Che significato hanno quelle che chiamiamo “coincidenze”? Stiamo leggendo un testo e di colpo ci imbattiamo nella stessa parola che qualcuno in quel preciso momento pronuncia. Succede anche con vocaboli talmente rari che siamo tentati di escludere la casualità.
Per molte ragioni almeno i sincronismi ci sorprendono: in primo luogo, perché ci pare che – come taluni amano ripetere – l’universo ci stia inviando un messaggio. Siamo dunque i destinatari di segni appartenenti ad un codice? Non è un piccolo privilegio essere coloro cui sono indirizzate importanti missive. Sono segni simili ai sogni, anch’essi enigmatici nella loro pregnanza ed inestricabilità semantica. Pure i sogni sono comunicazioni che vengono da profondità arcane, inesplorate: manifestano, velandole, verità abissali. Rivelano, ossia velano di nuovo.
Il cosmo tenta di instaurare un dialogo con noi, ma per riferirci che cosa? Se già è difficile interpretare le icone di questa dimensione spazio-temporale, è quasi impossibile decriptare quelle che la trascendono. I sincronismi sono smagliature nel tessuto del mondo, bulloni che stanno per saltare.
Le convergenze ci stupiscono, anzi ci sgomentano, anche poiché possiedono alcunché di fatale: si ha l’impressione di essere delle puntine che inciampano in un granello di polvere sul microsolco definito “vita”. Si avverte un senso di astratta irrealtà. Scrive John Keel: “La nostra realtà non è poi così reale come sembra. La profezia, l’arte di prevedere il futuro, sarebbe impossibile, se il futuro non esistesse già in qualche forma. E’ solo che ci mancano i giusti mezzi per definire e descrivere quella forma”. Probabilmente è così: il futuro esiste già e noi possiamo solo andargli incontro.
Certo, meglio la razionalità del destino, per quanto nascosta ed incomprensibile, che l’illogicità, la follia del caso. Questo ci conforta, ci spinge a vedere nel quadro degli eventi, persino quelli più inaccettabili, un disegno, un filo che tutto unisce, di là dalle apparenti separazioni.
In fondo, siamo all’interno di un gioco cosmico, anche se poi è diventato un giogo.
Per molte ragioni almeno i sincronismi ci sorprendono: in primo luogo, perché ci pare che – come taluni amano ripetere – l’universo ci stia inviando un messaggio. Siamo dunque i destinatari di segni appartenenti ad un codice? Non è un piccolo privilegio essere coloro cui sono indirizzate importanti missive. Sono segni simili ai sogni, anch’essi enigmatici nella loro pregnanza ed inestricabilità semantica. Pure i sogni sono comunicazioni che vengono da profondità arcane, inesplorate: manifestano, velandole, verità abissali. Rivelano, ossia velano di nuovo.
Il cosmo tenta di instaurare un dialogo con noi, ma per riferirci che cosa? Se già è difficile interpretare le icone di questa dimensione spazio-temporale, è quasi impossibile decriptare quelle che la trascendono. I sincronismi sono smagliature nel tessuto del mondo, bulloni che stanno per saltare.
Le convergenze ci stupiscono, anzi ci sgomentano, anche poiché possiedono alcunché di fatale: si ha l’impressione di essere delle puntine che inciampano in un granello di polvere sul microsolco definito “vita”. Si avverte un senso di astratta irrealtà. Scrive John Keel: “La nostra realtà non è poi così reale come sembra. La profezia, l’arte di prevedere il futuro, sarebbe impossibile, se il futuro non esistesse già in qualche forma. E’ solo che ci mancano i giusti mezzi per definire e descrivere quella forma”. Probabilmente è così: il futuro esiste già e noi possiamo solo andargli incontro.
Certo, meglio la razionalità del destino, per quanto nascosta ed incomprensibile, che l’illogicità, la follia del caso. Questo ci conforta, ci spinge a vedere nel quadro degli eventi, persino quelli più inaccettabili, un disegno, un filo che tutto unisce, di là dalle apparenti separazioni.
In fondo, siamo all’interno di un gioco cosmico, anche se poi è diventato un giogo.
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