, dopo essere stata combattuta una terza guerra mondiale, causa di miliardi di morti, si crea un governo globale che abolisce società segrete, religioni, esecutivi nazionali, naturalmente in nome della pace e della concordia. Conclusasi la conflagrazione che - Orwell docet - ha contrapposto l’Occidente “libero” all’Oriente “malvagio”, si delinea una società dove tutto è gestito attraverso la Rete. L’identità è elettronica: chi non si adegua è espulso. Alcune prospettive sono accattivanti: chi non desidererebbe un pianeta senza conflitti e divisioni, dove le comunità locali sono autosufficienti e si gestiscono attraverso forme di democrazia diretta? Queste visioni, però, sono contraddette dall’enfasi sull’autorità planetaria e sulla Legge: la Legge è coercizione e tortura, la mannaia che solletica la nuca del ribelle. Il proclama globalizzatore, inneggiante a depravati e bugiardi come Bill Clinton ed Al Gore, è una realizzazione della Casaleggio, la società massonica che annovera, tra i suoi uomini di paglia, Beppe Grillo ed Antonio Di Pietro.

In verità, coloro che nel filmato denunciano lo strapotere del Gruppo Bilderberg appartengono al Gruppo Bilderberg ed a confraternite di Oscurati, il cui fine ultimo non è il controllo delle risorse, ma l’instaurazione di un’entità sopranazionale “consacrata” per mezzo di un culto nefando. Si comprende così per quale motivo si ostenti la necessità di distruggere le religioni tradizionali ed i loro simboli: Cristianesimo, Islam, Induismo, Buddhismo… devono essere cancellati affinché, sulle rovine delle chiese, delle moschee e dei templi sorgano le blasfeme cattedrali erette al dio del Male.

Quest’empia devozione anima gli Ottenebrati per cui l’economia, i media, le strategie politiche sono strumenti per portare il pianeta alla disperazione: allora i popoli, stremati e sgomenti, invocheranno la pace ed il benessere. Per costringere le nazioni ad implorare la fine delle carneficine, delle carestie, delle crisi, delle calamità…, è necessario condurle sull’orlo dell’abisso. Infine, magnanimi e pietosi, gli Oscuri elargiranno i loro doni avvelenati, simili a quei balocchi che gli aerei sganciano sui teatri di guerra: non sono giocattoli, ma bombe che dilaniano, mutilano ed accecano ignari bambini.

Non è casuale che il futuro prospettato nel video trovi il suo fulcro nella Rete che, da mezzo di comunicazione, diventa ragnatela (Web) in cui invischiare gli uomini trasformati in impulsi elettronici, privati di ogni dignità e libertà, fagocitati in un mondo sintetico, artificiale. Spicca, alla fine del video, l’immagine dell’encefalo. E’ questa la “spiritualità” dei Demoni: una scossa elettrica che infonde una vita larvale alla creatura del Dottor Frankenstein.

Per perseguire questo “ideale”, gli Ierofanti del buio hanno innalzato altari che gronderanno sangue. Le vittime da immolare sono state già scelte.



APOCALISSI ALIENE: il libro

13 ottobre, 2010

Il caso di Bob White: la prova definitiva circa l’esistenza di civiltà aliene?

L’avvistamento U.F.O. che vide coinvolto Robert Lee (Bob) White non è il solito (anche se sorprendente) resoconto relativo ad una luce misteriosa nella notte o ad un velivolo di presunta origine extraterrestre, poiché è quasi un unicum nella storia dell’investigazione sui dischi volanti: la straordinarietà consiste nel reperimento, in seguito al passaggio di un misterioso aeromobile, di un oggetto che risulta, con ogni probabilità, di fabbricazione aliena.

Robert Lee White (1931- 2009) è un cantante ed attore statunitense. E’ apparso in alcune serie televisive ed in qualche pellicola, come “Butterlfly”, dove ha recitato a fianco di Stacy Keach e di Pia Zadora.

Nel 1985 la vita di White cambiò improvvisamente: mentre stava viaggiando, sulla sua automobile, da Denver a Las Vegas, Bob e la sua compagna furono protagonisti di un incontro ravvicinato del terzo tipo. I due, infatti, poterono osservare sbalorditi, al confine tra il Colorado e lo Utah, un ordigno non identificato che solcava il cielo. Lo stupore crebbe, quando Bob trovò un oggetto metallico che era caduto dall’U.F.O.: egli non rivelò mai alcunché dell’accaduto fino a quando andò in pensione, nel 1996.

