29 giugno, 2011

L’avvento del quinto mondo: spegnere il segnale

Si intitola "L'avvento del quinto mondo" il quarto episodio (uscito nell’ultima decade di giugno) della serie "The secret", l'albo ideato dal disegnatore e sceneggiatore Giuseppe Di Bernardo.

Destinato alle nuove generazioni e non solo, la produzione dell'editrice "Star comics" prova ad aprire una breccia non tanto nel muro di omertà delle versioni ufficiali, quanto nel nostro modo di pensare radicato in una piatta "razionalità", in schemi duali e semplicistici: a ragione, quindi Di Bernardo, nella presentazione del numero 4, si chiede: "In che modo gli esseri del cielo provocheranno la fine della nostra era? E soprattutto, si tratta di esseri extraterrestri o provengono forse da qualche anfratto oscuro del nostro pianeta? [...] Forse, come dicono in molti, le scie chimiche nascondono il segreto per generare improvvisi cambiamenti climatici o forse sono la punta dell'iceberg di un mistero più oscuro e letale".

I soggettisti dell’episodio, Giuseppe Di Bernardo e Francesco Matteuzzi, hanno un sesto senso. Travalicando le frontiere di una ricerca già di frontiera (oltre che pericolosa), centrano il bersaglio, perché interpretano le operazioni chimico-biologiche come la raison d'être del sistema.

Gli autori, accentuando una caratteristica delle storie precedenti, frantumano la trama, per mezzo di flash back e di rimbalzi narrativi. Il disegno secco, angoloso e talora persino rude di Massimiliano Bergamo si abbina ad inquadrature di grande impatto emotivo: primissimi piani, ravvicinate prospettive a volo d’uccello, scene drammaticamente scorciate. Il racconto già dinamico subisce così un ulteriore impulso, mentre sui personaggi e sulle vicende aleggia l’eco di profezie bibliche.

Sono due i concetti su cui si regge la sceneggiatura: il nesso tra “realtà” fisica ed universo invisibile nonché l’idea che un "segnale" possa condizionare le facoltà percettive ed accecare il terzo occhio. Il tema del segnale, che punteggia la letteratura ed il cinema visionari, (è già in Philip K. Dick), è forse più di un tòpos, poiché pare un archetipo che prende forma nell’intuizione del mondo. “The secret”, però, a differenza di altre produzioni, non spiega, non illustra: i miti Hopi su Red Kachina e Blu Kachina sono elusi nella loro valenza premonitrice di cui è solo evocata l’aura apocalittica.

“L’avvento del quinto mondo” si apre a numerose interpretazioni al punto che, approfondendo in modo vertiginoso l’analisi, si potrebbe pensare per un istante che disattivare il segnale significhi spegnere Tutto questo. E’ forse questa l’unica via, se è percorribile, per riparare l’errore. Definitivamente.


APOCALISSI ALIENE: il libro

28 giugno, 2011

Conferme

Qualche giorno addietro, mi sono recato in libreria dove ho scoperto che ora, per invogliare i lettori all’acquisto, hanno escogitato un nuovo espediente: si stampano degli opuscoli che contengono il primo capitolo di due romanzi. Se si vuole poi sapere come le storie continuano e vanno a finire, si deve acquistare l’opera. Credo che l’esca funzionerà: che cosa cerca oggi il pubblico medio, se non di trascorrere qualche ora spensierata, seguendo le avventure di un eroe?

Si può veramente definire industria dell’intrattenimento e non so se sia più vuoto l’intrattenimento della discoteca offerto ad una generazione di perditempo o quello ammannito dall’editoria commerciale. Importante è inebetire la gente già ebete di suo, in più si raggranellano dei sonanti quattrini, il che non guasta. Si crea un circolo vizioso: da un lato si produce della paccottiglia cui i lettori si abituano, dall’altro i fruitori esigono libri sempre più dozzinali, scritti in modo scandalosamente misero, in "stile" Attivissimo. Il linguaggio, sempre più depauperato, non si presta ad un’interpretazione critica della realtà: è la neo-lingua orwelliana. Questo modus scribendi esibisce una visione piatta, dozzinale e falsa del mondo.

