30 marzo, 2010

Continuità e discontinuità nella fenomenologia ufologica

Nel numero 17 di "Fenix", il direttore Adriano Forgione dedica l'editoriale Siamo vittime di un inganno. Sveglia! alla fenomenologia ufologica. L'approccio al problema è accorto. Forgione scrive: "Durante la puntata speciale di Voyager del 15 febbraio scorso ho posto sul tavolo quella che è la mia visione del fenomeno U.F.O., riferendomi alla multidimensionalità... Le caratteristiche solide, le astronavi metalliche, le tracce al suolo, le strane interazioni che questo fenomeno presenta con gli esseri umani sia in caso di incontro ravvicinato singolo sia di gruppo o addirittura di massa, sembrano essere un inganno... Gli U.F.O. sembrano mutare nel corso della storia per assumere sembianze e caratteristiche assimilabili alla consapevolezza scientifica del periodo".

Sfiorai il tema delle forme relative agli U.F.O. che paiono adattarsi agli schemi percettivi e gnoseologici degli osservatori, oltre che al loro immaginario scientifico-tecnologico nell'articolo Percezione e realtà. Forse l'argomento più forte che depone a favore di questa tesi è l'insieme delle testimonianze raccolte da vari autori, tra cui l'intelligente Johannes Fiebag, a proposito delle navi aeree che verso la fine del XIX secolo furono avvistate negli Stati Uniti. Erano simili ad improbabili mongolfiere o a dirigibili con eliche, ali battenti e fari: soprattutto ricordavano le sbalorditive macchine volanti concepite dall'infrenabile fantasia di Jules Verne in un romanzo coevo come "Robur il Conquistatore". Veramente quelle airships parevano modellate sul modus percipiendi dei testimoni dell'epoca. Dopo l'ondata del 1897, non furono quasi mai più scorte (per quanto mi consta) aeronavi di quel genere: negli anni 40 del XX secolo si passò dai piatti volanti di Kenneth Arnold (in verità degli oggetti quasi a forma di rondine), agli U.F.O. campaniformi di Adamski, del caso "Amicizia" etc. sino alle navicelle dal profilo affilato di Meier, Lazar et al. per finire con l'invasione delle sfere "plasmatiche" di questi ultimi anni. Ho naturalmente semplificato, trascurando innumerevoli fogge degli O.V.N.I. avvistati o immortalati in istantanee e video. [1]

Davvero, come notò l'ottimo Fiebag, siamo al cospetto di un'Intelligenza che proietta immagini, manipola e controlla. E' un'Intelligenza i cui fini non sono chiari, ma che pare prendersi giuoco di un'umanità adusa a credere all'esteriorità, a fidarsi di sensi spesso fallaci. Osserva Forgione: "Sembra che la fonte del fenomeno si diverta a camuffarsi, interagendo con noi in modo subdolo ed ingannevole... Sono convinto che si tratta di intelligenze che sono sempre state qui, ma provenienti da una realtà parallela."

Il discorso si può estendere anche agli occupanti degli U.F.O.: un tempo si incontravano alieni "kaloi kai agathoi" o simili ad astronauti con tanto di tuta e casco, oggi, per lo più, esili creature macrocefale o sinistri Insettoidi.

Eppure, nonostante il caleidoscopio sempre cangiante delle apparizioni, pare che resti agglutinata alla causa formale una causa materiale, per dirla con Aristotele. Meglio, le forme non prescindono da un sinolo: già i graffiti preistorici contemplano un'iconografia di presunti oggetti volanti a forma di disco, di piatto, di globo etc. Si pensi, verbigrazia, alle opere rupestri studiate da Aime Michel.

Di là dal mascheramento dunque si intravede una seppur labile continuità formale che si cristallizza di solito nella forma del disco e del globo, forse perché, come ipotizzò Jung, il cerchio e la sfera sono archetipi solari e simboli di perfezione. Non di meno, tale Leit-motiv potrebbe essere l'indizio di uno "zoccolo duro" di tipo tecnologico (e sia pure di una tecnologia avveniristica) che trova in specifiche morfologie degli aspetti inerenti ai viaggi nello spazio (e nel tempo?).

Gli antichi Romani usarono il termine "clipeus" per designare ordigni di forma circolare, il vocabolo "trabes" per denotare i "moderni sigari": le scelte linguistiche tendono a confermare una costanza nelle manifestazioni.

Infine le caratteristiche somatiche del Grigio paiono un'altra invariante che accomuna, mutatis mutandis, l'antichità e l'età contemporanea, passando per il Medioevo. Insomma, in qualche caso è possibile che U.F.O. ed extraterrestri possiedano una natura “concreta” ed appaiano più o meno come sono.

Non è tutto miraggio quel che vola.


[1] Anche recentemente sono stati avvistati U.F.O. di tipo adamskiano.

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APOCALISSI ALIENE: il libro

28 marzo, 2010

Cristo e la Sfinge

Dove fermare l'indagine? Sarebbe come vietare ai mistici di spaziare nel mare dell'essere. (R. Di Maio)

Romeo De Maio, ordinario di Storia moderna, è autore di un saggio intitolato "Cristo e la Sfinge, la storia di un enigma", Milano, 2001. Forse questo libro avrebbe meritato maggiore attenzione, sebbene, sin dalle prime pagine, tradisca le attese suscitate da un titolo pretenzioso: si è che l'autore vorrebbe indagare il mistero della Sfinge, ma dà per scontato che essa è egizia, che possiede una natura duplice (di leone e di uomo). Inoltre assimila la Sfinge tebana a quella di Gizah, benché esse appartengano probabilmente a due tradizioni diverse. In questo modo, con un lievissimo errore cronologico di circa 7000 anni, l'esplorazione risulta infirmata così che più che la storia di un enigma, l’autore esamina le letture di un'arcana figura nella storia dell’arte. Il nesso tra Cristo e la Sfinge è una mera fantasia, almeno come è annodato dallo storico: è corretto individuare tra le più profonde radici del Cristianesimo il milieu egizio, ma l'interpretazione figurale che vede nella Sfinge l'anticipazione del Messia è destituita di fondamento. E' un'interpretazione che vale solo a posteriori, una specie di profezia post eventum.

Si legga dunque il saggio di Di Maio come un elegante e pensoso excursus: fine conoscitore del retroterra iconologico e delle invenzioni iconografiche, l’erudito passa in rassegna centinaia di opere artistiche, letterarie, musicali... dall'antichità all'età contemporanea per distillare i sensi reconditi, molteplici e talora contraddittori della Sfinge. Che essa simboleggi la ragione, mi pare opinabile. Talora Di Maio, più che penetrare l'enigma, si diletta di voli pindarici, intuendo correlazioni là dove, al massimo, si possono astrologare fragili coincidenze. Tuttavia il discorso è inebriante: se ci si smarrisce nel dedalo delle colte divagazioni, perdendo di vista il vero fine dell'indagine, si colgono interessanti particolari, come quando ci si accosta ad un prezioso arazzo di cui si apprezzano l'ordito, la trama, lo splendore cromatico e del disegno, anche se non si comprende più il soggetto.

La sovraccoperta del libro è affascinante: vi è raffigurato un celebre quadro di Gustave Moreau, pittore coltissimo e raffinato sino all'estenuazione. Moreau dipinge, in uno scenario roccioso, un efebico Edipo con la Sfinge tebana che gli si aggrappa al petto: la creatura figge lo sguardo indagatore negli occhi interrogativi di Edipo. E' il circuito della domanda che pare riverberare sempre sé stessa, un'eco che non si placa da quando l'uomo (lo sventurato figlio di Laio ne incarna la nascita come essere di conoscenza e sofferenza) si è imbattuto nel suo doppio.