In quell’anno Bob, su consiglio del M.U.F.O.N, cui si era rivolto, mandò un frammento dell’oggetto al N.I.D.S. (National Institute of Discovery Science).[1] L’istituto a sua volta consegnò il reperto ad un laboratorio del New Mexico affinché fosse compiuta un’analisi metallurgica. Altri esami furono condotti alla fine degli anni ‘90 del XX secolo, mentre vari programmi televisivi e radiofonici dedicarono spazio ad uno dei più significativi casi dell’Ufologia.

Bob White firmò una dichiarazione giurata circa il suo avvistamento. Nel 1998 superò l’esame con il poligrafo. Nel 2000 venne a sapere che l’oggetto da lui reperito era identico a quello descritto in un documento recentemente declassificato e riferito ad un episodio occorso nel 1940. L’oggetto era esaminato all’interno di un rapporto militare del Counter Intelligenge Corps. Il file era denominato “Flying saucer from Denmark”. Nello stesso anno Bob ed il suo socio, Larry Cekander, aprirono il Museo dell’inesplicabile a Reed Springs (Montana).

Furono in seguito condotti altri test del “manufatto”: risultò che irradiava energia elettromagnetica, raggi gamma e neutroni.

Le analisi più accurate dell’oggetto furono eseguite da David Lamb, esperto in fisica dei materiali. L’artefatto rivelò la struttura policristallina di un semiconduttore. Vi fu rintracciata una concentrazione di argento pari al 4,3 per cento: sulla Terra l’argento in questa concentrazione è usato come catalizzatore nelle reazioni chimiche. Lamb affermò che, associato all’alluminio, potrebbe essere usato per dissipare campi elettromagnetici. Lo scienziato ipotizzò che fosse un quasi-cristallo di struttura molto complessa. Quasi-cristalli di questo tipo sono stati creati solo negli ultimi anni nell’ambito della nanotecnologia.[2]

Secondo altri studiosi, che, però, non motivano le loro conclusioni, l’oggetto di White sarebbe sovrapponibile a prodotti terrestri.


[1] Il M.U.F.O.N., Mutual U.F.O. network è una delle più importanti associazioni ufologiche del mondo, nata negli Stati Uniti nel 1973, in seguito alla crisi di due gruppi storici, l’A.P.R.O. ed il N.I.C.A.P.

[2] I quasi-cristalli sono solidi di composti intermetallici che, pur presentando caratteristiche simile a quelle dei cristalli, ne differiscono per una posizione non periodica degli elementi costitutivi ed in quanto si discostano dalle leggi della cristallografia. I materiali quasi-cristallini sono per lo più rappresentati da leghe di alluminio con nichel, ferro e cobalto. I quasi-cristalli possiedono notevole leggerezza, resistenza alle deformazioni e buona conduttività. Fu un materiale quasi-cristallino quello reperito a Roswell nel 1947?


Fonti:

Enciclopedia delle scienze, Milano, 2005, s.v. quasi-cristalli
R. Malini, U.F.O., il dizionario enciclopedico, Milano- Firenze, 2002, s.v. M.U.F.O.N.
B. White, U.F.O. hard evidence, 2009



APOCALISSI ALIENE: il libro

11 ottobre, 2010

Tears for ears

“Non posso fare distinzione tra la musica e le lacrime”. Questa sentenza di Nietzsche non solo imparenta la musica con la malinconia, piuttosto scava in quei momenti in cui l’anima si sporge verso l’abisso là dove arde la voce primigenia. Allora la melodia, come la corda di un arco si tende nell’inaudito. La voce si incrina e, tra gli spazi quasi impercettibili di silenzio, si spezzano le emozioni.

L’estensione vocale diviene più espressiva, quando riesce ad esprimere un’ombra del nulla.

I suoni della natura sono il pulviscolo di note che si sprigiona nell’alito del vento, nello stormire delle fronde, nel fruscio di un ruscello. Questa musica trova la sua acustica perfetta tra le canne d’organo dei tronchi: nei boschi la melopea si diluisce in risonanze misteriose, evocative. Sarà stato anche per tale ragione che Bernardo di Chiaravalle amava ripetere di aver appreso più dagli alberi che dai libri. Sono conoscenze custodite nello scrigno dell’ineffabilità, trasmesse sui fili vibranti di un’armonia.