Il discorso si può estendere ad altri campi: il cinema, la televisione, la stampa etc. La “qualità” scade in modo spaventevole, mentre l’intelletto dei consumatori si atrofizza. Si comprende dunque perché autori ed artisti eccentrici e non organici al sistema non riscuotano alcun successo: si pensi, ad esempio, al narratore svizzero, Friedrich Dürrenmatt. Molti suoi titoli sono spiazzanti: l’’incipit è incongruo, l’epilogo è aperto o inconcludente, l’intreccio deraglia in digressioni innaturali, le descrizioni sono stranianti, i personaggi incompiuti e contraddittori. E’ evidente: è l’esatto contrario di quanto il lettore si attende: una trama avventurosa e ben costruita ed attanti inverosimilmente realistici. Soprattutto un lettore ingenuo cerca nel romanzo la conferma delle sue illusioni: il bene che trionfa sul male, pur dopo mille peripezie, la razionalità e la semplicità della vita. Peccato che l’esistenza sia irragionevole, complessa e che il reale sia antinomico.

Un’umanità infantile viene nutrita con queste chicche: romanzetti rassicuranti, in cui il turbinio delle vicende è simile ad una tempesta in un bicchier d’acqua; serie televisive pacchiane a base di Carabinieri intrepidi, investigatori bonari, sacerdoti simpatici, eroici medici, sdolcinate famiglie piccolo-borghesi... E’ una rappresentazione della società del tutto irrealistica, eppure esperita addirittura come “reale” solo perché costellata di luoghi comuni. E’ l’atteggiamento ingenuo di chi resta incantato di fronte ad una crosta in quanto riproduce, anche se in modo approssimativo, un paesaggio, mentre strabuzza gli occhi e protesta al cospetto di un’opera “astratta” in cui non riesce a cogliere una somiglianza qualsiasi con la natura.

Non si vuole che la persona ragioni, si ponga domande, esplori: bisogna assorbire “verità” preconfezionate, sorbirsi divertimenti massificati. Nella migliore delle ipotesi, si chiede al cittadino di seguire i vaniloqui di Bossi o le grullerie di Bersani, in compagnia di Maurizio Crozza: chi è il comico fra i due?

Chi oggi legge Cioran? Tacciato di astrusità e “pessimismo”, gli si antepongono pensatori come Fromm: con lui troviamo quello che agogniamo, ossia qualche benevolo rimprovero, ma specialmente una refrigerante doccia di concetti come amore, libertà, automiglioramento, coscienza, progresso umano, dignità, speranza, fiducia, amicizia... E’ musica soave per le nostre orecchie; vero è che oggi imperversano filosofastri, quali Galimberti ed Alberoni: la musica è diventata stucchevole e Fromm, rispetto a queste nullità, appare un gigante.

La vita è molto diversa: fatica, malattia, dolore e morte sono il nostro pane quotidiano. L’ultimo libro del guru New age, profeta che promette la felicità, la salute e persino l’ascensione al prezzo di venti euro o poco più, va bene per essere collocato sotto una sedia instabile.


APOCALISSI ALIENE: il libro

25 giugno, 2011

Tutte le sfumature del Grigio (seconda ed ultima parte)

Leggi qui la prima parte.

