30 luglio, 2010

Identità

L'identità è un terreno sdrucciolevole, poiché installata sulla memoria che, nella sua natura più profonda, è una nebbia in cui i ricordi si sciolgono nell'oblio e da cui, viceversa, affiorano di quando in quando le reminiscenze. Si potrebbe paragonare l'io ad una superficie collosa, colla su cui si attaccano percezioni, sensazioni, intermittenze. Quale sia la vera sostanza dell'identità ci sfugge e non sappiamo neppure se questa ipostasi esista o se sia solo la conseguenza di un'abitudine appercettiva (percezione consapevole).

La memoria come perennità a sé stessi, come costante nell'incostanza, provoca l'identificazione ancora più del corpo, soggetto-oggetto di relazione con il mondo, poiché residuale: per questo motivo, quando il corpo è nel rilassamento e quasi insensibile agli stimoli, i pensieri ancora fluttuano in un oceano informe, prima di spegnersi nel sonno.

L'io assomiglia ad un iceberg, la cui parte visibile coincide con la coscienza, mentre la parte sotto il pelo dell'acqua non solo è di maggiori dimensioni rispetto a quella sub divo, ma anche sottoposta ad incessanti trasformazioni e modellamenti. In questa parte albergano ricordi dimenticati, immagini archetipiche; questa parte è tramata da scure vene: sono aspetti che vengono alla luce, allorquando un'oscillazione lascia emergere una superficie del blocco di ghiaccio. Fuor di metafora, la fluttuazione è un evento traumatico o un cambiamento rilevante.

Interrogarsi sui processi cerebrali legati ai ricordi, individuando quelle aree dell'encefalo che sono preposte ala memoria, può spiegare le conseguenze di traumi e malattie sulle facoltà cognitive, ma non chiarisce in che cosa veramente consista la coscienza che pare avulsa dal substrato cerebrale. Influire sul cervello con strumenti fisici e chimici (impulsi elettromagnetici, farmaci, neurotrasmettitori...) significa pure incidere sulla coscienza? Nell'oblio di sé stessi, l'io continua a sussistere come precipitato insolubile? L'io è un ente o una transitoria emersione dell’essere?

Mi pare discutibile l’attitudine oggi assai diffusa a denigrare la mente: la mente, come testimoniato dall’etimologia, è già memoria, anche se di corto raggio, e quindi presenza a sé stessi, coesione psichica da cui dipende un pur instabile equilibrio. Non è un caso se in latino “amens”, ossia privo di mente, significa “folle”, “insano”.

La memoria pura, in quanto luogo di ricordi solo potenzialmente attingibili dall'io, come riteneva Henri Bergson, è imparentata con la dimenticanza.


APOCALISSI ALIENE: il libro

28 luglio, 2010

Chi ruba giacinti?

"Chi ruba giacinti?" E' questo il titolo di un romanzo tedesco. Piante, animali e specialmente uomini scompaiono dalla Terra nelle maniere più impensate. Pullulano le congetture sulle cause delle inesplicabili sparizioni, finché un anziano scienziato riesce a sciogliere l'enigma: gli scomparsi sono stati rapiti e trasportati su un satellite artificiale costruito dagli abitanti di un lontano pianeta. Gli alieni sono in procinto di invadere la Terra. Nel loro attrezzatissimo laboratorio spaziale, i cosmonauti studiano la struttura ed il comportamento degli esseri che popolano "il mondo dell'ossigeno".

L'opera narrativa, edita negli anni '60 del XX secolo, pare anticipare la saga dei rapimenti. Ogni anno circa tremila persone scompaiono tra Stati Uniti d'America e Regno Unito: di loro si perde ogni traccia. In non pochi casi purtroppo, si tratta di bambini che finiscono tra le grinfie di adepti appartenenti a sette abominevoli.

Alcuni sequestri, come è noto, sono attribuiti a presunti alieni, altri ai militari talora in combutta con gli extraterrestri. Sono episodi che non determinano, però, la sparizione della persona, perché il malcapitato viene prelevato diverse volte per essere poi rilasciato, spesso senza ricordi o con ricordi molto sfocati dell'evento. Sui fini di tali rapimenti, è tutto un ventaglio di ipotesi: si va dallo scopo di ibridazione umano-aliena al trasferimento di memorie, dal fine di studio all'istruzione e preparazione dei rapiti in vista di epocali accadimenti futuri...

Queste abductions testimoniano una silenziosa invasione? Si ha talora l'impressione che alcuni uomini siano sostituiti da cloni: è uno scenario da libro di fantascienza, eppure potrebbe spiegare perché certe persone paiono trasformate in involucri vuoti. Dove finiscono i rapiti di cui non si sa più alcunché? In un'altra dimensione? Su una microluna come nel romanzo sopra citato? Scivolano, attraverso un crepaccio, in un altro tempo? E' plausibile che, nel caso di scienziati e di ricercatori scomodi per il sistema, essi vengano prelevati ed eliminati o costretti a continuare i loro studi in totale segretezza, sotto la rigida sorveglianza dei loro carcerieri.

Fortunatamente, alcuni rapimenti falliscono: la notte del 13 settembre 1953 fu perpetrato un tentativo di ratto a Brovst, in Danimarca, ai danni di una donna che tornava in bicicletta da un paese vicino. Due possenti creature si staccarono d'un tratto dagli alberi, si lanciarono sulla vittima, cominciando a trascinarla verso l'aperta campagna. La donna si salvò, divincolandosi con tutte le sue forze dagli aggressori e gettandosi in un torrente: il giorno dopo, interrogata sull'accaduto, dichiarò che le era parso non trattarsi di uomini, ma di creature mostruose, le cui membra mandavano riverberi dorati. Non una parola né un ansito erano sfuggiti ai sequestratori durante la lotta. La malcapitata, venendo a contatto con i loro corpi, non aveva incontrato né un tessuto né pelle, ma "qualcosa di freddo e ruvido, come le squame dei pesci".



APOCALISSI ALIENE: il libro

26 luglio, 2010

Da Pasolini al nulla

Ci si chiede per quale motivo non esistano oggi più intellettuali del calibro di Pier Paolo Pasolini. In effetti, intorno è tutto un deserto. E' inutile cercare di comprendere le cause della desolante situazione attuale. Sebbene non tutte le interpretazioni e le soluzioni estetiche elaborate da Pasolini sulla società di massa siano condivisibili, bisogna riconoscergli il coraggio di aver aggredito l'esistente senza infingimenti. E' qui il nodo: la mancanza di coraggio degli attuali "giornalisti" che, anche quando sfoggiano libertà di critica, rivelano solo un'acrimonia mercenaria.

Qualcuno ha ardito paragonare Paolo Barnard a Pasolini: non si tratta neppure di confrontare "le cose grandi con le piccole", poiché Barnard è una nullità. Non è ininfluente che Pasolini fosse uno scrittore di razza, laddove Barnard è sciatto quanto Attivissimo. Basta questa assoluta mancanza di stile per collocarli alla stessa stregua, ad un livello infimo. Sono, al massimo, dei dilettanti, ma nient'affatto dilettevoli.