Musica e lacrime, doloroso binomio. E’ singolare che siano i motivi più elegiaci a trasfondere brividi di vita, forse perché queste melodie si avventurano sul confine tra il senso ed il non-senso. Lì l’esistenza si affaccia sul mistero dell’essenza: Schopenauer la definiva Wille, Volontà. In bilico tra speranza e sgomento – avrà un significato la sofferenza accidentale dei giorni? – la linea sinuosa e mesta di un canto si specchia nel lago infinito della notte. E’ come se un’eco di nostalgia provenisse dalle infinite distanze del tempo iniziale. Sintonizzandosi su quell’eco, si rivive per un istante il primo respiro.

Musica e lacrime, doloroso, eppure catartico binomio. Se Dio è nella pioggia, la musica della pioggia può essere solo dolente nella sua argentea serenità.


APOCALISSI ALIENE: il libro

09 ottobre, 2010

Mondi (seconda parte)

Leggi qui la prima parte.

L’episodio biblico connette il masso alla porta, spalancata la quale, si accede all’universo dei sogni e delle visioni. Assopitosi sul guanciale litico, Giacobbe scorse la scala ed ascoltò la promessa di YHWH: il luogo era sacro, divino, ancora prima che Israele vi erigesse la stele e la consacrasse con l’olio. Esistono, infatti, sul pianeta dei punti che sono centri energetici e che paiono dei varchi tra mondi: sono passaggi verso altre realtà spazio-temporali. Fonti, radure, anfratti, caverne, macigni di forma allungata, pozze, voragini… sono “ponti” che scavalcano le dimensioni. Questi “ponti” sono fisici e simbolici o meglio iperfisici: si trovano là dove il paesaggio naturale è venato di ombre preternaturali. I “ponti” (suggestivo che il supremo rappresentante della religione romana fosse il Pontifex maximus, benché oggi si tenda ad escludere l’etimologia “pons facere”) sono quindi porte sul magico e sull’ignoto.

Almeno bisognerà qui rammentare la porta per eccellenza, Babel o Babili (accadico), la porta degli dei. Nell’Enuma elish, il testo sumero che rievoca saghe divine, è scritto: “Ho indurito il terreno per un luogo edificabile, per costruire una casa, la mia lussuosa dimora. Vi stabilirò il mio tempio, i suoi santuari affermeranno la mia sovranità… La chiamerò Bab-ili”. Sono le solenni parole di Marduk, il dio nazionale degli Amorrei (Babilonesi). Già villaggio in epoca sumera, Babilonia diventò uno dei più famosi centri politici e religiosi del mondo antico con Sargon di Accad. Babilonia fu solo una città per quanto grandiosa o anche un portale, come lascerebbe intendere il nome? Era un luogo dove e da dove gli dei andavano e venivano? Non l’unico, certo, ma uno dei tanti nascosti dal velo istoriato del mito o sepolti dalla polvere dei millenni. E’ possibile che nella celebre città mesopotamica si radunarono, come attratti da una forza magnetica, nazioni provenienti dalle regioni circonvicine. Queste genti - è raccontato nella Bibbia – vollero costruire un’alta torre per toccare il cielo. Secondo la Genesi (11,1), quando la Terra cominciò a ripopolarsi dopo il Diluvio, tutto il genere umano parlava la stessa lingua. “Emigrando dall’Oriente, gli uomini capitarono in una pianura nel paese di Sennaar (Sumer o Shumer) e vi si stabilirono, ma poi cominciarono a costruire una città ed una torre la cui cima toccasse il cielo.” Fu per fermare quelle ambizioni del genere umano che YHWH, inquietato, disse: “Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l’uno la lingua dell’altro.” YHWH, confuse le lingue, disperse gli uomini da lì su tutta la Terra. L’autore biblico, usando un gioco di parole tra il verbo ebraico bll, "confondere", "mescolare" con il nome della città, Babilonia. L'autore biblico spiega: "Per questo la si chiamò Babele, perché là il Signore confuse (bll) la lingua di tutta la terra."[3]

Anche lo storico greco Alessandro Polyhistor, citando Beroso ed altre fonti, racconta che, prima della costruzione di una torre alta e grande, l’umanità “aveva una sola lingua”.