Non si pensi che la lettura di "Cristo e la Sfinge", benché testo povero di valore storico - la vera sfida sarebbe scrutare il punto vernale di un'era remota ed i suoi ancestrali avvenimenti, quando il monumento dominava una terra di dèi esuli - sia affatto oziosa: oltre a consentirci di riscoprire capolavori dell'arte, talora ci elargisce sprazzi di dubbio, quando il discorso prezioso, ma un po' divagante del testo, si aderge in quesiti abissali.

Così domande ed aforismi come i seguenti: "Si aprirà la porta del soccorso e della liberazione? Che senso ha la morte e la soppressione dell'io? In quali abissi si entra o in quali cieli ci si inoltra? Tra l'onnipotenza divina ed il libero arbitrio dell'uomo vige il Destino; Dolori senza riparo richiedono la solitudine...” si uncinano al pensiero.

Finalmente allora l'eloquio patinato si sgretola, lasciando intravedere l'inquietante sembianza di un fato sfingeo e refrattario a qualsiasi tentativo di spiegazione.



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26 marzo, 2010

Happy hour

Che cos'è che salva, ci si finisce a chiedere? Bello sarebbe poter credere che possa bastare la sola - per quanto cupa e dolorosa - sensazione di straniante alterità rispetto all'alienata omologazione imperante, che ben conosce chi non si ritrova, né tanto meno si rispecchia, nella massa acefala; ma arduo poterlo fare (Lupo).

Il sistema, su cui spesso e malvolentieri si è costretti ad indugiare, non è solo il diabolico congegno del potere, poiché esso è anche lo schema dell'esistenza. Simile ad un diagramma di flusso, il sistema scandisce il tempo e le sue fasi rigidamente concatenate. Non è forse innaturale la dicotomia tra tempo destinato al lavoro e tempo "libero"? Non è forse innaturale una vita in cui tutto è programmato? Neanche la metafora della prigione rende l'idea di un'esistenza computata e gestita, alfa-numerica.

Paradossalmente è proprio nelle ore in cui, accantonata l'inutile fatica del lavoro, che maggiormente si manifesta la meccanica forza del sistema: i "divertimenti" sono tutti omologati, massificati. Nulla è più infelice dell'happy hour. In nessun luogo la solitudine è più divorante di quelli, come le discoteche, dove gli individui si ammassano. Se esiste l’inferno, deve essere molto simile ad uno di questi posti asettici, gelati da una luce perfetta.

Il consumismo più volgare ha eretto i suoi templi profani: le multisale, gli ipermercati, gli autogrill, gli outlet. E' impossibile coesistere con gli automi mutilati, impossibile sopportare la loro presenza. Una moltitudine di uomini piccoli piccoli forma un gigantesco ed informe monumento al nulla.

E' nelle loro scorribande notturne, nelle gozzoviglie pantagrueliche, nelle conformistiche trasgressioni che il sistema celebra il suo più laido e glorioso trionfo: è stata elargita e fomentata la licenza, mentre abbiamo perduto la libertà e, con essa, l'amore per il bello ed il vero. Scompaiano pure gli alberi, a condizione che una
foresta di antenne ci garantisca il wifi anche nelle latrine.

Non si ode neanche un grido di protesta, neppure velleitario: le nuove generazioni sembrano le più docili, le più assuefatte. Gli schiavi vogliono che le catene siano ancora più strette.

Tolleriamo l'assurda ripetizione dell'uguale e l’aberrazione della normalità, solo perché si continua a concepire un mondo in cui tutto questo sia cenere.

Può albergare una speranza nel cuore nero della disperazione?



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23 marzo, 2010

La lotta di Giacobbe contro l'angelo

Al versetto 32,25 del Genesi si legge: “Giacobbe rimase solo: or, un uomo lottò con lui fino allo spuntar dell’alba e, vedendo che non poteva vincere Giacobbe, lo colpì nella giuntura della coscia, sicché la giuntura dell’anca di Giacobbe si slogò nel lottare con lui. Allora quell’angelo gli disse:" Lasciami andare, perché sta spuntando l’alba. Ma Giacobbe rispose:" Non ti lascerò, finché tu non mi avrai benedetto". L’altro gli domandò: "Come ti chiami?" Rispose: "Giacobbe". Ed egli:" Non ti chiamerai più Giacobbe, ma Israele, perché sei stato forte contro Dio e con gli uomini ed hai vinto". Giacobbe gli chiese:" Dimmi, ti prego, il tuo nome". Ma quello rispose: "Perché vuoi sapere il mio nome?" E lì stesso lo benedisse. Giacobbe pose nome a quel luogo Fanuel, perché, disse, ho visto Dio faccia a faccia ed ho avuto salva la vita...” [1]

L'episodio biblico in cui l'autore indugia sulla lotta di Giacobbe contro l'angelo è uno dei più enigmatici del Genesi. E' forse, come il brano dedicato ai Nephelim, un lacerto di un'antica tradizione che rispecchia una mentalità "magica" poi offuscata e normalizzata, allorquando la Torah conobbe l'intervento di P il quale non accenna ad animali parlanti né a situazioni prodigiose né a malachim.

I teologi, quasi sempre, al cospetto di questo strano passo, offrono interpretazioni in cui sottolineano i valori simbolici ed etici della pugna. L'angelo è di solito identificato con Dio: tale esegesi è convalidata per mezzo dell'etimologia, giacché Israel significa "Colui che lotta contro Dio".

Nondimeno non si potrebbe tradurre con "Colui che lotta contro un dio, contro un essere soprannaturale?" Se restiamo ancorati all'ermeneutica canonica, difficilmente cercheremo di render conto dell'angelo che intende dileguarsi prima dell'alba. Proviamo a collocare tra parentesi le spiegazioni convenzionali e (gli interrogativi ) silenzi [2] :è possibile che il racconto sia la testimonianza di un incontro con l'"altro", quando gli uomini, non confinati nell'universo empirico, percepivano talora l'invisibile e si inoltravano in arcane dimensioni rasentanti quella ordinaria. L'episodio, benché inscritto in una rassicurante cornice teologica, lascia filtrare alcunché di ambiguo, quasi di conturbante. L'angelo abita nelle tenebre e rifiuta di comunicare il suo nome ad Israele.[3]

Il nome per gli antichi non era un flatus vocis, un'arbitraria sequenza di fonemi, ma essenza stessa della realtà, principio. Non sorprende quindi che l'angelo sia tanto restio a palesarlo: la sua natura profonda sarebbe stata disvelata. L'umano ed il divino, anche se si sfiorano, debbono rimanere distinti. Giacobbe ha scorto il volto di una creatura soprannaturale, ma di più non gli è concesso. Se proviamo ad enucleare una valenza metaforica dall'episodio, si potrebbe pensare ad un ammonimento a non profanare lo spazio del sacro.

Altrimenti, una lettura della lotta ingaggiata da Giacobbe contro l'angelo, come incontro-scontro con una potente creatura abitante di un regno contiguo al mondo ordinario, non mi pare peregrina. Le metafore teologiche ed etiche sono legittime, poiché è nella natura dei testi la stratificazione, ma paiono il risultato di un intento pedagogico.

[1] Fanuel o Peniel significa "Volto di Dio" o "Davanti a Dio".