In verità, Pasolini fu un lungimirante osservatore del reale, talmente profondo che le sue analisi rivestono valenza filosofica più che sociologica. Qual è il ruolo della filosofia, se non quello di essere strumento dialettico e critico? Il filosofo deve criticare l'ordine costituito: la sua denuncia deve essere implacabile e recisa. Come nota Horkheimer: "Bisogna impedire che gli uomini si perdano in quelle idee ed in quei modi di comportamento che la società propina loro nella sua organizzazione." L’educazione si oppone all’istruzione massificata, vera programmazione mentale. E' necessario dunque un impegno instancabile nel portare all'aria le radici dei problemi: scavare e scovare sono azioni ineludibili. Le risposte provenienti dal potere devono essere vagliate, anatomizzate. La demistificazione dei falsi miti che il sistema ammannisce è compito solenne, anche se oneroso. E' impossibile qualsiasi identificazione con le istituzioni.

Oggi, però, si preferisce accettare le "risoluzioni” e le esegesi preconfezionate: il conformismo non domina solo in àmbito economico e politico, ma la stessa scienza ed il mondo non sono sottoposti ad un esame stringente, non sono investigati e sezionati nella loro essenza. Dall'accettazione dell'esistente alla sua giustificazione non è che un passo. Se non si è abituati a contraddire ed a negare, negando anche la stessa negazione, il pensiero si spegne nel consenso o in una lagna impotente. Il vero pensatore è eretico e paradossale. Poco rassicurante nelle sue conclusioni che non concludono, egli non somministra l'anestetico della razionalità e del "metodo", ma dà la scossa elettrica del dubbio e della domanda. Sprona all'azione ed alla reazione, invece che addormentare l'uditorio con le sue confortevoli, soffici “verità”.

Ancora Horkheimer: "Non viviamo ancora in una società automatizzata. Noi possiamo ancora compiere molte cose, anche se più tardi ci sarà tolta questa possibilità".

Pare che veramente siamo prossimi al momento in cui ci sarà tolta la possibilità di agire: spaventa constatare che molti abbiano rinunciato a tale opportunità motu proprio, abdicando alla propria dignità. Si ribelleranno mai gli schiavi che amano la loro schiavitù?



APOCALISSI ALIENE: il libro

23 luglio, 2010

Ipotesi lunari

Numerose sono le teorie sulla formazione della Luna che, stando all'astronomia ufficiale, avrebbe 4,6 miliardi di anni. Secondo l'astronomo statunitense W.H. Pickering (1858-1938), questo "calcinato cadavere cosmico" (W. Von Braun) fu strappato dal cuore della Terra. Anche R. Steiner, nel saggio “Miti e misteri dell'antico Egitto”, sostiene che il satellite e la Terra, eoni addietro, costituivano un unico corpo celeste. Lo scienziato britannico J.H. Jeans (1877-1946) pensò che Selene fosse il risultato dell'aggregazione di frammenti cosmici; il celebre astronomo di Albione, F. Hoyle, (1915-2001), ipotizzò che la Luna fosse stata originata dai frammenti di una stella esplosa.

Il noto cosmonauta sovietico Pavel Popovich (1930-2009) riporta le seguenti informazioni: molto tempo fa, esisteva un pianeta gigante vicino alla Terra, più grande di Saturno, abitato da una civiltà avanzatissima. Alcuni autori di fantascienza chiamano il pianeta Phaeton, altri Moonah. I suoi abitanti sfruttavano l'energia nucleare ed usavano il nostro pianeta come area di test: di conseguenza sul pianeta occorse un'esplosione con tragiche conseguenze. Un frammento di Moonah si staccò e venne catturato dalla Terra, per diventare la nostra Luna.

La Luna, che è l'oggetto astronomico più vicino a Gaia ed il più intensamente studiato, è dopo tanti millenni, ancora un corpo enigmatico: ad esempio, non è chiaro quale sia la genesi dei crateri. Di solito si ripete che i crateri sono dovuti all'impatto di meteoriti, benché alcuni scienziati li attribuiscano all'attività vulcanica. Talbot, però, insieme con gli altri ricercatori che hanno elaborato la teoria dell'universo elettrico, sostiene che la conformazione di queste depressioni circolari e, in particolare, le raggiere di solchi sui bordi evidenziano l'azione di fenomeni elettrici su scala cosmica.

Sono molteplici le singolari manifestazioni osservate sul globo: si va dalle ombre che si muovono ai bagliori di fuoco, come quelli notati il 23 novembre del 1920 nei crateri Funerius e Keplero, dai "segnali luminosi" del cratere Platone, alla trasparenza della Palude del sonno. Qui il suolo selenita appare semidiafano, lasciando intravedere al di sotto un piano opaco. Queste ed altre stranezze sono state raggruppate nell'espressione "fenomeni lunari transienti".

Questi eventi sono osservati da circa un millennio ed alcuni sono stati riferiti da molti testimoni o da scienziati rispettabili. I fenomeni che sono stati osservati variano da nebbie localizzate a cambiamenti duraturi del panorama lunare ed includono nebbie, colorazioni rossicce, verdi, blu o violette, illuminazioni, oscuramenti.

Non manca poi chi afferma, come il documentarista José Escamilla, che il satellite ha un aspetto e colori ben diversi da quelli divulgati dalla N.A.S.A.: non sarebbe, infatti un sasso grigio ed arido, ma un avamposto su cui sorgono basi extraterrestri. Una speculazione? Già lo scrittore Luciano di Samosata, nel suo romanzo "Storia vera", aveva immaginato che la Luna fosse abitata: la sua era solo un'invenzione letteraria, ma l'idea che lassù qualcuno si nasconda sotto i mari e le catene montuose o sulla dark side, non è poi così peregrina, se già il funesto Bush junior progettò di costruire installazioni militari sul satellite.

La fascinazione della Luna è antica quanto l'umanità: simile ad un volto occhiuto, essa sembra scrutare la Terra. La superficie selenita, con aree di colorazione differenti, ha tradizionalmente suggerito l'immagine di un viso umano. Plutarco (I- II sec. d. C.), nella monografia "De facie in orbe Lunae apparente", disquisisce su tale concezione. Nel Medioevo, alcuni videro nel disco splendente la figura di Caino che regge una forca di spine. Dante, seguendo Averroè, aveva attribuito le aree chiare e scure ai "corpi rari e densi", ossia alla diversa densità della materia lunare, ma Beatrice in Par. II, corregge tale convincimento, attraverso una spiegazione di natura teologica.

Di recente, un famoso scrittore ha rinverdito l’eccentrica idea secondo cui la Luna sarebbe una costruzione artificiale, una gigantesca astronave, ospitante un gruppo di perfidi alieni che, da eoni, perpetra una perniciosa manipolazione dell’intera umanità. Questa congettura si incastra con la tesi circa l'artificialità di Phobos e Deimos, i satelliti di Marte, le cui caratteristiche salienti erano state inspiegabilmente divinate da Johnathan Swift nei "Viaggi di Gulliver". L'astrofisico sovietico I. Sklovskij (1916-1985), decenni addietro, suggerì che le lune del cosiddetto "pianeta rosso" non fossero naturali. Una ricerca scientifica, eseguita poco tempo fa, da un'équipe indipendente del Mars Express Radio Science (MaRS), ha concluso che l’interno di Phobos potrebbe essere cavo, proprio come opinò Sklovskij.