Suzanne Hansen vive in Nuova Zelanda dove gestisce sia un gruppo di sostegno agli experiencers sia un’associazione di ricerca. Ella è protagonista di alcune interazioni con presunte intelligenze esterne: attraverso sedute di regressione ipnotica, la donna ricordò una connessione anteriore alla sua nascita. Si percepì all’età di otto anni, quando vide una sfera di luce blu che i Grigi le spiegarono sarebbe divenuta suo figlio. Suzanne riferì un altro interessante episodio: un giorno, mentre stava per portare a termine la sua prima gravidanza, fu prelevata e portata a bordo di un’astronave, scortata da due creature. Gli ufonauti le comunicarono che si sarebbe dovuta unire a qualcuno. La puerpera rammentò di essersi sentita infusa di luce, mentre un Grigio chiarì che nel mondo erano migliaia i bambini venuti alla luce nell’ambito di un progetto per propiziare cambiamenti positivi ed il miglioramento della specie umana.

Josh, un experiencer australiano, affermò di aver visitato in astrale un grande vascello in cui incontrò anime ed una grande varietà di esseri gioiosi e saggi in grado di cambiare le loro sembianze, da quelle umane a nastri di luce, con un atto della volizione. Notò che gli occupanti dell’astronave erano composti da bolle effervescenti di energia.

La britannica Helen Sanderson, autrice di un libro di prossima pubblicazione, riferisce il vissuto della figlia Fay. Prima che Fay nascesse, gli extraterrestri separarono l’embrione dal corpo della gestante in diverse occasioni, al fine di eseguire le regolazioni che le avrebbero consentito di vivere sia sulla terra sia sulle navi spaziali. I visitatori riescono a compiere tale operazione, separando l’anima dal soma per mezzo di rotazioni degli strati di Merkavah (anelli) attorno al nostro corpo in direzioni diverse ed a differenti velocità(?). Questo accade in molti casi di rapimento: è prelevata l’anima (o il corpo astrale? n.d.r.) e l’involucro materiale lasciato, ma quando l’anima viene reintrodotta, essa ricorda la sua gestione-estrazione, portandone la memoria sotto forma di contusioni e cicatrici sulla pelle.

Un’altra contattata, Hayley, si avventura nelle seguenti delucidazioni: gli Altri sono impegnati in esperimenti genetici. Il cambiamento avverrà come un’onda che attraverserà la specie Homo sapiens sapiens. Esiste una connessione tra tutto e tutti, tra noi ed il divino.

Mary Rodwell collega queste ed altre relazioni alla teoria dell’universo olografico, evidenziando che alla natura profonda del cosmo soggiace l’interconnessione di ogni fenomeno: siamo quindi tutti anime con ruoli precisi, ma nella stessa danza cosmica. [1]

Senza indugiare nell’analisi delle varie testimonianze (si possono leggere, se si vuole approfondire gli articoli della categoria Ufologia) mi sembra meritevole di qualche glossa l’esperienza di Fay la cui interpretazione dei rapimenti, delle loro modalità e fini, pare un tentativo, per opera di un’astuta intelligenza, di schermare una ben diversa verità. La giustificazione dei segni sul corpo come effetto di uno choc dell’anima è capziosa.

In ogni caso, non si può escludere che sia in atto un'evoluzione della specie umana o di parte di essa, sebbene si resti molto perplessi di fronte a certi resoconti che non sono molto dissimili da quelli di altri rapiti i quali, però, hanno vissuto le abductions in modo traumatico. L’esegesi cambia, ma il substrato sovente combacia. E' vero che, come scrive Nietzsche, “non esistono i fatti, ma le interpretazioni”, tuttavia…

[1] Sul retroterra concettuale del modello in oggetto, si potrà leggere tra breve “La teoria dell’universo olografico: alcune implicazioni filosofiche”.

Fonti:

Mary Rodwell, Gli alieni siamo noi, traduzione di M. Baiata, in X Times n. 31 e 32
Id., Extraterrestri, coscienza umana e dimensioni dell’anima, l’intima connessione, 2011, traduzione di noiegliextraterrestri


APOCALISSI ALIENE: il libro

24 giugno, 2011

Il bene ed il male

“Il bene e il male: che cos’è”(?) è un volume in cui sono raccolti gli interventi di una conferenza tenuta da Pietro Archiati. Il titolo, che esibisce un soggetto tanto vitale, mi ha subito catturato, ma la delusione è stata pari, se non superiore, alla curiosità dei primi istanti.