[2] Ne riporto un esempio classico: “Il patriarca si attacca a Dio, gli forza la mano per ottenere una benedizione che obbligherà Dio nei confronti di coloro che dopo di lui porteranno il nome di Israele. Così la scena è potuta diventare l’immagine del combattimento spirituale e dell’efficacia di una preghiera insistente (Girolamo, Origene). Per altri l’angelo, lasciandosi vincere in questa lotta, dava una ferma speranza a Giacobbe di poter superare con molta maggiore facilità non solo Esaù, ma anche tutti i nemici e le avversità, come emerge dalle parole “perché hai combattuto con Dio e con gli uomini e hai vinto!”. Per altri si vuole anche indicare che Giacobbe, sempre più umile e diffidando di sé stesso, sente tutta la propria incapacità e con uno sforzo supremo si appella alla bontà e alla misericordia di Dio.

[3] Non mancano alcuni studiosi che reperiscono nell'etnonimo Israele un addentellato con la cultura egizia: Israel conterrebbe un rimando agli dei Iside ed a Ra. Se ne dedurrebbe un'origine egizia degli Ebrei o di un loro gruppo, un'origine rintracciabile pure nel nome Mosé e nella sua figura.



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21 marzo, 2010

Dalla "Trilogia degli Illuminati" al "Pendolo di Foucault": come la ricerca sul Nuovo ordine mondiale viene segregata nel ghetto della sub-cultura

Robert Anton Wilson e Robert Shea sono gli autori del ciclo intitolato La trilogia degli Illuminati. La saga comprende L'occhio nella piramide, La mela d'oro ed Il Leviatano. Nel primo volume, Malik, editore di una rivista indipendente, scopre per caso i progetti e le aspirazioni di alcune logge segrete e di altre dementi organizzazioni che controllano le sorti dell'intera umanità. Si trova così coinvolto in rocambolesche disavventure. Tra sostanze psicotrope, sesso e violenza, confraternite magiche, manifestazioni politiche, birri spregiudicati e criminali idealisti, città sommerse, brandelli di filosofie orientali, i due scrittori dipanano una matassa di spaventose congiure e di enigmi sconcertanti.

Non ripercorro l'intricato intreccio del romanzo, poiché vorrei lasciare ai lettori il gusto di scoprire le "predizioni" sul nostro tempo che, nell'ormai lontano 1975, Wilson e Shea disseminarono nel loro èpos post-moderno. Si pongono alcuni problemi: come poterono i due scrittori statunitensi vaticinare il futuro con tanta accuratezza? Come reagisce il pubblico e soprattutto la critica a queste incomode rivelazioni pronunciate con lo stratagemma della finzione letteraria? Al primo quesito non è così arduo rispondere: alcuni autori sono abituati ad osservare, ma soprattutto, spinti da curiosità intellettuale, si addentrano negli oscuri cunicoli della storia occulta, pure talora affiliandosi a società segrete, per carpirne qualche arcano. Fu questo probabilmente il percorso di George Orwell cui, a differenza di molti suoi epigoni, non mancò il talento. Sia quel che sia, talora ci vengono squadernati intrighi che scambiamo per gli scarabocchi di uno schizofrenico.

Eppure, se ricordiamo la natura psicopatica delle élites, non ci sorprenderà quel bric à brac di insane cabale che i critici organici al sistema si affrettano a confinare nel kitsch e nella farneticazione. Giusto! Sennonché il cattivo gusto ed il delirio non provengono tanto dalla sub-cultura, bensì dal potere: la cultura popolare, infatti, sviscera il laidume della storia per esibirlo. Non manca il compiacimento morboso per una realtà putrida, ma l'operazione opposta di chi si ostina a coprire ed a negare è molto più sconcia. Eco, nel plumbeo e pessimo romanzetto Il pendolo di Foucault, si affanna ad infangare in modo indiscriminato tutta la tradizione ermetica, pur d'insabbiare scabrose verità, con l'argomento ormai consunto e bisunto del "sonno della ragione che genera mostri". Colui pare un imbianchino di sepolcri dalle lastre sgretolate.

Lo stesso Ezio Albrile, storico delle religioni, altrimenti noto per i suoi dotti studi sulle religioni iraniche e le loro diramazioni, sdrucciola sul lucido pavimento della normalizzazione e, in un implacabile pamphlet contro David Icke, si attorciglia in un discorso capziosamente persuasivo su spie, contro-spie, spie doppiogiochiste etc. Anche qui l'arma privilegiata è quella della generalizzazione: “Alice nel paese delle meraviglie ed il disastro delle Torri Gemelle” è un delirio. Ne arguiamo che tutto quanto scrive Icke è follia pura, sebbene provenga in parte da fonti dei servizi cui sembra il saggista britannico sia in qualche modo vicino. Si può concordare con la pars destruens, ma la pars construens qual è? Vale a dire, quali sono le mezze verità che intanto bisognerebbe cominciare a divulgare, mentre si preferisce ricorrere ad una tabula rasa?

Nel momento in cui si rinuncia al discernimento, alla cernita (tra il loglio di Icke e di altri, germogliano anche spighe di grano), si sprofonda nel dogmatismo e, quel che è peggio, nel negazionismo. E’ il passo compiuto da Eco (non so se sia stato compiuto anche da Albrile né mi interessa), un passo che potrebbe essere frutto di pur storte convinzioni o di calcoli pragmatici, verso la smentita apodittica e censoria: il giorno 11 settembre 2001, alcuni islamici dirottarono due aerei contro le Torri Gemelle; le scie tossiche sono scie di condensazione... Perfetto: i nostri governanti tutti sono saggi ed onesti.

E' troppo facile disintegrare una statua di creta e non osare neppure guardare negli occhi il bronzeo Moloch. Troppo facile, da esteti a senso unico, essere schizzinosi nei confronti della paccottiglia New age e, nel contempo, tacere sulle incontrovertibili (e pacchiane) trame dei governi, magari mordendo col dente eburneo anche intuizioni gnostiche coraggiosamente "eretiche".

Umberto Eco si rallegrava per il naufragio delle utopie letterarie “generatrici di violenza”, ma si è sempre ben guardato dall'auspicare il superamento di un sistema "generatore e moltiplicatore di violenza". In fondo, l'unica diversità tra la cloaca della cultura underground e quella di Eco è che sulla seconda è stato sparso un po' di profumo.


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19 marzo, 2010

Pegno

Siamo nel cuore di eventi tragicosmici. Riusciamo a concepire anche solo per un istante come sarà l'esistenza, quando tutto sarà rivoltato ed annichilito? Cominciamo a staccarci dalle cose, per quanto possibile. Il denaro, gli agi, le gratificazioni professionali... saranno presto un mucchio di cenere. Le tragedie di oggi saranno i rimpianti di domani.

E' un'illusione continuare a credere che gli anni a venire saranno la stanca ripetizione di questi. Incombono cambiamenti inimmaginabili e, se da un lato, si sta disserrando un mondo di luminose prospettive, dall'altro, sarà necessario attraversare lande desolate.

Possiamo presagire che cosa ci riserva il futuro: sul piano pratico sarà una prova ancora più ardua di quella che affrontò l'umanità prima e durante il diluvio. L'uomo comune non ode i tremolii, non scorge le sottili incrinature, non sente i brividi che fanno vibrare il
ghiaccio delle notti. Anche chi intravede i prodromi della fine, non è meno cieco: lo abbaglia la folgore del destino scagliata sulla Terra. Così, brancolando nel buio rischiarato appena dalle fiaccole della speranza, compiamo l'ultima parte del percorso.

E' vero che la meta è la Vita, ma chi raggiungerà la destinazione? La salvezza è grazia, ma non è del tutto gratuita. Non sappiamo se saremo tra i "sommersi" o tra i "salvati" né a quali condizioni. Il Regno può essere vicino, ma, per accedervi, si paga pegno.