Come si può constatare, i misteri selenici sono innumerevoli e qui ho tralasciato anche solo di sfiorare gli ambiti astrologici ed esoterici, il significato mitico e religioso della Luna e di Lilith, the black moon, le tradizioni che legano la rutilante sfera al Sinai etc. Che il nostro satellite sia un mondo artificiale, a guisa della Morte nera, la sinistra stazione spaziale, al centro dell'universo immaginato nella saga cinematografica "Star wars", non è forse una supposizione così... lunare.

Fonti:

Enciclopedia dell’astronomia e della cosmologia, Milano, 2005 s. v. Luna e sotto le voci inerenti agli scienziati
P. Kolosimo, Ombre sulle stelle, Milano, 1966
R. Steiner, Miti e misteri dell’antico Egitto, 1908



APOCALISSI ALIENE: il libro

21 luglio, 2010

Che cos'è la "cosa"?

Che cos'è la cosa? La cosa è un dato esterno ed oggettivo o un contenuto psichico? L'etimologia di “cosa” dal latino "causa", lascia affiorare la credenza nel nesso causale, superstizione che, pur appartenendo al senso comune e dogma, ancora oggi, degli indirizzi empiristi, non spiega come l'esterno possa agire sull'interno, come un fenomeno possa incidere su un altro, stante la frattura tra la sfera fisica e le dimensioni coscienziali. I fenomeni sono monadi: il tempo li dispone in sequenza attraverso il post hoc e non li concatena per mezzo del propter hoc.

Se interpretiamo la cosa come fatto, come ob-iectum, esegesi peculiare di un approccio realistico al mondo, si rischia di attaccarsi ai fatti: ne risulta non solo un'idolatria dei dati, ma una dipendenza da essi. I dati quindi sono letteralmente dati (ossia porti) a priori: la scienza diventa religione, fede nell'oggettività.

Agli antipodi del sistema realistico, la nozione di "cosa" quale rappresentazione indipendente dall’esterno porta all'idealismo: l'oggetto è un elemento che la coscienza pone. L'oggetto viene così soggettivizzato e ricondotto all'attività dell'io.

Numerose e sfumate le posizioni intermedie, tra cui quelle di tipo fenomenologico: Husserl colloca tra parentesi il mondo, mediante una sospensione del giudizio (epoché), concentrandosi sulla dimensione in cui i fenomeni si manifestano, quindi sulla coscienza. Per Husserl l'oggetto è una realtà trascendente (poiché supera la coscienza, non nel significato di spirituale): esso si annuncia e si presenta nella coscienza attreaverso i fenomeni soggettivi della percezione. Nei fenomeni soggettivi il filosofo distingue la direzione, l'intenzionalità verso l'oggetto (il percepire, il ricordare, l'immaginare...) che è il noesis, e l'oggetto considerato come "dato" (percepito, ricordato, immaginato...), definito noema, a sua volta distinto dalla "res", la "cosa" esterna.

La tripartizione elaborata da Husserl (noesis, che è azione ed intenzione; noema, il risultato dell'intenzione; la cosa che non è solo l'oggetto materiale, ma anche l'essenza, ossia il concetto universale di tutte le cose) evidenzia la complessità dei rapporti che si instaurano tra l'io ed il mondo, relazioni che potrebbero essere mediate ed organizzate da una struttura trascendentale (un Io intersoggettivo che si dispiega in un operare comune di cui il linguaggio, la storia e la società sono le più dirette manifestazioni).

Un Io intersoggettivo potrebbe essere la manifestazione di un Principio generante che promana ed estrinseca le "cose". Siamo al cospetto di problemi enormi: in primo luogo ignoriamo quale sia la sostanza della "cosa", se essa consista in un substrato ilico che, però, si smaterializza quasi nella vibrazione, se essa sia, invece, un simulacro mentale pro-iettato dall'io empirico, dall'Io trascendentale o da una Coscienza cosmica. L'universo è un caleidoscopio di immagini mentali o, per così dire, il precipitato di una soluzione chimica? In verità, la res ora scorporata nella stringa vibrante ora diluita nel pensiero, perde la sua presunta concretezza, per divenire una fugace, inafferrabile ombra.

Che cos'è dunque la “cosa” e dov'è? Là fuori, nella testa o ancora nella mente dell'Essere? E' forse situata in una terra di nessuno? Tali quesiti giganteschi sono, però, eclissati da altre questioni ancora più abissali e vitali: perché la "cosa"? Perché questa "cosa"?

Articolo correlato: C. Penna, Per vedere non basta solo la vista, 2010



APOCALISSI ALIENE: il libro

19 luglio, 2010

Jim Sparks e l’ufologia ecologista

"Jim Sparks è cresciuto in Florida.[...] I suoi rapimenti cominciarono nel 1988 ed hanno cambiato la sua vita per sempre. Oggi, Jim si è accorto che non è solo, poiché molti altri hanno vissuto e vivono esperienze simili. Il suo vissuto è diverso da quello della maggior parte dei sequestrati, in quanto egli ha un ricordo quasi totale delle sue avventure. Nei due decenni in cui egli si è incontrato con i visitatori, è venuto al corrente di sorprendenti tecnologie che potrebbero eliminare il nostro bisogno di combustibili fossili, creando energia gratuita. Jim vive nel deserto del Nevada. Nel 2007, principiò a lavorare a tempo pieno per educare il pubblico, per quanto riguarda lo scenario dei rapimenti alieni e dei loro scopi. Jim ha inoltre costituito la 'Fondazione Terra' per contribuire a salvare le foreste pluviali."

Jim Sparks è autore di un volume intitolato "The keepers". Nel testo egli racconta i numerosi sequestri di cui è stato vittima per opera di alieni e descrive i suoi incontri con esseri intelligenti dai quali ha ricevuto una mole imponente di informazioni, soprattutto a proposito di una forma di energia non inquinante. L'opera contiene un accorato messaggio per l'umanità: "il nostro pianeta sta morendo".

E' dunque questo il profilo bio-bibliografico di un rapito le cui "rivelazioni" non si discostano molto dagli strabilianti ragguagli ammanniti dalla pletora di contattisti e contattati. Sparks, però, al campionario di altri autori che, se non altro, pur nell'ambito di eventi ai confini della realtà, mantengono una certa logica interna, non si perita di contraddirsi. Così i suoi ufonauti, pur essendo degli ecologisti ("Il pianeta sta morendo" è lo sgomento monito ripetuto dai solleciti alieni... non ce n’eravamo accorti), non esitano a collaborare (!) con i militari terrestri, noti per il loro amore per la natura oltre che per il loro spirito umanitario. Non solo, questi angelici visitatori amano indossare uniformi: de gustibus. E' probabile che Sparks sia in buona fede e che non si sia avveduto di essere lo zimbello al centro di una cosmica turlupinatura. I suoi amici dello spazio poi sono tanto naives da rivolgersi, secondo il suo racconto, ai governanti della Terra per offrire loro tecnologie che emanciperebbero il pianeta dal petrolio e dell’uranio. Insomma, dei piazzisti che hanno scelto proprio i clienti più adatti.