Eppure, nonostante la mescolanza degli idiomi, ancora oggi fili quasi invisibili collegano luoghi e tradizioni accomunati da un’unica, ancestrale scaturigine: così in vari sistemi linguistici il termine che indica la porta, conserva un morfema che ci conduce verso la… solita strada. La porta non è, infatti, tanto l’apertura che si pratica in una parete o in una recinzione per crearvi un passaggio e ancor meno il serramento che si applica all’apertura per aprirla e chiuderla a piacere, quanto il passaggio, il movimento. La radice più lontana è “per”, attraversare, passare. La porta è pure il porto ed il guado.

[3] La torre di Babele è di solito interpretata come la testimonianza della superbia umana punita da Dio. Fu, come ripetono gli esegeti, uno ziqqurat o qualcos’altro? Anche gli ziqqurat tuttavia non furono solo templi ed osservatori astronomici, ma “scale” verso il firmamento, un po’ come gli obelischi.


APOCALISSI ALIENE: il libro

06 ottobre, 2010

Daniel X Missione: vendetta

James Patterson e Michael Ledwidge sono gli autori di un romanzo intitolato “Daniel X, Missione: vendetta”. La storia ha per protagonista Daniel, bimbo di tre anni, i cui genitori sono i Custodi della lista, l'elenco dei criminali alieni più pericolosi che si nascondono sulla Terra. La Mantide, un essere spietato, per appropriarsi dell'elenco, uccide i genitori di Daniel che assiste all'assassinio, salvandosi per miracolo. Trascorsi dodici anni da quel traumatico giorno, Daniel decide di usare i suoi formidabili poteri - la capacità di creare oggetti con la forza del pensiero e di spostarsi alla velocità della luce - per vendicarsi, neutralizzando i fuorilegge della lista. La sua caccia punta all'eliminazione del Numero Uno, la Mantide: Daniel è l'unico che può scovarla per allontanare dal mondo la catastrofe...

Questo è l'intreccio di un'opera che, sin dal reboante titolo, tradisce l'infinita miseria in cui è precipitata la narrativa. Qui non interessano le pressoché inesistenti qualità letterarie di un testo che, però, merita attenzione per alcuni adombramenti di possibili verità. La Mantide evoca, infatti, la struttura gerarchica che nell'Ufologia di questi ultimi anni, al confine tra folklore e strabiche intuizioni, avrebbe identificato i "gruppi di potere alieno", con al vertice gli Insettoidi, i quali controllerebbero altre specie. E' ovvio che è impossibile pronunciarsi su tale ricostruzione ipnotica, ma antichi miti, pitture rupestri ed altre testimonianze risalenti al Paleolitico ci hanno lasciato pur labili indizi di un'inquietante dominazione.

Ad esempio, i San (appartenenti all'etnia dei Boscimani) venerano un dio creatore dal nome Kaggen che significa Mantide. E’ comunque nell’Ufologia più sinistra che si rinvengono rimandi ad un'egemonia insettoide. Philip Imbrogno, intervistato da Lavinia Pallotta, così si esprime a proposito dell’inquietante Progetto Philadelphia: “Hynek venne contattato da una persona che affermò di aver partecipato al progetto. Hynek si recò in Messico per incontrare il testimone Carlos (nome in codice) perché questi sentiva che la sua vita era in pericolo. Sembra che fosse il terzo Carlos e la storia era stata tramandata ai successori. In questa versione del famigerato ‘Project invisibilità’, la nave scomparve per andare in un’altra dimensione dove l’equipaggio incontrò esseri intelligenti simili ad insetti che condussero esperimenti su di loro. Quando la nave fece ritorno, metà dell’equipaggio era scomparso. Secondo questa versione, si era aperta una finestra dimensionale: gli esseri dell’altra parte la stanno tenendo aperta per venire nel nostro mondo e noi non siamo in grado di chiudere il portale”.

Lo scienziato statunitense, Terence McKenna, autore di “True hallucinations” e di “The invisibile landscape”, descrive “un incontro con intelligenze insettoidi che avevano cose curiose da dire sulla natura del tempo”.

Ci si chiede se certi autori (siano pure autori di un bric à brac che si stenta ad inscrivere nel sottogenere narrativo della fantascienza) captino, come nel caso di Williamson, dei segnali di mondi tangenti o se, impossessatisi di acuminate schegge di verità, decidano di incastonarle - assai male - nei loro libracci per attirare il pubblico di sprovveduti ed annoiati lettori e per tastarne le reazioni. Questo vale per “Daniel X”, dal cui tedioso intreccio, per nulla riscattato da pericolanti ellissi o da una suspense da telefilm, si può comunque estrarre qualche utile cenno. La risposta se la storia delle élites esogene ha un suo fondamento o se è un'abile mossa della disinformazione ormai scuola con il maestro ed i discepoli, è affidata ad ulteriori indagini.