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16 marzo, 2010

Le linee temporali di Stan Romanek

Stan Romanek è un cittadino del Colorado, le cui esperienze circa gli incontri con gli extraterrestri sono considerate tra le più documentate. Egli sostiene di essere in possesso di video, di numerose fotografie e di prove fisiche del suo vissuto. Il primo avvistamento di Romanek risale al 27 dicembre 2000. Egli, da allora, sostiene di aver avuto più di cento esperienze individuali.

Romanek ha, in passato, prodotto fotografie di cicatrici sul suo corpo, dovute - stando al testimone - ai suoi rapitori. Egli ha anche esibito fotografie di segni di combustione nel cortile dell'appartamento in cui abita nonché di un U.F.O. mentre decolla. Il contattato ha anche elaborato strane equazioni, la cui autenticità ha causato infuocate controversie. Nel 2003, quando l'uomo viveva in Nebraska, installò una videocamera per riprendere quello che egli pensava fosse un voyeur. Grande fu la sua sorpresa, allorché si accorse che il video mostrava presumibilmente la testa di un furtivo extraterrestre in atto di sbirciare attraverso la finestra di casa.

A Romanek si devono pure delle sibilline predizioni, frutto dei suoi abboccamenti con i visitatori. Egli reputa che l'umanità sia ormai prossima a qualcosa di cruciale: è necessario prepararsi per affrontare il cambiamento che è un bivio. Se non compiamo il passo decisivo per maturare, saremo perduti, sebbene il rapito ritenga che il percorso temporale stia deviando verso una situazione un po' più propizia rispetto a quanto paventato, allontanandoci dal Nuovo ordine mondiale.

Romanek è autore di un libro intitolato Messages (scritto insieme con J. Allen Danelek): nel testo ripercorre le sue (dis)avventure e descrive gli alieni da lui fotografati o filmati, tra cui Grandpa e Boo, due Grigi dalla pelle bluastra, il collo magro, le braccia lunghe ed esili.

Il caso di Romanek, benché riproponga per lo più i motivi della classica casistica inerente ai contattati, se ne discosta per l'importanza che assumono le equazioni sopra accennate e, in parte, per il variegato campionario di ufonauti che l'uomo asserisce di aver incontrato. Si passa così dai noti Grigi ad esseri evoluti, da creature che proverrebbero dal futuro intente a recuperare informazioni genetiche perdute, ad altre che rapiscono gli uomini per salvare la loro razza. Gli alieni in alcune circostanze sono percepiti come esseri fisici, in altre occasioni, come entità interdimensionali.

L'aspetto che mi pare più interessante è il cenno ai segmenti temporali che "altri" sarebbero in grado di controllare, forse percorrendo tali "sentieri" in ambo le direzioni, verso il passato e verso il futuro. Sono concetti che vengono generalmente relegati nel limbo delle fantasie più fervide, ma che, sfrondati di risvolti inverosimili, potrebbero contenere un'ombra di verità.

Fonti:

P. Harris, Così fotografo gli alieni, in X Times, n. 17, marzo 2010

http://www.stanromanek.com/


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14 marzo, 2010

L'universo onirico, una finestra sulle dimensioni ulteriori

Esiste un mondo invisibile ed inconoscibile - il vero mondo senza dubbio - di cui il nostro è una frangia accessoria. (J. Cocteau)

Errano quanti asseriscono che l'uomo non può sperimentare, se non in condizioni eccezionali, l'abolizione dello spazio-tempo. I sogni, infatti, ci permettono di sospendere le coordinate della vita cosciente e di addentrarci in un territorio enigmatico. Non è mio intendimento riflettere sulla genesi delle visioni oniriche, poiché, a tutt'oggi, esse restano fondamentalmente inesplicabili, sia che si ricorra ad interpretazioni biologiche (funzioni fisiologiche di tipo cerebrale) sia che si propenda per spiegazioni metafisiche, con tutte le ipotesi intermedie. Mi pare tuttavia indubbio che il sogno sottenda sbalorditive possibilità e che apra la piccola finestra dell'io verso grandiosi orizzonti. L'attività onirica pare essere un indizio di una coscienza svincolata dalla materia: pensiamo ai pur rari sogni premonitori, ai sogni condivisi da due persone (una specie di entanglement), alle intuizioni notturne da cui dipesero le geniali creazioni di molti artisti e scienziati. Ancora pensiamo ai sogni rivelatori e fatidici. Siamo tentati di arguire che esista una dimensione in cui immagini, simboli ed eventi si intrecciano in un'ucronia atopica, per poi dipanarsi nelle esperienze oniriche. E' questo una traccia di una realtà non-fisica o per lo meno di una sfera superconscia (più che inconscia) in cui fluttuano i pensieri e le emozioni degli esseri viventi, quei pensieri che prendono forma nei sogni?

Se durante le nostre avventure oniriche siamo in grado di disintegrare il tempo e lo spazio, come di varcare i confini angusti dell'io empirico, ciò potrebbe significare che spazio, tempo ed identità personali sono illusioni o forme transeunti. Sarebbe acquisizione di non poco conto non solo perché confermerebbe che la dottrina tradizionale del mondo come maya, ma anche perché ci avvicineremmo a concepire una realtà metafisica, sottratta al dominio delle leggi naturali. Il pregiudizio materialista è difficile da estirpare ed ha allignato anche dove non ci si aspetterebbe di trovarlo. Tale pregiudizio alimenta paure ed angosce: vero è, ad esempio, che le
onde elettromagnetiche e soprattutto le radiazioni ionizzanti sono dannose, ma se esse nocciono all'organismo ed alla psiche, potendo causare persino la morte e gravi disturbi mentali, nulla possono contro l'anima. E' doveroso rispettare la vita in tutte le sue forme e vale sempre il motto di Giovenale "mens sana in corpore sano", ma ritenere che l'uomo sia soltanto un insieme per quanto complesso di organi o che la sua essenza più profonda coincida con un campo elettromagnetico (o qualcosa del genere) è riduttivo e senza meno avvilente. Se così fosse, (non nego che potrebbe essere così), allora non si spiegherebbero tutti quei fenomeni sporadici, ma stupefacenti che paiono dimostrare la natura non-locale dell'anima.

Correttamente, anche se con una terminologia a tratti discutibile, Henri Bergson suppone che la mente abbia possibilità illimitate di conoscenza non dipendenti dai sensi né subordinate alle categorie spazio-temporali e che il cervello esista per fungere da filtro di tali conoscenze potenzialmente sconfinate affinché si eviti che pervengano alla mente cosciente tutte quelle informazioni che intralcerebbero il normale corso della vita. E' un'idea notevole: in primo luogo il filosofo francese lumeggia il concetto di cervello come "centralina di smistamento" dei numerosissimi segnali da cui esso è bombardato. L'encefalo legge solo un segmento del reale, organizzandoli in schemi a priori di conoscenza. Inoltre Bergson mostra come lil nous sia non un semplice serbatoio di contenuti, ma un agente transpersonale. Certo non si può ipso facto identificare questo intelletto con una sostanza metafisica, ma le sue straordinarie capacità inducono a congetturare l'esistenza di una coscienza espansa in cui i limiti connaturati alla materia sono violati.

Alcune riflessioni vengono a taglio: nell'universo multidimensionale, potrebbero albergare esseri adatti a leggere ampie parti del reale ed anche a varcare la soglia del mondo sensibile per viaggiare nel tempo e nello spazio, poiché questi due enti possono essere manipolati o perché, di fatto, essi sono privi di reale consistenza. E' possibile apprendere le tecniche o l'arte per sconfinare dall'io ed inoltrarsi in piani ulteriori?