Tralasciamo le clamorose incongruenze in cui incorre Sparks. Egli riferisce di Rettiliani, di Grigi e di esseri provenienti dal futuro che sbarcano nel nostro tempo per prelevare uomini da cui estrarre materiale genetico. In alcune occasioni, il ricordo dei suoi incontri è cancellato, in altri, secondo lui, no: con quali criteri e per quali ragioni recondite non è dato sapere. Si ha l'impressione che Sparks abbia shakerato i principali temi della vulgata ufologica per darci da trangugiare questo beverone.

L'aspetto più urtante del messaggio diffuso da Sparks è la dolciastra insistenza su temi ambientalisti. Nei dialoghi tra lui e gli extraterrestri, costoro esprimono preoccupazione per quanto sta accadendo sulla Terra: stiamo inquinando i fiumi, i laghi e persino l'aria che respiriamo. Aspettate: ne prendo nota. Per questo motivo i visitatori lo hanno incitato a manifestare la loro inquietudine all'umanità. Sarà il caso di iscriversi a Greenpeace. Sparks ha scritto un libro e da anni tiene conferenze. Si sa: i libri e le conferenze cambiano il mondo.

Sulle cause dell'inquinamento e del collasso ormai prossimo del pianeta, gli alieni di Sparks sono, more solito, generici. Non accennano neppure alle scie chimiche né all’uranio impoverito. Sarà forse tutta colpa del biossido di carbonio? Probabile che gli intrusi, con cui l'autore ha avuto moltissimi abboccamenti, siano in verità degli opportunisti interessati a preservare i loro "capi di bestiame" (non tutti, alcune mucche sono allevate per la produzione di latte, ma altre sono avviate al macello). Nel frattempo questi presunti alieni stringono patti segreti con la casta dei militari e raccontano fandonie all'"eletto" di turno.

Il volume di Sparks si intitola “The keepers”, ossia “I Guardiani”… certo, i guardiani del gregge umano.



APOCALISSI ALIENE: il libro

Procurato allarme: mostra di opere di arte contemporanea sulle scie chimiche e H.A.A.R.P.

"Procurato allarme": mostra di opere di arte contemporanea sulle scie chimiche e H.A.A.R.P. E' un'importante iniziativa per sensibilizzare il pubblico sul tema dell'inquinamento chimico ed elettromagnetico, inteso come conseguenza di una deliberata volontà di avvelenare il pianeta.

- 23 luglio ore 18:00 Stamperia del Tevere - Via S. Francesco a Ripa, 69 Roma
- Ore 21: 00 Galleria R.G.B. 46
- 29 luglio ore 19:00 House of love and dissent - Via Leonina 85, Roma

L'evento è stato organizzato da Stamperia del Tevere (stamperiadeltevere.it - info@stamperiadeltevere.it) con il patrocinio di Sciechimicheroma e Cieliliberi.

Info@stamperiadeltevere.it



APOCALISSI ALIENE: il libro

17 luglio, 2010

Ebioniti: eretici o cristiani delle origini? (prima parte)

Preciso che il seguente articolo, le cui fonti saranno indicate in calce all'ultima parte, non ambisce a dispensare delle verità definitive: si tratta solo di una ricerca passibile di integrazioni e correzioni.

Come in un palinsesto che restituisce un'opera perduta, così un'indagine approfondita oltre le incrostazioni della storia ufficiale può portare a scoprire uno scorcio di antichi orizzonti. Le enciclopedie presentano gli Ebioniti come "eretici", complici i fraintendimenti e le contraffazioni di teologi e padri della Chiesa. Se si compulsano, però, saggi di autori spassionati, si scopre che definire gli Ebioniti “eretici” è una falsificazione bell'e buona. D'altronde che cosa ci si può aspettare da artefici di "pie frodi"? Molti studiosi hanno denunciato tutti i sotterfugi con cui esegeti e storici, almeno a partire dal IV secolo dopo Cristo, censurarono, interpolarono, stravolsero i fatti: scaltrissimi, dotati talora di un'eloquenza potente, ma venale, adottarono lo stesso modus operandi che oggi connota i disinformatori. Ne risulta un'assoluta mistificazione, ma che, per mezzo di trucchi da prestigiatori, si palesa come verità, l'unica verità. Ecco allora trasformati gli Ebioniti in una setta sparuta ed eccentrica. Sparuti lo furono, perché emarginati e perseguitati, ma eccentrici no. Ecco allora che, con sfacciata inversione, la loro dottrina diventò eterodossa e strana.

Agli inizi del IV secolo, l'opportunista imperatore Costantino incontrò a Gerusalemme un'antica comunità di fedeli che risaliva ai tempi dell'apostolo Giacomo (Jacob), “il fratello del Signore”. Giacomo non volle scindere l'insegnamento del Maestro dall'antica fede e con i suoi confratelli continuava ad osservare le Leggi ebraiche. Aveva perfino tentato di convincere i proseliti gentili a rispettarle. Centotrent'anni dopo la sua morte, la gente di Gerusalemme ricordava la devozione con cui frequentava il Tempio e le sue preci tanto numerose che gli si incallirono i ginocchi. Il piissimo Giacomo oggi ci può apparire un po' fanatico, ma non fu certo un interprete bislacco dell'Ebraismo, come si legge qua e là. A capo della cosiddetta Chiesa di Gerusalemme, i suoi successori, vescovi di Sion, furono Giudei: Shimon, Tobiah, Benjamin, Levi, Efrem... Gli scrittori occidentali li chiamarono Vescovi della Circoncisione, perché, durante tre secoli, avevano seguitato ad applicarla.

Gli Ebioniti (il loro nome significa "poveri": le diffamazioni sul significato di "poveri" pullularono) si riconobbero in un Vangelo che da loro prende il nome. Ne conserviamo magrissimi frammenti per tradizione indiretta. Probabilmente fu distrutto. Fu una fonte cui si ispirò Matteo per il suo testo, in cui si legge in filigrana uno scritto precedente?

Tra i passi patristici, i più antichi riferimenti espliciti sono offerti da Ireneo di Lione (130-202 d.C.). Nel suo pamphlet “Contro le eresie” (180 d.C. circa), Ireneo testimonia l'uso del Vangelo di Matteo presso gli Ebioniti:

« Nel vangelo che essi [gli Ebioniti] usano, detto "secondo Matteo", che è, però, non interamente completo, bensì alterato e mutilato (sic) - essi lo chiamano "Vangelo Ebraico"- [...] hanno tolto la genealogia di Matteo »
(Epifanio di Salamina, "Panarion" 13,2 e 14,3)
« Coloro che sono chiamati Ebioniti [...] usano solo il vangelo secondo Matteo e rifiutano l'apostolo Paolo, chiamandolo apostata della Legge. [...] Gli Ebioniti pertanto, seguendo unicamente il Vangelo che è secondo Matteo, si affidano solo ad esso e non hanno un'esatta conoscenza del Signore (sic).
(Ireneo di Lione, "Contro gli eretici", 1,26,2; 3,11,7)
« Nel vangelo che usano i Nazareni e gli Ebioniti, che recentemente ho tradotto dall'ebraico in greco e che i più considerano il Matteo autentico, quest'uomo che ha la mano arida...»
(Girolamo, "Comm. I in Matth". 12,13)

Epifanio di Salamina ed altri riportano la credenza che il Vangelo degli Ebioniti fosse basato su quello secondo Matteo, ma che vi fossero stati rimossi i versetti contrari alla teologia degli Ebioniti, come nel caso del racconto della nascita di Gesù; è possibile che la mancanza del riferimento alle locuste come cibo di Giovanni Battista sia dovuta alla pratica del vegetarismo all’interno del gruppo.