Archiati si professa discepolo di Rudolf Steiner, di cui riprende, in verità semplificandole e volgarizzandole, alcune idee. Come si nota dal titolo, il tema è tra i più impegnativi, eppure l’autore, sicuramente persona in buona fede e simpatica, lo affronta in modo alquanto superficiale. Nel volume, che punta molto sulla libertà (data come postulato, non dimostrata nonché almeno in parte in contraddizione con la dottrina del karma) e sulla creatività dell’uomo, sulla necessità di emanciparsi dalle regole per costruire un’etica genuina, non manca qualche gemma, ma l’impressione generale è di deprimente piattezza e banalità.

E’ lodevole che Archiati abbia deciso di prendere le distanze dalla chiesa cattolica e dalle sue storte dottrine pseudo-cristiane; la sua critica dello scientismo è motivata e la diagnosi dell’insoddisfazione come assillo dell’uomo contemporaneo è calzante, ma al vino cattivo si sostituisce un vino annacquato.

In fondo, il libro è simile a mille altri testi edificanti: lasciano il tempo che trovano e la realtà non è meno dura, se la descriviamo con belle parole. Si sfiora poi il ridicolo, quando, nel goffo tentativo di giustificare il male ed il karma, si comincia un astruso computo di anime incarnatesi o disincarnatesi che sembra una specie di riffa: “il calcolo dei dadi più non torna”. Al limite tutti questi numeri vanno bene per giocarseli al lotto.

Rispetto alle pagine scritte dal venerato maestro che ebbe un’acuta e lungimirante visione delle Tenebre, concepite come una realtà oscura e maleficentissima, si resta disarmati di fronte a così dozzinali spiegazioni ed inviti deamicisiani al “volemose bene”. Le sofferenze inaudite di un’umanità straziata nel corpo e nell’animo, di una natura torturata sono anestetizzate con quattro scialbi predicozzi da prete di campagna.

E’ inutile diffondersi oltre su un libercolo che, nonostante le buone intenzioni dell’autore, è poco più di un catechismo steineriano. Di fronte al male, come abbiamo più volte scritto, o si dimostra caratura intellettuale per gettare un barlume sull’interrogativo per antonomasia o è meglio tacere, poiché se la teodicea è di per sé audace, una teodicea così sciocca è addirittura sacrilega.

Che cos’è il male? Archiati si cimenta in questo compito improbo, in una “impossibile mission”, ma la missione è fallita!

Ringrazio M.B., che credo concorderà con questo mio giudizio del tutto scevro di acrimonia, per la segnalazione.

APOCALISSI ALIENE: il libro

22 giugno, 2011

Sei giorni sulla Terra

“Sei giorni sulla Terra” è la nuova pellicola di Varo Venturi. Il dottor Davide Piso è un professore universitario che si occupa di rapimenti. Isolato all’interno dell’ambiente accademico, Davide incontra persone possedute da extraterrestri che, sotto ipnosi, svelano la presenza di un parassita. Un giorno una giovane dai capelli rossi, la fascinosa Saturnia (la brava Laura Glavan), chiede all’ordinario di indagare sull’entità che si è intrusa in lei.

Piso così viene a conoscenza di una realtà inesplorata: la sua scoperta lo porta in rotta di collisione con l’aristocrazia nera nonché con la “cupola” di esseri provenienti da lontani pianeti e da conturbanti dimensioni.