Un'altra osservazione: se non ci liberiamo della zavorra del materialismo, anche nelle sue forme più accattivanti e "leggere", non riusciremo a concepire un quid scevro dagli influssi biologici e tecnologici e resteremo ancorati a credenze scientiste. L'hyle ed il corpo, per quanto non siano da disprezzare, possono ereditare il futuro ed aspirare alla liberazione?


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13 marzo, 2010

Comete

Comete, falariche che incendiano il buio. Il volto della notte è solcato da rughe scintillanti. La dolorosa bellezza del firmamento si accende di presaghe faville. Scivolano tra i golfi delle tenebre, spezzano il silenzio sidereo. Le comete, con strascichi d'argento, sfiorano i pianeti. In pulviscoli sulfurei recano morte e desolazione.

Il salso respiro del mare esala fra i peristili dei templi cadenti, orfani degli dei, mentre dense ombre sommergono i rocchi incrinati ed inceneriscono le braccia dei caprifichi. Si sfilacciano tra le biforcazioni dei fulmini scie di stelle consunte. Il sacerdote fissa il vuoto: negli occhi il riverbero di una serena disperazione.




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11 marzo, 2010

Dossier U.F.O. e Vaticano: Cristianesimo, angeli e vita extraterrestre

Il ricercatore Cristoforo Barbato ha pochi giorni or sono pubblicato una corposa ricerca intitolata Dossier U.F.O. e Vaticano: Cristianesimo, angeli e vita extraterrestre. L'autore ha colto nel segno: quelle da lui analizzate sono questioni cruciali, sebbene possano sembrare, di primo acchito, temi evasivi. L'indagine, frutto di un minuzioso studio, spazia dal lontano passato alle più recenti posizioni del Vaticano su un eventuale contatto con esseri di altri pianeti. Definirei il dossier dell'autore, che negli ultimi tempi ha concentrato la sua attenzione sul significativo binomio Chiesa di Roma-U.F.O., un accurato testo di Paleoastronautica, con numerose digressioni in ambito storico, archeologico e teologico.

Lo scrittore adotta un taglio empirico, trascurando le interpretazioni simboliche e sapienziali della Bibbia e di altri testi antichi (le opere sumeriche, il Libro di Enoch etc.): ciò sarà reputato da alcuni un limite, ma ritengo sia preferibile un'onesta e seria analisi clipeologica alle sottili e talora oscure dissertazioni su valori e tradizioni esoteriche. Non che queste disquisizioni non abbiano diritto di cittadinanza nel variegato panorama culturale, ma occorrono senso del limite e finezza: si rischia altrimenti di impancarsi a ierofanti, di invischiarsi in elucubrazioni su significati reconditi ed allegorici da cui si può distillare tutto ed il contrario di tutto. Certo, la disamina storiografica e documentaria non esaurisce i problemi, ma, se condotta con rigore, non mancherà di fornire utili indicazioni.

Consapevoli quindi dei confini testè accennati, la fatica di Barbato diviene notevole proprio là dove si sfrangia in ardui interrogativi: che cos'è la conoscenza citata in Genesi? Chi furono i Nephilim? Gli angeli? I Vigilanti? I popoli del Medio Oriente furono inciviliti (o corrotti) da visitatori di altri mondi? Per quanto attiene al primo quesito, è possibile che l'albero della conoscenza del bene e del male sia imparentato con l'idea di autocoscienza, intesa come percezione incipiente di un sé diviso. Alcuni d’altronde pensano che il peccato originale sia stato il momento della nascita del libero arbitrio, dell’ego e quindi dell’uscita dalla coscienza collettiva. In tedesco peccato è Sunde ed ha uno stretto legame con il verbo “absondern”, “separare”. Pare essere la reminiscenza di un distacco dalla Fonte, comunque lo si interpreti. Molti esegeti vi vedono, invece, una connotazione sessuale, essendo nella Bibbia il verbo "conoscere" usato come eufemismo per designare la copula. Altre interpretazioni sono, a mio parere, poco plausibili. Vero è che tentare di stabilire l'indole del peccato compiuto dai protoplasti è determinante: da quell'errore dipende la caduta, con tutto lo strascico di male che esperiamo.

Circa gli angeli ed i Nephilim, l'autore tende a rilevare, pur senza avventurarsi in affermazioni apodittiche, la loro presunta natura fisica. La lettura di quei passi biblici in cui gli angeli (malachim) sono raffigurati come creature che mangiano e bevono può avallare questa interpretazione, ma soprattutto il corpus dei libri apocrifi (letteralmente segreti e non spuri) e dei rotoli reperiti a Qumran sembra gettare una luce concretamente "aliena" su certi episodi e personaggi.

Nell'ampia investigazione non mancano riferimenti ad un'antica congiura volta a censurare ed ad escludere i testi i cui contenuti furono considerati pericolosi dai Padri della Chiesa e dai rabbini. Restano un po' sullo sfondo, altre e più recenti trame, di cui il Vaticano (e non solo) è artefice. Dietro la "questione extraterrestre", infatti, si nasconde molto di più che una "semplice" acclimazione all'incontro con gli Altri, con il corollario dei problemi inerenti all'Incarnazione. I Gesuiti più che osservare gli astri, scrutano le dimensioni astrali.

Sono dunque ignorati i retroscena arcontici e, di converso, gli orizzonti spirituali, di cui un'esplorazione clipeologica ed astronomica non può dar conto, se non in modo sporadico. Nondimeno, sebbene altri preferisca usare una sonda che vada in maggiore profondità per scandagliare la stupefacente situazione odierna, il lavoro di Barbato apre dei sentieri che sarà giovevole percorrere.

Leggi qui il dossier.



APOCALISSI ALIENE: il libro

10 marzo, 2010

In edicola il numero 17 di "X Times"

E' in edicola il numero 17 della rivista "X Times". Vorrei segnalare, tra i vari articoli della pubblicazione, senza nulla togliere agli altri contributi, il dossier sulle apparizioni "mariane" in Egitto e l'articolo del Professor Francesco Lamendola, Possessione aliena.

Leggi qui il sommario degli articoli e l'editoriale della Direttrice, Dottoressa Lavinia Pallotta.




APOCALISSI ALIENE: il libro

09 marzo, 2010

Iniziativa internazionale contro le scie chimiche

Protestiamo contro le scie chimiche, per mezzo di un'azione sincronizzata. Spegniamo le luci ed i televisori alla stessa ora. Agiamo contro le criminali operazioni note come "scie chimiche".

Leviamo la nostra voce affinché i governi sappiano che siamo al corrente di questa attività distruttiva. Basta con le scie chimiche! Spegniamo le luci.

Ogni domenica, alle 21:00, spegniamo le luci e tutti gli apparecchi della nostra abitazione per un minuto o più. [ PRELEVA QUI IL CODICE DEL BANNER ]

STOP CHEMTRAILS! Turn off the lights

EVERY SUNDAY, AT 09:00 P.M. TURN OFF THE LIGHTS OF YOUR HOUSE AND TURN OFF THE TELEVISION SET FOR ONE MINUTE.



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CHEMTRAILS DATA

Range finder: come si sono svolti i fatti

08 marzo, 2010

Un fenomeno di chiaroveggenza nelle "Notti attiche" di Aulo Gellio

Aulo Gellio (130 d.C. ca. - 180 d.C. ca.), è autore latino di una silloge basata su citazioni desunte dalla lettura dei testi soprattutto di età repubblicana. La raccolta si immagina cominciata nelle sere d'inverno in una villa dell'Attica ed è intitolata appunto "Notti attiche" (Noctes Atticae). L'opera, piuttosto farraginosa e rapsodica, comprende argomenti che rivelano il gusto antiquario ed erudito dello scrittore. Tra le numerose notizie e notiziole letterarie, linguistiche, filologiche… non di rado mere curiosità da superficiale compilatore, spiccano alcune pagine di interesse antropologico ed il resoconto di un fenomeno che si può ritenere di chiaroveggenza.