Data la mancata trasmissione dei manoscritti del Vangelo degli Ebioniti, è impossibile risalire al reale contenuto del testo ed al suo legame col Vangelo detto di Matteo. Probabilmente costituiva la primordiale stesura in aramaico operata dall'apostolo ricordato da Papia e citata da Eusebio di Cesarea in "Storia Ecclesiastica" 3,39,16.



APOCALISSI ALIENE: il libro

15 luglio, 2010

Ipazia

“Agorà” è la recente pellicola del regista Alejandro Amenabar. Vi si narrano le vicende di Ipazia, filosofa e scienziata alessandrina, uccisa da fanatici cristiani, istigati dal vescovo Cirillo. Alcune fonti attribuiscono ad Ipazia, versata nella matematica (era figlia del matematico Teone) l'invenzione dell'astrolabio, dell'idroscopio e dell'aerometro. La produzione di Amenabar rischia di trasformare la donna in un'icona della scienza contrapposta all'oscurantismo religioso. In verità, Ipazia incarnò, nella declinante civiltà antica (morì nel 431 d.C.), l'ideale di una cultura integrale, in cui la speculazione scientifica era inquadrata in una cornice filosofica, nella fattispecie all'interno del pensiero neo-platonico che seppe trasfondere fresca linfa ad un mondo ormai esangue.

Solo la perfetta idiozia degli scientisti può vedere nella filosofa esclusivamente la martire della scienza: i banditori dell'attuale "scienza" imbastardita non comprenderebbero la grandezza di una figura che seppe coniugare la speculazione con la meraviglia di fronte al cosmo. Chi vede nell'universo un arido diagramma è bene che eviti di accostarsi da profano alle realtà celesti. Il neo-platonismo che Ipazia abbracciò è permeato di afflati mistici e di aneliti verso il trascendente che grossolani computisti non possono neppure concepire. Nel V secolo, il numero non era ancora mera quantità e l'indagine non era mai disgiunta dallo stupore filosofico.

Vero è che Ipazia fu vittima del Cristianesimo, divenuto, nell'arco di pochi secoli, potente religione del potere. Vittima fu anche Davos, lo schiavo prediletto dalla donna: egli attratto dall'idea di eguaglianza tra gli uomini, principio proclamato dal Cristianesimo, diventò monaco parabolano, ma si accorse presto di essere tornato ad una nuova condizione di servaggio. Qui si avverte l'importanza che Ipazia assegnava al dubbio, antidoto contro ogni dogmatismo scientifico o religioso, contro ogni schiavitù mentale. Solo una verità che spiega tutto e dà conto di tutte le contraddizioni può ambire ad essere Verità, ma una tale verità non esiste in questo piano.

Sorprende che nel V secolo, la città fondata da Alessandro III fosse ancora un centro culturale cosmopolita in cui brillò il faro di una donna tanto colta e carismatica. Non sorprende che i valori del Cristianesimo delle origini - quelli che si ritengono tali - nell'arco di pochi secoli, complice soprattutto la spregiudicata politica di Costantino e dei suoi sciagurati successori, con la fulgida eccezione di Giuliano, si corruppero a tal punto da diventare l'architrave del dispotico e fondamentalista impero teodosiano. Il messaggio del Nazireo non fecondò una società ipocrita e dura. I tempi non erano maturi, ma quali tempi lo sono? Il problema non è il soccorso di un Salvatore, ma trovare chi sia degno di essere salvato.

Con l’assassinio di Ipazia (alcune fonti riportano che fu lapidata, altre che fu scorticata viva con conchiglie affilate) e l'affermazione del Cristiamesimo ufficiale, instrumentum regni e credo per le masse, tramontò un'epoca, il Tardo antico: i bagliori corruschi delle ultime creazioni "pagane" si estinsero nelle fiamme e nel fumo degli incendi che incenerirono templi e biblioteche.

Le sorgenti di un antico sapere si seccarono e pure la sorgente del Cristianesimo esoterico, che in Egitto aveva trovato la sua terra d'elezione, si inaridì. Il prezioso liquido fu versato in brocche nascoste nelle grotte del deserto: forse un giorno ne scaturirà un po' d'acqua vivificatrice.



APOCALISSI ALIENE: il libro

12 luglio, 2010

Il mostro di Omsk

Peter Kolosimo, nel curioso saggio, "Ombre sulle stelle", 1966, riporta uno sconcertante episodio a cavallo tra criptozoologia ed esobiologia. Scrive l'autore:

"Una notte dell'autunno del 1927, un contadino abitante nei dintorni di Omsk fu svegliato di soprassalto da un rumore assordante. L'uomo saltò giù dal letto, chiedendosi da che cosa potesse essere stato provocato quel fracasso infernale; non ne ebbe subito la risposta, ma i nitriti disperati ed il tempestare degli zoccoli contro una parete di legno, gli fecero comprendere il luogo di provenienza di quel pandemonio.

Pensando ad un ladro, l'uomo uscì in cortile, impugnò un forcone e spalancò di colpo la porta della stalla. I due cavalli, pazzi di terrore, lo investirono, gettandolo a terra e galoppando verso l'aperta campagna. Sbigottito e malconcio, l'agricoltore si rialzò, andò a prendere una lanterna e tornò nella baracca, dove trovò un assembramento di vicini, accorsi allarmati, con lumi e bastoni.

Tutti allibirono, vedendo quanto era accaduto nella stalla. Il locale era attraversato in ogni senso da una quantità di fili argentei, di varia grandezza, tesi disordinatamente fra le pareti: essi si rivelarono resistentissimi tanto che gli uomini faticarono non poco a spezzarli a colpi di randello. Quando si furono aperti un varco in quell'intrico scintillante, scorsero nel soffitto un vasto squarcio: pareva che un macigno avesse sfondato il tetto, ma per quanto si guardassero intorno, i contadini non videro traccia del masso. Videro, invece, rintanata contro un mucchio di paglia, una 'cosa' dall'aspetto terrifico, senza dubbio viva: una massa biancastra grossa quanto una zucca che si contraeva ritmicamente. A rendere ancora più ripugnante lo spettacolo, quella 'cosa' rotolò verso la parete all'avvicinarsi degli agricoltori, rivelando sulla massa segni che potevano rivelare i tratti di un volto umano. Poi, scaturiti dalla mostruosa testa, lunghi tentacoli si tesero verso gli astanti. Qualcuno di loro scappò, ma altri si gettarono sulla malcapitata creatura, colpendola fino a ridurla ad un informe mucchio di viscida materia bianco-bluastra.