In questi tempi di ferro, tempi in cui la "scienza" è abortita nella saccente propaganda e l'istruzione è piattume, paradossalmente qualche spiraglio sul retrobottega si apre grazie alla consunta letteratura di consumo.



APOCALISSI ALIENE: il libro

05 ottobre, 2010

In edicola il numero di ottobre di X Times

Dal 7 ottobre sarà in edicola il nuovo numero di "X Times", la rivista diretta da Lavinia Pallotta. Su questo numero si potrà leggere un ricordo di Wendelle Stevens, l'ex tenente colonnello dell'Aeronautica militare statunitense, recentemente scomparso.


Leggi qui il sommario degli articoli e l'editoriale della direttrice.




APOCALISSI ALIENE: il libro

04 ottobre, 2010

Aut

Scrive Blaise Pascal: "Ciascuno esamini i propri pensieri: li troverà sempre occupati dal passato e dall'avvenire. Non pensiamo quasi mai al presente o, se ci pensiamo, è solo per prenderne lume al fine di predisporre l'avvenire. Il presente non è mai il nostro fine; il passato ed il presente sono i nostri mezzi; solo il futuro è il nostro fine. Così non viviamo mai, ma speriamo di vivere e, preparandoci sempre ad essere felici, è inevitabile che non siamo mai tali." (Pascal, Pensieri)

Lo scienziato e filosofo francese mette a nudo la condizione umana, anticipando le analisi degli esistenzialisti. Egli ci mostra il carattere illusorio del presente, attimo inattingibile, nonché la logorante oscillazione del pensiero tra passato e futuro. Di fronte ad una così lucida constatazione, sembrano sgretolarsi tutte le esortazioni a vivere l'ora. In verità, non si tratta di vivere l'adesso che non esiste, ma di trascendere il tempo, vera condanna per l'uomo, che è come schiacciato da una ruota dentata.

La felicità, dissanguata nel rimpianto o frantumata nell'attesa, è un miraggio, la curva che si avvicina all’infinito all’asintoto, senza mai toccarlo. Le ore si consumano tra la noia e l'inquietudine. Nel vuoto del tedio ribollono i pensieri più tormentosi. Tra le spine del dolore si lacerano le speranze. Perché tutto questo? Perché manca sempre qualcosa: l'appiglio, l'approdo, il senso, il fondamento... Perché avviene questo? Perché l'esistenza non è la vita e l'esistenza è insufficienza.


APOCALISSI ALIENE: il libro

02 ottobre, 2010

E vi fu guerra in cielo...

E vi fu guerra in cielo: Michele ed i suoi angeli combatterono contro il dragone; anche il dragone ed i suoi angeli combatterono, ma non vinsero e per loro non fu più trovato posto nel cielo. (Apocalisse 12,7-8)

Uno scenario verosimile?


Scrive Daniele Dellerba: "Nel recente documentario di "History Channel", "A caccia di UFO: spie extraterrestri", si ipotizza che alcuni U.F.O. siano stati abbattuti grazie a nuovi tipi di laser ad alta potenza, in via di realizzazione in alcuni famosi laboratori statunitensi. Questi prototipi di raggio anti-U.F.O. preoccuperebbero, secondo gli autori, gli alieni, che così spierebbero queste aree di ricerca. Se così fosse, a nostra insaputa, sarebbe stato guadato un Rubicone strategico. Disponendo, infatti, di un'arma anti-intrusione in grado di colpire velivoli non terrestri anche a lunga distanza nello spazio, diventerebbe meno pressante conservare il segreto con le masse. Ovviamente, oltre alle difese laser, deve anche essere disponibile un modo per schermare le armi a raggi dai grandi black out energetici che gli U.F.O. producono, altrimenti questi armamenti sono inutili per minacciare gli extraterrestri. Se esistono queste armi laser, vedremmo spuntare ovunque nuove strutture locali in ogni stato per produrre grandi quantità di energia elettrica: forse qualcuno noterà un nesso con la rinata mania internazionale di costruire centrali nucleari (anche in Italia)."

