16 febbraio, 2015

Giorno d'esame

Henry Slesar (1927-2002), scrittore e sceneggiatore statunitense, nel racconto “Giorno d’esame” mette in scena tre personaggi: una coppia di genitori ed il figlio Dickie che sta festeggiando il dodicesimo compleanno. [1] L’atmosfera è tesa e precaria a causa della dell’imminente esame governativo che il ragazzo dovrà sostenere. E’ un test per misurare l’intelligenza, reso infallibile dal fatto che i giovani candidati devono bere un liquido che costringe a rispondere in modo veritiero. Il giorno dell’esame il protagonista è condotto dal padre in un edificio freddo “come un tribunale”: vi opera un personale dai modi educati ma algidi. La sequenza in cui è raccontata la fase preparatoria dell’esame in una stanza avvolta nella penombra contribuisce ad accrescere la tensione nel lettore che segue, passo passo, le azioni di Dickie dal momento in cui trangugia la bevanda a quando è invitato a sedersi su una “solitaria poltroncina di metallo” di fronte all’elaboratore di cui si illuminano i quadranti. La tensione tocca il diapason, quando i genitori del ragazzo, a casa, ricevono la telefonata che annuncia loro con modi sbrigativi e burocratici l’esito della prova.



La storia è ambientata in una supertecnologica società futura in cui si vive “senza nemmeno azzardarsi a pensare” e dove l’intelligenza dei singoli è rigidamente controllata affinché non superi una certa soglia, reputata pericolosa per il sistema. Un alto quoziente intellettivo è un reato, punito a priori con la morte di chi è un giorno potrebbe ragionare e maturare idee e convinzioni proprie. In questo modo ogni critica del potere, ogni ribellione diventano impossibili.

L’autore dosa in modo sapiente la suspense sino allo Spannung dell’epilogo, inquadrando scene in cui domina il grigio. E’ un’uggiosa giornata di pioggia: i pacchetti infiocchettati per il genetliaco di Dickie ed i suoi giornalini creano note di colore, ma l’atmosfera angosciosa le spegne. Il grigiore pare la sostanza di una società svuotata, smorta. Slesar, con il campo ed il controcampo, fissa gli sguardi inquieti dei genitori e quello del piccolo protagonista: nei suoi occhi la luce della gioia per la festa è velata dall’ombra di un presentimento. La macchina da presa poi si muove per inquadrare lo spazio di un atrio delimitato da colonne, locali asettici e freddi.

La fantascienza distopica del narratore è il monito su un mondo in cui non è proibito il libero pensiero, ma il pensiero tout court.

[1] Il racconto ha ispirato un episodio della serie “Ai confini della realtà”.

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8 commenti:

  1. Questa tua intensa sintesi mi ricorda molto l'inizio del film distopico 'Divergent' nel quale a non essere concesso dal sistema totalizzante è il possesso di un pensiero 'divergente', non catalogabile e quindi incontrollabile. Anche nel film c'è il gelido test 'attitudinale', atteso con ansia spasmodica. Ad essere divergente ed inaccettabile è, nel film, solo il pensare. Qui il link sulla trama, ciao: https://www.commonsensemedia.org/movie-reviews/divergent

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    1. Grazie della segnalazione, Ghigo. Non conoscevo questa pellicola. Un altro film distopico di pregio è "Equlibrium".

      Ciao

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  2. Un'agghiacciante via di mezzo fra "1984" e Gattaca.. Ciao

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    1. Quelli della letteratura distopica non sono topoi, ma tragici e precisi presagi.

      Ciao

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    2. Eh già, altro che Eden, il pollaio arcontico viaggia verso la distopia, che ci piaccia o no.. D'altra parte anche noi - di riflesso - alleviamo e sfruttiamo creature in allevamenti massivi per profitto e ingordigia, ben oltre le naturali necessità di autosussistenza, senza porci grossi interrogativi etici. Quando si dice 'chi la fa l'aspetti'.. Nefasti presagi per una società cadente. Ciao

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  3. Hai ragione, Emanuele. "Chi è senza peccato scagli la prima pietra". Si è creata una reazione a catena ed in questa catena non si trova l'anello debole.

    Ciao

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    1. E' proprio così il sistema sfrutta la corruttibilità umana, per tenere le redini del gioco. Uno gnostico potrebbe dire che oggi 'Satana è al governo', e che la vera rivoluzione è interiore. Come si spiegherebbe, altrimenti, che la gente onesta passi per fessa, quando va bene, e che gli imbroglioni abbiano un conclamato successo? Tuttavia voglio credere, in cuor mio, che questo sistema di cose sia al capolinea e con esso i viscidi vermi pagati per mentire, denigrare, distruggere. Il fatto è che grazie ai media moderni, il mondo dei cortigiani e dei ruffiani non ha più confini, a tutto si mescola e tutto imbratta. L'unica cosa che vogliono lasciare pulita sono le tasche di noi pecore che, quasi senza saperlo, la finanziamo, questa corsa verso un domani sempre più grigio e asfittico. Quant'altra aria pesante dovremo respirare? Purtroppo, questa epoca, non ce la siamo scelta noi, quindi non resta che combatterla. Un uomo onesto, oggi, non può far finta di nulla. Eppure, finché la maggior parte di noi continuerà a mentire anche a se stessa... difficilmente cambierà qualcosa. L'anello debole della catena naturalmente è il rischio della presa di coscienza collettiva. In questo senso, temo che i nostri carcerieri possano - purtroppo - dormire sonni tranquilli ancora per un pezzo. La catena della matrix è robusta e regge bene. Ancora per quanto? I nostri nonni partigiani, che non sono vissuti mille anni fa ma solo pochi decenni, che hanno versato il sangue in guerra e visto la miseria, non avrebbero mai immaginato - né permesso - che in pochi lustri si arrivasse all'abominio odierno. Evidentemente anche noi, per prendere coscienza, dovremo passare attraverso grandi sofferenze e versamenti di sangue. Sanguineremo tutti, sì, grazie ai corrotti e ai bigotti sanguineranno anche gli onesti. A dirla tutta, oggi sono quelli che sanguinano di più. D'altra parte al cuore non si comanda, né si possono fare ossa a una medusa. Ciao

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    2. Hai scritto una pagina bella, densa ed accorata, Emanuele. Nulla da aggiungere.

      Ciao

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