Nel libro XV, 18, leggiamo: "Nel giorno in cui Caio Cesare e Gneo Pompeo combatterono in Tessaglia durante la guerra civile, a Padova, in Italia transpadana, accadde un fatto degno di essere ricordato. Un certo ierofante Cornelio, di nobile stirpe, onorato per la scrupolosità del suo ministero e venerato per l'integrità della vita, preso da una subitanea ispirazione disse che un'aspra battaglia era combattuta lontano e poi che alcuni si ritiravano, altri incalzavano, la strage, le fughe, giavellotti saettanti, una ripresa del combattimento, assalti, gemiti, ferite, poi, come se egli si trovasse in mezzo alla battaglia, gridava di vedere ogni cosa e subito dopo esclamò che Cesare aveva vinto. Quella divinazione del sacerdote Cornelio fu considerata insignificante e folle, ma grande fu la sorpresa in seguito, poiché non solo era stato indicato il giorno in cui era stata combattuta la pugna in Tessaglia, ma anche perché le alterne fasi dello scontro e lo stesso urto dei due eserciti erano stati descritti dai gesti e dalle parole del divinatore".

Non si hanno seri motivi per dubitare della veridicità dell'episodio raccontato da Gellio. Fenomeni portentosi simili sono narrati da vari autori romani, tra i quali Livio, Plinio il Vecchio e Giulio Ossequente. Può darsi che in alcuni casi abbiano giocato il loro ruolo la fantasia, la superstizione, l'attrazione per i mirabilia, ma sappiamo che in genere gli scrittori antichi annotavano con diligenza gli eventi. Spesso manifestazioni naturali eccezionali potevano essere scambiate per prodigi, ma, allora come oggi, circostanze che sfidano le interpretazioni razionali ed empiriche punteggiano il panorama della "normalità". Fenomeni straordinari ed inesplicabili spesso sono relegati nel novero delle coincidenze o negati in modo aprioristico. Così anche la visione a distanza di cui fu protagonista il sacerdote patavino potrebbe essere rigettata come una storiella inverosimile; potremmo, invece, ascriverla alla pur rarissima capacità di superare le barriere cronotopiche per osservare ciò che è lontano nel tempo e nello spazio.

L'aneddoto riportato da Gellio è interessante, perché non solo è riferibile alla chiaroveggenza, ma anche in quanto denota un tratto peculiare di questa capacità metapsichica, ossia l'immedesimazione nell'accadimento sicché l'uomo, oltre a raffigurare in modo vivido la scena della battaglia, pare esprimere con i movimenti del corpo e con le intense reazioni emotive, la partecipazione al combattimento, come se egli si fosse trovato in mezzo alle schiere. E' noto che molti chiaroveggenti non si limitano a percepire scenari distanti: infatti vivono in prima persona gli avvenimenti, riportandone turbamento, ansia, dolore ed angoscia. Sono ferite emotive che, se non spiegano i meccanismi di queste singolari esperienze, inducono a pensare che qualcosa di reale accada nella mente dei percipienti.

Alcuni studiosi ritengono che chiaroveggenza, telepatia e precognizione siano manifestazioni diverse di uno stesso fenomeno. Non è ancora stata formulata una teoria esplicativa soddisfacente, giacché occorrerebbe riconsiderare molti paradigmi inerenti alla percezione, alla coscienza ed alle leggi di natura. Le questioni che suscita tale fenomenologia implicano una ridefinizione di numerosi ipotesi interpretative della realtà.

Sono argomenti ostici su cui abbiamo talora indugiato e su cui ci ripromettiamo di tornare, non appena sarà possibile.


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APOCALISSI ALIENE: il libro

06 marzo, 2010

Qualcuno ci rapisce da un'altra dimensione come un pescatore prende all'amo le sue trote? (articolo di F. Lamendola)

Pubblico un interessante articolo del Professor Lamendola intitolato "Qualcuno ci rapisce da un'altra dimensione come un pescatore prende all'amo le sue trote?" L'autore, dopo aver meticolosamente ricostruito alcuni casi storici di misteriose sparizioni, ne indaga la natura, ampliando il discorso per provare a collocare il fenomeno dei rapimenti (anche in correlazione con gli U.F.O.) in un contesto filosofico. Il testo mi offre lo spunto per ricapitolare le principali ipotesi circa le abductions, tema fra i più inquietanti e densi di implicazioni nell'ambito della ricerca ufologica.

- Secondo Alvin Lawson ed altri, i rapimenti sono riferibili ad esperienze psichiche. In particolare Alvin Lawson e Stanislav Grof vedono nei resoconti dei testimoni, sottoposti ad ipnosi regressiva, dei rimandi all'evento della nascita, quindi al traumatico passaggio del feto da un ambiente sereno e confortevole ad un mondo percepito come ostile e rumoroso. Altri chiamano in causa traumi rimossi, riconducibili ad abusi sessuali subiti durante l'infanzia.

Michael Persinger ritiene che le esperienze dei sequestrati siano allucinazioni causate da campi elettromagnetici.

I fisici e matematici tedeschi Grazyna Fosar e Franz Bludorf hanno recentemente sviluppato ed affinato questa linea interpretativa, collegando i Grigi e le loro intrusioni a fenomeni di ipercomunicazione. I due scienziati germanici non escludono contatti con esseri di altri mondi, ma opinano che questi vissuti si svolgano su un piano di coscienza di gruppo all'interno di un piano dimensionale non lineare. Di conseguenza gli elementi dell'esperienza U.F.O. sono analoghi ai simboli classici della coscienza collettiva archetipica dell'umanità.

- Richard Boylan e Thomas Bullard pensano a rapimenti compiuti da visitatori benevoli, "nell'ambito di un programma complessivo volto a trasformare la popolazione terrestre, rendendola più equilibrata, positiva e rispettosa delle leggi universali".(R. Malini) Il compianto John Mack è vicino a questa visione del problema. A queste azioni sarebbero contrapposti i falsi rapimenti organizzati dai servizi segreti con il fine di suscitare nell'opinione pubblica paura ed astio nei confronti dei rapitori alieni. Sono queste le cosiddette "military abductions"(milabs), investigate specialmente da Helmut Lammer.

- Altri ricercatori, come Budd Hopkins e Katharina Wilson, attribuiscono i rapimenti ad esseri di altri mondi. Le loro vere intenzioni non sono chiare, ma Hopkins e la Wilson suppongono che gli ufonauti perseguano per lo più scopi di ibridazione. La Wilson rigetta senza mezzi termini il modello di spiegazione psicologica, ribadendo l'indole tangibile, concreta del fenomeno abduction.

Corrado Malanga, come è noto, sostiene che gli intrusi intendono appropriarsi dell'anima.

Il dibattito è acceso: l'esegesi psicologica pare inconciliabile con la spiegazione fisica. Sennonché si potrebbe trovare un raccordo fra le due correnti di pensiero, se si superasse la riduttiva e schematica antinomia tra psiche e materia per cominciare a delineare uno scenario comprensivo delle varie e talora contraddittorie sfaccettature della realtà. E' un compito improbo, ma doveroso.