Un giornalista che, al seguito della milizia popolare si recò l'indomani a dare uno sguardo alla ‘casa stregata’, affermò che, dalle descrizioni dei contadini e da quanto era rimasto, quella 'cosa' assomigliava ad un polpo".

Con Kolosimo, ci domandiamo da dove venisse l'orrida creatura: precipitò forse dallo spazio? La singolare vicenda sembra suggerire che l'octopus di Omsk fosse un intruso proiettato sul nostro pianeta da un altro piano di realtà, un essere naufragato sulla terra, dopo aver attraversato un varco tra due mondi, apertosi improvvisamente. Il groviglio di fili rutilanti, che la creatura forse secerneva, pare evocare una situazione quasi biotecnologica, da romanzo di fantascienza pulp. Kolosimo chiosa: "Propendendo per l'origine spaziale del povero diavolo, si potrebbe cercare forse una spiegazione della fitta rete argentea, attribuendola al processo di disgregazione d'una capsula o d'uno scafandro di ignota composizione." Potrebbe essere, come il "polpo" di Omsk potrebbe essere stato un crononauta...

Comunque la si pensi, si tratta di un fenomeno fortiano tra i più enigmatici.


Fonte: P. Kolosimo, Ombre sulle stelle, Milano, 1966, pp. 354-355



APOCALISSI ALIENE: il libro

10 luglio, 2010

Libertà d’esser schiavo: la condizione umana in una pagina di Carlo Michelstaedter

Carlo Michelstaedter (Gorizia, 1887-1910), filosofo, poeta e pittore italiano, è noto specialmente per la sua tesi di laurea, "La persuasione e la rettorica", scritto pubblicato nel 1913, dopo il suicidio dell'autore. La figura di Michelstaedter giganteggia nel panorama della cultura contemporanea per la perspicacia del pensiero e per la lucida demistificazione del sistema. Alcune sue idee, che trovano le loro matrici soprattutto in Schopenauer ed in Leopardi, preludono all'analitica esistenziale di Heidegger e sono accostabili, per la dirompente forza disgregatrice, a fondamentali nuclei del pensiero nietzchiano. M., nel saggio succitato, conduce un serrato confronto critico tra la genuina sapienza pre-socratica e la degenerazione mondana della filosofia, a partire da Platone. L'autore vede il cozzo tra il mondo autentico della persuasione (simile alla volontà di potenza, intesa come appropriazione del destino ed eroica attribuzione di senso all'esistente) ed il complesso fittizio e coercitivo della rettorica, strutturata attraverso le istituzioni (stato, economia, etica, educazione...), sentite come mascheramento e rimozione degli impulsi egoistici dell'uomo. M. vagheggia un'umanità integra che, sotto l'urgenza del dolore, trascenda l'irretimento nella sfera egocentrica per affermare dignità e libertà.

M. spazia, con eccezionale acume, tra innumerevoli temi, mettendo a nudo le contraddizioni e le storture della modernità. Non è neppure pensabile di accennare ai contenuti della tesi: tali e tanti sono i concetti esposti sì da dichiarare l'incommensurabile grandezza di questo intellettuale. La sua grandezza poi risalta ancora di più, se pensiamo ad abili parolai come Croce e Gentile, per giunta sostenitori del potere, "liberale" o "fascista" che fosse. Sui "pensatori" di oggi è bene stendere un pietoso silenzio.

Tra le pagine del testo, strazianti nella loro feroce verità e sconvolgente attualità, segnalerei, almeno, quelle sulla scuola o le considerazioni circa l'ipocrisia del diritto. Propongo all'attenzione dei lettori che - ne sono certo - saranno invogliati a leggere l'intera opera, qualora non l'abbiano già apprezzata, un passo sulla condizione dell'uomo nella società industriale, uomo inteso come essere dimidiato ed alienato. Gli strali di un'amara ironia colpiscono le reboanti illusioni hegeliane e positiviste, disintegrano la paradossale celebrazione della "libertà d’esser schiavo". Veramente, testimoniata l'irreversibile caduta nell'inferno sociale ed ontico, il suicidio di M. è il segno non di codardia di fronte all'irrazionalità dell'essere, ma la decisione consequenziale di una coscienza lungimirante ed intemerata.


"Quest’uomo del suo tempo – colla sua προθυμία (zelo) e la sua «botte di ferro» è dunque l’individuo sognato da Hegel al sommo della chiesa gotica che gli antichi ignoravano – all’ultimo momento della libera evoluzione del sistema della libertà; – egli è l’obiettivazione della libertà che è fine a sé stessa e di sé stessa gode; – e «la persona ch’egli veste» nell’esercizio della sua carica, quella è la seconda natura – la libertà morale, medio concreto che unifica l’idea e le passioni umane – fine essenziale dell’esistenza soggettiva, unione della volontà soggettiva e della volontà razionale; questa è dunque l’idea divina, ciò che Iddio ha inteso di fare col mondo per ritrovare sé stesso. – Pure io credo che la fame, il sonno, la paura – anche se li chiamiamo «volontà razionale» – restino pur sempre fame sonno e paura e così tutte l’altre cose per le quali non so dove sia tranquilla la riva al nostro egoismo, che quanto è tale tanto non può arrivare né dove siano la libertà morale e l’idea e il fine essenziale.

«Ma» mi direbbe il mio uomo «tutto ciò a me che importa? – Io so che sono sicuro e nella coscienza dei miei diritti e dei miei doveri libero e potente». Oppure con le parole di John Stuart Mill ("Saggio sulla libertà") «non è qui questione della cosiddetta libertà del volere che così inopportunamente viene contrapposta alla dottrina erroneamente detta della necessità filosofica, ma della libertà civile o sociale». Della «libertà d’esser schiavo» dunque? E va bene.

Infatti è questo che l’uomo cerca, è così che crede giungere alla gioia – né può uscire di sé per vedere di più. – Soltanto egli paga l’ignoranza col lento oscuro e continuo tormento – ch’egli non si confessa e che altri non vede – poiché il destino è come un’equazione e non si lascia ingannare.

È l’altro lato dell’iperbole. L’uomo è vivo ancora, occupa ancora uno spazio e qualche cosa piccola egli deve ancor sempre fare così ch’egli senta infinito il postulato della sicurezza.

Come all’altro lato, l’uomo non si sentiva mai tale da poter chiedere con qualche giustizia così come giusto per sé, così qui presume sempre la sufficienza della sua qualsiasi persona; e come l’altro postulava la giustizia nella liberazione dalla volontà irrazionale, così questo cerca la sicurezza nell’adattamento ad un codice di diritti e doveri: la libertà d’esser schiavo; dove l’altro domandava la soddisfazione attuale tutta in un punto, questo cerca il modo di poter continuar con sicurezza ad aver fame in tutto il futuro. E come quella era la via delle più grandi individualità che domandano un valore e lo assomigliano nella loro volontà libera e incrollabile, questa è la via del disgregamento dell’individualità, di coloro che si preoccupano della vita come se già avesse valore (sufficienza) e vivono oς eόντος l’assoluto con la previsione limitata all’attimo – ché l’uno ama e volge gli occhi al possesso totale, all’identificazione – l’altro è tenero e zelante di ciò che crede possedere, perché rimanga per lui anche in futuro, mentre tanto lo possiede quanto è posseduto. «E si rivolge alle cose che sono dietro a lui». Ricordatevi della femmina di Lot – dice Cristo 'Chi cercherà di salvare la propria vita, la perderà; ma chi la perderà, la manterrà viva'. (Lc 17, 32-33). – Questa è la via che ognuno batte, se voglia procacciarsi il piacere della vita. Ma qui troviamo questi individui ridotti a meccanismi, previsione attuata nell’organismo, non però, come ci aspetteremmo, vittime della loro debolezza – in balìa del caso, ma «sufficienti» e sicuri come divinità. – La loro degenerazione è detta educazione civile, la loro fame è attività di progresso, la loro paura è la morale, la loro violenza, il loro odio egoistico – la spada della giustizia".