Queste osservazioni si incuneano nel dibattito esopolitico che diviene sempre più attuale. Le bellicose dichiarazioni di un esponente politico giapponese, che ha invitato a considerare l'eventualità di un’aggressione aliena contro cui è necessario armarsi, suonano come l’ennesimo appello a combattere il nemico esterno creato dal nulla. Anche Stephen Hawking ha voluto mettere in guardia contro colonizzatori provenienti da lontanissimi pianeti: le frasi del cosmologo britannico, neanche tanto sibilline, paiono in linea con gli scopi del governo occulto. Quali sono i fatti cui si riferisce il ricercatore indipendente Dellerba? Astronavi di civiltà spaziali sono abbattute dai terrestri, ma questo non è un fenomeno recente ed i militari hanno solo, negli ultimi anni, perfezionato i sistemi d’arma per neutralizzare gli “intrusi”.

E’ forse stato un errore credere che fosse possibile stipulare un accordo o un patto di non aggressione con i governi mondiali: ora le forze armate del pianeta, avvalendosi della retro-ingegneria che ha consentito loro di progettare e costruire velivoli e strumenti bellici sempre più sofisticati e letali, stanno per avere il sopravvento su esseri che hanno sottovalutato non solo le capacità tecnologiche del nemico, ma soprattutto la sua incommensurabile perfidia. L’"Iniziativa di difesa strategica" - S.D.I. (alias “Scudo spaziale”), i satelliti, le armi ad energia diretta sono da decenni impiegati contro gli avversari della Cabal, sovente con successo. Diversamente, si spiegherebbe la militarizzazione dello spazio? Vogliamo forse cadere nel tranello e cominciare un’altra guerra infinita contro un inafferrabile Bin Laden cosmico e concentrare l’odio contro un Goldstein galattico? Continua ad echeggiare l’avvertimento (inascoltato) di Werner Von Braun, per bocca della sua portavoce, Carol Rosin: “the last card, the last card”. L’ultima carta cui si riferiva la Rosin è appunto lo spauracchio extraterrestre: non neghiamo che possa esistere un pericolo esterno, ma non coinciderà mai con quello additato dall’O.N.U. e dalle altre screditate istituzioni nazionali ed internazionali.

E’ il solito gioco delle parti: le autorità intendono demonizzare esseri benevoli per perpetuare il loro perverso dominio. Purtroppo creature “gandhiane” non hanno reagito o hanno reagito in modo molto blando agli attacchi sferrati dai militari, forse confidando nella loro superiorità tecnologica e spirituale, ma certi farabutti comprendono solo le maniere forti. La ripercussione è la seguente: sembra che alcuni esseri siano ridotti a mal partito. In caso di conflitto, specialmente se i terrestri potessero contare su potenti alleati, l’esito non sarebbe scontato. Il teatro di guerra è stato già accuratamente mappato, ricavandone una configurazione elettronica tridimensionale (Progetto R.F.M.P.): il teatro di guerra è il mondo. Ecco perché le irrorazioni clandestine investono l’intero pianeta o quasi. La prossima conflagrazione sarà “la guerra dei mondi”.

E’ evidente che i media stanno cercando, assecondando la volontà di poteri occulti, di acclimare l’opinione pubblica alla possibilità del “contatto extraterrestre”: che certe notizie, come quella sulla nomina di un’ambasciatrice dell’O.N.U. per le relazioni con le civiltà stellari, siano diffuse per essere subito dopo smentite, poco importa. Il sasso è stato gettato. I telefilm Visitors e The event lanciano messaggi obliqui. Il contatto, però, sarà gestito secondo le bieche strategie ed i fini di un potere che ha sempre ingannato e vessato le nazioni. Possiamo credere alle “verità” del sistema? Quando, nel corso della storia, almeno quella degli ultimi decenni, il potere ha agito nell’interesse dei cittadini? La chiamata alle armi contro gli alieni “cattivi” potrebbe essere l’eccezione? Ammettiamo, per assurdo, che una tantum il governo mondiale intenda difenderci da assalitori esterni, chi di noi sarebbe tanto stupido da rispondere all’appello “Armiamoci e partite!” Vadano i governanti ed i loro lacché a combattere, a morire, dilaniati da una bomba, si tratti di stanare un inesistente Bin Laden da una grotta dell’Afghanistan, si tratti di sparare ad un soldato proveniente da chissà dove.


APOCALISSI ALIENE: il libro

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