Per quanto mi riguarda, sarei propenso a riconoscere in molti casi di abductions lo zampino dei militari, ma è possibile che siano anche la traccia di una tangenza (o collisione) con altre sfera di realtà, di solito precluse alla coscienza normale. Questi incontri, spesso dolorosi, raramente benefici, potrebbero essere l'indizio di una lacerazione nel tessuto empirico che ordinariamente separa diversi piani: tale strappo potrebbe derivare sia da cause interne sia da fattori esterni. Anche qui, però, lo spartiacque è quanto mai mobile e discontinuo, oltre che convenzionale.


L'uomo era uscito dalla sua fattoria per andare a vedere i suoi cavalli; mentre stava attraversando il prato, sotto gli occhi della moglie e dei suoi figli, era sopraggiunto l'avvocato del luogo con un suo amico. L'avvocato lo chiamò perché tornasse indietro; ma, allorché Lang si girò per tornare verso casa, svanì sotto lo sguardo incredulo dei presenti, in pieno giorno ed in un luogo assolutamente aperto e privo di alberi o case.

Si tratta, nell'insieme della casistica riguardante fatti del genere, di una vicenda certamente impressionante, ma tutt'altro che unica; anzi, sarebbe assai lungo l'elenco delle persone, isolate o a gruppi e talvolta anche a bordo di veicoli leggeri o pesanti, scomparse nel nulla, sovente sotto gli occhi allibiti di numerosi testimoni; così come quella relativa alla scomparsa subitanea ed inspiegabile di navi, aerei, e sempre in circostanze tali da far escludere qualunque incidente di volo o di navigazione, spiegabili in base alla logica umana.

Che cosa bisogna pensare di fatti del genere, dopo averli sfrondati - è naturale - di tutti quelli che, in un modo o nell'altro, sono suscettibili di una spiegazione naturale, in base alle leggi della fisica che noi conosciamo?

Lo studioso Charles Fort, dopo aver raccolto un'imponente documentazione in proposito, riteneva che, probabilmente, noi terrestri siamo in pratica alla mercé di creature di un'altra dimensione, più evolute o comunque più potenti, le quali, di quando in quando, rapiscono alcune persone per farne oggetto di studio o forse di esperimenti (per non parlare di ipotesi ancora più raccapriccianti): più o meno come noi facciamo con gli animali, dei quali ci serviamo a nostro piacere, o che alleviamo per i nostri scopi.

In questa prospettiva, noi saremmo in tutto e per tutto paragonabili alle trote da allevamento o ai manzi che, in qualsiasi momento e, a sua discrezione, il proprietario può decidere di prelevare, per farne ciò che meglio crede. È pur vero che questa ipotesi si inscrive nel più vasto quadro della filosofia di Fort, caratterizzata dal concetto di "intermediarità": secondo lo studioso americano, tutte le cose che noi conosciamo non sono né del tutto reali, né del tutto irreali, quanto piuttosto dei tentativi di essere qualcosa, vale a dire di esistere. Questa ipotesi di lavoro consente di rendere ragione (si fa per dire) di tutta quella massa sterminata di fenomeni che stanno al di là della scienza e che, pur essendo stati osservati da numerosi testimoni, contrastano irrevocabilmente con tutto ciò che noi sappiamo o crediamo di sapere, riguardo alle leggi del mondo naturale e della stessa logica.

Prima di procedere ancora su questa linea di ragionamento, crediamo opportuno ritornare alla questione delle scomparse improvvise ed inspiegabili di esseri umani (nonché di autoveicoli, navi ed aerei), scorgendo in essa un punto d'osservazione privilegiato per riflettere su più ampie questioni riguardanti la nostra posizione rispetto alla cosiddetta "realtà".

L'articolo continua qui.




04 marzo, 2010

La scienza al servizio dell'umanità

Il profetico romanzo di George Orwell, "1984", all'interno del libro che O'Brien consegna brevi manu al protagonista, Winston Smith, offre uno spaccato della criminale politica perseguita dai superstati mondiali. L'arma precipua con cui le élites conseguono i loro orribili scopi è la guerra (infinita) cui sono dedicate molte pagine, ma non manca una sconcertante digressione sui sismi artificiali, risultato degli studi condotti da "scienziati" mentecatti.

Così si esprime l'autore: "Oggi esistono due tipi solo di scienziati: da una parte un essere a metà tra lo psicologo e l'inquisitore, intento a studiare con precisione la mimica facciale, la gestualità, i toni della voce ed a sperimentare tutto ciò che induca un essere umano a dire la verità, dai farmaci all'elettrochoc, dall'ipnosi alla tortura fisica; dall'altro il chimico, il fisico, il biologo che della sua disciplina usa solo quanto serve a togliere la vita.[...] Alcuni sono unicamente impegnati nello studiare l'organizzazione di guerre future, altri mettono a punto bombe-razzo sempre più grandi, esplosivi sempre più potenti, sistemi di corazzatura sempre più impenetrabili; altri si sforzano di scoprire gas sempre più letali, di mettere a punto velenosi solubili da produrre in ingenti quantità in modo da distruggere la vegetazione di continenti interi o di coltivare germi resistenti a tutti gli anticorpi; altri sono impegnati nella costruzione di un veicolo capace di avanzare sottoterra con la stessa facilità con cui un sottomarino viaggia sott'acqua, o di un aereo autonomo rispetto alla sua base; altri, più temerari, studiano come concentrare e dirigere i raggi solari per mezzo di lenti sospese nello spazio a migliaia di chilometri di distanza dalla Terra o come produrre terremoti o maremoti artificiali, sfruttando il calore al centro del pianeta".

Sbalorditivo e raggelante! La terminologia è talora un po' approssimativa ed "arcaica" (1984 fu pubblicato nel 1948), ma il campionario delle scoperte ed invenzioni scientifiche snocciolato nel brano prelude agli strumenti perniciosi realizzati in questo ultimo mezzo secolo: vi reperiamo, oltre agli arsenali, le scie chimiche (velenosi solubili), i virus ed i batteri creati o modificati in laboratorio (germi resistenti a tutti gli anticorpi), i macchinari per fondere la roccia, i vili droni (aereo autonomo rispetto alla sua base), le armi tettoniche atte a scatenare sismi e maremoti. Orwell prospetta uno sviluppo tecnologico grazie al quale è possibile controllare ed uccidere a distanza gli uomini, un futuro in cui la natura è totalmente piegata alla folle volontà del Dottor Stranamore. Lo scopo è il dominio delle risorse ed il decremento demografico, ma anche la distruzione. Ebbri di sangue, gli scienziati offrono i loro servigi per trasformare la Terra in un inferno.

Realistico ed impietoso è il ritratto che lo scrittore britannico dipinge dei "ricercatori": la scienza accademica, infatti, non è solo conformismo ed ottusità, ma soprattutto consacrazione alla morte. Così i biologi (meglio sarebbe definirli tanatologi), elaborano metodi per soggiogare la psiche ed intossicare i corpi. Così gli ingegneri escogitano marchingegni diabolici con cui provocare disastri poi attribuiti alla natura "matrigna". Inerti ed inermi gli uomini possono soltanto attendere la sentenza capitale.

Focalizzare delle potentissime energie elettromagnetiche su un punto preciso della litosfera per determinare un cedimento di una faglia già vulnerabile: è quello che è accaduto (Vanuatu, Sichuan, Haiti, Cile). Ciò fu previsto in un'opera letteraria: la verità della letteratura mette a nudo la menzogna della scienza.

Forse per serendipità l'italiano Raffaele Bendandi si imbatté nell'origine artificiale dei terremoti, allorquando anticipò un catastrofico sommovimento tellurico a Roma ed aree circonvicine per il giorno 11 maggio 2011 nonché altri sismi di proporzioni ancora più apocalittiche per il 5 e 6 aprile 2012, quando la crosta terrestre sarà percorsa da tumultuosi sconquassi.