APOCALISSI ALIENE: il libro

08 luglio, 2010

Crollo

Rido se vedo un bimbo che la mano
schiuda nel vuoto,
credendo di posarvi un qualche oggetto;
non rido piú se noto
che a me pur similmente accade
che nel vano del tempo crolli ogni desio nascente,
ogni nascente affetto.


Nella lirica "Crollo" di Luigi Pirandello è contenuta in nuce la celebra poetica nota come "Umorismo", ossia sentimento del contrario, risultato della coscienza che, nella vita, comico e tragico coesistono. L'autore, le cui poesie, spesso misconosciute nel loro valore stilistico ed introspettivo, svelano una dolente sensibilità, instaura un parallelo-antitesi tra l'infanzia e l'età adulta: il bimbo, credendo di poter appoggiare nel vuoto un oggetto, apre fiducioso la mano su di esso, ma l'oggetto fatalmente cade. Consapevole dell'assurdità del gesto, lo scrittore sorride, ma presto l'ilarità si spegne, poiché egli si accorge che, nell'immagine del fanciullo, si rispecchia la sua condizione esistenziale imperniata sull'illusione di costruire qualcosa di stabile.

Così "ogni desio nascente, ogni nascente affetto" crollano: il chiasmo stringe sogni e speranze in un abbraccio mortale. Il nulla è la sostanza della vita, l'inconsistente base su cui erigiamo caduchi edifici di chimere. Gli anni precipitano nell'abisso del non-senso e la tenerezza, con cui l'autore contempla la puerizia, si impregna di amaro.

La chiave interpretativa del testo è il titolo, "Crollo", immagine dell'improvviso sgretolarsi di un mondo e sia un evento esteriore o una muta, ma non meno dolorosa, rovina interiore. La somiglianza fonica tra “crollo” e “nulla”, parola evocata nel "vuoto", inutile superficie del niente, radica il fragile tempo umano nel substrato della perdita.

Pirandello, nei suoi versi accorati e schivi, descrive la caduta repentina e traumatica nell'abisso, ma spesso il tempo erode un po' alla volta aneliti ed affetti: il disfacimento avviene per gradi, in modo quasi inavvertito.

Così continuiamo a (sopra)vvivere, quasi ignari del dolore che abita nella gioia fugace, della morte che alberga nella nascita.

Di questo al destino siamo infinitamente grati.



APOCALISSI ALIENE: il libro

06 luglio, 2010

Vicini invisibili (articolo di Scott Corrales - quarta ed ultima parte)

Avviso importante: a causa di un problema (sabotaggio?) indipendente dalla mia volontà, mi risulta impossibile pubblicare i commenti dei lettori né riesco ad inserire i contributi, ricopiandoli dalla posta elettronica. Mi scuso per l'inconveniente che spero possa essere presto risolto.

Anche se non diamo credito a una tale idea, si potrebbe forse rispondere alla domanda su quale sia la fonte per i messaggi criptici ed i codici nascosti in certe opere d'arte. Inoltre, gli anni in cui Saint Germain operava erano anche quelli in cui un certo numero di sviluppi scientifici è diventato evidente. Avrebbe potuto essere il catalizzatore per l'Illuminismo, come altri hanno suggerito.

Roger Boscovitch, nel 1756, diffuse concetti sul viaggio nel tempo, l'anti-gravità e la bilocazione. James Price, che fu presumibilmente in grado di tramutare il mercurio in oro in meno di quindici minuti, visse all'incirca nello stesso periodo. Prima di sparire dal XVIII secolo, Saint Germain avrebbe informato un ospite ad una cena circa alcune sue invenzioni che sarebbero state utili per l'umanità del futuro: il motore a vapore e l'elettricità. Sarebbe questa "società segreta" di inventori e sperimentatori, quindi, che avrebbe lasciato dietro di sé simboli e riferimenti che non potevano essere compresi, se non dagli affiliati alla confraternita.

Lionel Fanthorpe, autore del libro Il segreto di Rennes-le-Chateau, individua una correlazione tra il misterioso sito e simboli codificati nelle Tavole di Smeraldo di Ermete Trismegisto, la divinità egiziana Thot, patrono della magia. Il possesso di alcuni segreti potrebbe avere aiutato gli alchimisti medievali nel conseguimento dei loro obiettivi. La storia di Fanthorpe suggerisce che questi simboli siano ancora in uso oggi. Egli considera pure il disegno altamente elaborato dei Cancelli di Moria all’interno del romanzo scritto da Tolkien, "La compagnia dell’anello".

Siamo inondati da messaggi, forse ancora di più di un tempo, nella nostra epoca televisiva, in cui queste comunicazioni misteriose potrebbero essere trasmesse in modo subliminale ai fruitori, in modo più o meno coperto.

Salvador Freixedo ricevette una comunicazione personale sui controversi documenti del caso UMMO, relativi ad un gruppo di presunti extraterrestri sulla Terra, provenienti dalla stella Wolf 424. Molti ritengono che l’affaire Ummo sia un’operazione di mera disinformazione, ma Freixedo ha manifestato il suo interesse a proseguire la comunicazione con gli Ummiti, inserendo un annuncio su un giornale locale. L’ufologo spagnolo ha introdotto la parola "oemi", "uomo" nella lingua ummita, dichiarando all’editore che il vocabolo era il marchio di una macchina radionica.

E’ il caso di attribuire a molti messaggi, dalle pubblicità televisive ai graffiti delle metropoli, un significato recondito?

Leggi qui la terza parte.

Fonte: www.ufodigest.com



APOCALISSI ALIENE: il libro

04 luglio, 2010

Cono d'ombra

Una linea di irrazionalità percorre l'universo, simile ad una fenditura in un muro. Ciò non dipende solo dall'autocontradditorietà del tutto, poiché qualcosa di indefinibile e di oscuro borda i confini del reale. Più si cerca di stanare l'enigma, più esso si interna nel sottosuolo della verità. Tra gli spigoli del mondo che non riusciamo a smussare il più tagliente è il dolore che eclissa la felicità. Noi, infatti, conosciamo la felicità solo per assenza di pena o come rimpianto o come proiezione. E' in questo aspetto proiettivo e dunque alienante che le religioni (anche quelle laiche, come la religione del progresso) dichiarano la loro sconfitta: di fronte alla spoliazione del presente, si lascia splendere il vibrante miraggio del futuro, quando la sofferenza e l'iniquità saranno cancellate.

Nella natura umana è intrinseco l'impulso alla felicità: in questo movimento perennemente frustrato, è inscritto il destino dell'esistenza. Pagine memorabili vergarono, tra gli altri, Lucrezio e Schopenauer su questa tensione insopprimibile ed insoddisfatta, una smania infinita mortificata nel finito. Schopenauer, uno dei più acuti indagatori del dolore, scrisse:"Che ogni felicità sia di natura negativa soltanto... abbiamo una prova. Ogni poesia epica o drammatica può in ogni caso rappresentare soltanto uno sforzo, un'aspirazione attiva, una lotta per la conquista della felicità e non mai la felicità durevole e compiuta. Essa conduce il suo eroe attraverso mille difficoltà e pericoli sino alla meta: non appena questa è raggiunta, subito lascia cadere il sipario. Null'altro, infatti, le resterebbe, se non mostrare che la luminosa meta, nella quale forse sognava di trovare l'appagamento, ha beffato anche lui, di modo che, quando l'ha raggiunta, egli non si trova meglio di prima."(Il mondo come volontà e rappresentazione)

Paradossalmente si potrebbe asserire che l'incongruità del mondo non è tanto nei patimenti, ma nell'anelito ad una felicità chimerica che non sappiamo da chi o che cosa fu instillata o se fu conseguenza di un cambiamento. Non potrebbero gli uomini contentarsi di essere come gli animali che non sono torturati da desideri irrealizzabili? Gli uomini, invece, si protendono nell'esistenza, nello spazio-tempo, per carpire un briciolo di gioia, a confronto di una mole abnorme di mali. La coscienza e la conoscenza crescono come edere rampicanti che soffocano un cipresso. Così è invidiabile la condizione dei bruti, paghi, sebbene non sappiano di esserlo. Anche la morte per loro è un lento perdersi in un crepuscolo brumoso.

Per stroncare il dolore, i saggi hanno sempre consigliato di tollerare i fendenti della sorte e di rinunciare ai desideri: si pensi all'abstine et sustine di Epitteto. Facile a dirsi. Così l'unica fuga dall'affanno non è nel piacere, illusorio o talmente fugace da risultare inafferrabile, ma nell'estinzione degli impulsi, in un'attitudine che talora assomiglia ad una negazione. Si compie un moto a ritroso che si prefigge il ritorno ad una (presunta) condizione edenica, ad un essere originario in bilico sul non essere. L'itinerario dell'universo è un sottile cerchio inclinato. Dunque, dopo essere scivolati, si arranca per risalire, cercando di contrastare la forza di gravità e senza guardare nell'abisso.

Spesso si sente citare la necessità di una "liberazione in vita". A volte questa espressione pare equivalente a "liberazione da questa vita".



APOCALISSI ALIENE: il libro

02 luglio, 2010

In edicola il numero 21 di "X Times"

Dal 5 luglio prossimo sarà in edicola il numero 21 di "X Times", la rivista diretta da Lavinia Pallotta e da Pino Morelli. Tra i vari articoli, segnalo, in particolar modo, il dossier "Disastro nero" di Silvia Agabiti Rosei, sull'esplosione (false flag?) della piattaforma petrolifera nel Golfo del Messico nonché "Il mondo in pugno", circa le oscure trame di un'élite che, attraverso gli apparati del sistema economico-finanziario e strategico, soggioga il pianeta.

Leggi qui l'editoriale della direttrice.



APOCALISSI ALIENE: il libro

01 luglio, 2010

Astronavi madre nel Nuovo Mondo (articolo di Milton Brener)

Milton Brener ha scovato un testo risalente alla prima metà del XVIII secolo. Nel libro Le Page Du Pratz, viaggiatore francese, riporta un avvistamento di una presunta astronave-madre da cui esce una sfera. La descrizione precisa ed obiettiva, come osserva Brener, rammenta da vicino i giganteschi oggetti volanti, discoidali o sigariformi, scorti anche recentemente da piloti e passeggeri di aerei civili nei cieli sul Canale della Manica. Sono enormi ordigni da cui fuoriescono oggetti più piccoli, forse sonde: il tutto evoca pure le esperienze di George Adamski, il celebre contattista, che fu tra i primi a descrivere astronavi madri e ricognitori.

Quasi trecento anni fa, un esploratore che evidentemente non aveva alcuna dimestichezza con gli U.F.O., scrisse un resoconto su un avvistamento di anomale luci nel cielo.

L'anno era il 1730 e l'esploratore fu il francese Le Page Du Pratz. Il teatro del suo avvistamento fu il territorio della Louisiana, nella terra dei Natchez, con i quali aveva appena stipulato un accordo di collaborazione. La sua relazione è contenuta nel libro "La storia della Louisiana o delle parti occidentali della Virginia e Carolina", in particolare alla fine del capitolo VII.

La narrazione di Du Pratz è oggettiva, anche se disseminata di qualche opinione. Egli riporta le sue osservazioni sulla vita delle piante e la morfologia del Nuovo Mondo, indugia sulla vita e sulle caratteristiche delle tribù native americane. Dopo aver riferito dei suoi negoziati con i Natchez, narra il seguente episodio:

"Verso l'autunno di quest'anno vidi un fenomeno che ha colpito i superstiziosi, con grande terrore: era in effetti così straordinario che non mi ricordo di aver mai sentito accennare a qualcosa di simile... Il mio viso era rivolto ad ovest: mi ero seduto davanti al mio tavolo per esaminare alcuni pianeti che erano già apparsi. Notai una luce scintillante e, alla elevazione di circa 45 gradi sopra l'orizzonte, che quella luce procedeva da sud. Era della larghezza di tre centimetri, si diresse verso nord, mentre produceva un sibilo... Ad un certo punto, la luce si fermò di colpo e cessò di ingrossarsi: in quel luogo sembrava essere delle dimensioni apparenti di una ventina di centimetri di larghezza. Nel suo moto, che era stato molto rapido, formò la figura di una tromba marina e lasciò, durante il suo passaggio molte vivide scintille, più luminose di quelle che schizzano da sotto il martello di un fabbro, ma le faville sparirono velocemente come rapidamente si erano sprigionate.

Se questo primo paragrafo è sconcertante, il prossimo potrebbe essere una rivelazione.

'Dal quadrante nord che ho appena citato, udii provenire un forte rumore dovuto ad una sfera infuocata: questo globo era di circa sei pollici di diametro. Scese sotto l'orizzonte a nord ed emise per circa un minuto un rumore basso e sordo che sembrava venire da una grande distanza. La luce cominciò ad affievolirsi, mentre si dirigeva verso sud. Dopo aver rilasciato la sfera, scomparve'.

Du Pratz ovviamente non è superstizioso né si può pensare ad un'allucinazione. Dunque che cosa furono questi oggetti? Nel 1730, non potevano ovviamente essere aerei o elicotteri. Quindi forse gas di palude? Un fenomeno ottico dovuto all'inversione termica? Il pianeta Venere? Comete? Stelle in allineamenti insoliti? Fu una frode? Sono tutto orecchi".

Fonte: ufodigest



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