11 maggio 2011: una firma di sangue.

2012...



APOCALISSI ALIENE: il libro

03 marzo, 2010

Sinestesia

No, non è tutto chiaro, in questa vita. Ci sono i dogmi del sentimento, della fede, ma ci sono anche i dogmi di quella che si chiama razionalità o si formano in nome della ragione. E questi sono anche più tirannici di quelli. (B. Tecchi)

La realtà è troppo complessa e contraddittoria per essere rinchiusa in un'interpretazione filosofica o in un credo. Per intravedere gli orizzonti nascosti dalle abitudini conoscitive e della percezione, bisognerebbe sviluppare una capacità sinestetica, l'attitudine a captare le cose, cogliendone simultaneamente la natura fenomenica ed il substrato, la ragione profonda. Qual è la sostanza delle apparenze?

Né sarebbe sufficiente vedere il colore dei suoni o gustare il profumo dei sapori, vedendo per udire, perché sarebbe necessario varcare i confini che la ragione ha tracciato, oltrepassare la logica quadrata e percorrere il sentiero che conduce al senso, ma le strade sono sbarrate. Anche quando la luce ha colpito l’enigma, resta sempre un nocciolo buio.

Relitti alla deriva in un universo ridondante, prigionieri del tempo e nostalgici dell'infinito, invano tenteremo di capire la ragione della caduta.

Intanto il filo di sabbia scorre nella clessidra, a somiglianza di una lacrima d'acqua che stilla da una roccia.

In lontananza le rotaie convergono verso un punto invisibile, oltre le nebbie dell'ignoto. Non sappiamo dove conducano. Certi giorni la vita pare un binario morto.



APOCALISSI ALIENE: il libro

01 marzo, 2010

Chi ha scritto la Bibbia?

Non si riconosce alla storia il suo ruolo. Ancella del potere, è oggi mera propaganda. Originariamente la storia era testimonianza oculare il più possibile obiettiva (historia, che vale indagine, deriva da histor, "testimone", a sua volta da una radice id con il significato di "vedere", "sapere"): chiunque oggi si impegni in una vera ricerca storiografica è ostracizzato o più spesso ignorato sicché il pensiero unico continua a dominare.

In uno scrupoloso saggio intitolato Chi ha scritto la Bibbia?, Richard Elliot Friedman si cimenta nell'impresa di stabilire la paternità dei libri che formano il Pentateuco. Basandosi su studi filologici ed esegetici e su scoperte archeologiche, il saggista, ricapitolando ed aggiustando i risultati di investigazioni che datano dal XVII secolo, formula la tesi secondo cui nella Torah confluiscono quattro fonti: J, E, D, P. J è la tradizione jahvista il cui milieu è il regno di Giuda; E è il testo elaborato all'interno del regno di Israele probabilmente da un Levita di Silo; D è il documento ascrivibile forse al profeta Geremia; P è l'insieme delle tradizioni sacerdotali elaborate da un appartenente al clero aronnita. Egli usa un linguaggio solenne, ieratico e, a differenza dei redattori di JE, reputa fondamentale l’osservanza dei sacrifici. Le prime due fonti sono i nuclei più antichi.

La conclusione interlocutoria ed aperta ad ulteriori approfondimenti nonché correzioni, è la seguente: la Torah è un corpus culturalmente omogeneo, ma risultato di stratificazioni, addizioni e sottrazioni. Friedmann, che colloca E alla fine dell'VIII secolo, evidenzia come molte profezie bibliche siano annotazioni post eventum, riferibili ad un preciso contesto politico e religioso che gli autori conoscevano, perché testimoni o vissuti poche generazioni dopo gli eventi raccontati.

Il merito maggiore del libro scritto dal biblista è la chiarezza espositiva: di solito la filologia è disciplina noiosa, adatta ad eruditi che si incaponiscono per anni su una lectio difficilior, ma che non sono in grado di apprezzare la bellezza di un poema. Friedmann, però, nel suo agile testo, amplia la trattazione verso la cultura materiale, la politica, l'economia, le usanze… riuscendo a delineare un quadro credibile degli Ebrei (tra VIII e V sec. a.C.), lontano sia dall'agiografia sia dall'atteggiamento iconoclasta e sdegnoso, tipico di certi moderni nei confronti degli antichi. Tale equidistanza è apprezzabile: infatti, oggi giorno, da un lato assistiamo a chi si arrocca su posizioni dogmatiche, accusando chi mette in discussione alcune certezze fideistiche di essere un miscredente blasfemo; dall'altro, improvvisati "teologi" alla Odifreddi si avventurano nel campo della storia e delle religioni antiche, tutto distruggendo, senza aver inteso alcunché.

Un altro aspetto pregevole del saggio è la sua somiglianza con un’inchiesta: infatti, raccogliendo indizi di vario genere e con un procedimento induttivo, l’erudito riesce a stabilire con un buon grado di plausibilità gli autori di J, E, D, P. Ne emerge un dualismo, in parte riconducibile alla divisione tra Regno di Israele e Regno di Giuda, dopo la morte del re Salomone, ma anche al contrasto, benché dissimulato, tra corrente mosaica e corrente aronnita.

Ben venga questo spirito di onesta ricerca: chiarire che la Torah (testo composito, pur nella sua unità) fu scritta da uomini (per lo più appartenenti al clero o profeti) con intenti nobili, ma anche con fini pragmatici ed ideologici, non mina la fede in Dio. Lo stesso discorso vale per l'esegesi dei Vangeli: qualunque sia l'approdo delle discussioni, la dimensione spirituale non è neppure sfiorata. Certo, molti paradigmi interpretativi cambieranno, ma l'esistenza di Dio che, di per sé, non può essere né razionalmente dimostrata né negata, nulla c'entra con le indagini storiche e documentarie. Anzi rinunciare ad usare le proprie capacità intellettuali alla ricerca di possibili verità significa, a mio avviso, non usare, affinché fruttino, gli evangelici talenti.

Si tratta di confrontarsi con ipotesi che cozzano con pregiudizi diffusi: ad esempio, Friedman vede nel Dio degli Ebrei una divinità originata dalla fusione tra Jahweh (YHWH) ed El/Elohim. Egli porta anche alla luce strati di credenze pagane poi inglobati nella fede monoteistica ebraica: si pensi al serpente di bronzo, ai culti sulle alture tra le tribù del Nord. Il biblista rintraccia anche il collegamento con la cultura egizia: i cherubini dell'Arca, nomi egizi come Mosè, Ofni e Fines etc. Non sono le fantasticherie di scrittori esperti in archeomisteri, ma acquisizioni documentate e che emergono da una disamina linguistica, stilistica e strutturale dei testi e dallo studio dei manufatti archeologici.

Intendiamo privare di qualsiasi valore le ricostruzioni storiche? Se non intendiamo applicare metodi rigorosi per investigare l'antichità, potremo poi rivendicare un approccio coraggioso e non allineato, quando si scava nella storia più o meno recente?

Bisogna, però, evitare di commettere anche un altro errore, ossia pensare che, una volta che la storiografia e le altre discipline scientifiche hanno messo a fuoco un soggetto, rimanga solo da accumulare conoscenze su conoscenze e dati su dati, per esaurirlo. Restano, infatti, certi temi preclusi ad un'indagine razionale, come è necessario valicare certi confini per intraprendere studi pionieristici, senza dimenticare che alcuni ambiti sono estranei alle analisi empiriche ed alle dissertazioni logiche.

I significati simbolici ed esoterici della Tradizione (anche quella biblica) si percepiscono - se si percepiscono - con altri sensi.



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