Il regista, noto per l’atipico “Nazareno”, interpreta in modo persuasivo il protagonista, avvalendosi della fotografia gotica di Daniele Baldacci, ma non riesce a drammatizzare le tesi malanghiane: nel film latitano le emozioni e la suspense, mentre gli stessi luoghi in cui sono ambientare le scene clou sono illustrati freddamente.[1]

L’opera, più che una trasposizione in chiave cinematografica delle vicende legate ai rapimenti alieni, è una didascalica esposizione di quanto Corrado Malanga ha in questi anni elaborato. Vero è che il lungometraggio non appartiene al sottogenere fantascientifico, a differenza di quanto ha concluso qualche critico corrivo, ma il gusto del racconto è azzerato dall’esigenza di dichiarare le concezioni dell’ufologo di Pisa.

Non sono pochi i limiti della produzione: scansione rigida e sequenziale degli eventi nei sei giorni cui si riferisce il titolo, recitazione meccanica di molti attori, sceneggiatura piatta, intreccio che, nonostante l’originalità del retroterra ideologico (gli alieni cattivi che tentano di ghermire l’anima per accedere alla sfera divina), ricorda troppo da vicino cose già viste.

L’espediente narrativo (?) del 666, interpretato come frequenza che imprigiona l’umanità in una matrice – ma pare che in origine il numero della Bestia fosse il 616 – evoca l'originale trovata di “Essi vivono”. I rapiti che, quando sotto ipnosi, gracchiano i minacciosi messaggi dell'extraterrestre, ci paiono una ripresa involontariamente comica del celebre “L’esorcista”. Si obietterà, affermando che le idee xenologiche di Malanga sono imparentate con la demonologia, ma appunto ricalcarle in modo pedissequo non giova alla narrazione. Quello che più lascia perplessi è, però, il messaggio: inespressivo e quadrato come un codice a barre, con la risoluzione affidata ad un ambiguo Gesuita

Invano la regia cerca di sopperire, ad esempio con i frenetici movimenti di macchina, ad un racconto statico. Il risultato è un film che non avvince, ma che neppure convince. Compresso in poco tempo l’universo demiurgico ed oscuro di Malanga, lo si rende, nonostante il costante richiamo ad Anima, ancora più aritmetico ed antropocentrico. D’altronde Anima è solo una forma particolare di energia: se non è traducibile in numeri, poco ci manca.

“Questa non è ufologia”, protesta qualcuno, ancorato, a ragione o a torto, alla ricerca classica. “Questo non è cinema”, si potrebbe chiosare. Soprattutto dispiace che un film imperniato su Anima, ne sia del tutto privo.

[1] La presente recensione non è una disamina degli studi compiuti da Malanga sulle interferenze aliene, studi di cui alcune conclusioni sono interessanti.

Leggi qui la recensione di Lavinia Pallotta e qui la presentazione di Giuseppe Di Bernardo.


APOCALISSI ALIENE: il libro

20 giugno, 2011

Segnati

In un recente articolo, “Saper leggere i ‘segni’ vuol dire essere desti e consapevoli”, 2011, il Professor Francesco Lamendola si chiede per quale motivo l’uomo, soprattutto quello odierno, non sappia cogliere gli indizi di cambiamenti decisivi. Chi sa cerca di non pensarci e chi non sa vive tranquillo... per ora. Come se non bastasse la schiacciasassi del presente, ci mancava il macigno del futuro, masso che sta pericolosamente in bilico sullo scrimolo. Così fingiamo spesso di non capire e di non vedere. Lasciamo i segni nel solaio delle coincidenze. Sia quel che sia. Forse è un errore, ma anche i più accorti possono essere colti di sorpresa, specie se gli eventi sono imponderabili ed epocali. Salvarsi la pellaccia e dopo?

Qualcuno, dopo aver ottenuto un paio di risultati, crede che si possa cambiare il corso della storia umana. Forse la condanna è stata procrastinata. Ormai non si sopravvive neppure: si vivacchia. Qualcuno attende la grande trasmutazione cosmica, l’ascensione additata dai profeti della nuova età: è possibile che davvero il tempo in cui bivacchiamo stia per essere rigenerato, che il cosmo stesso stia per subire una palingenesi energetica. Qualche segnale lo lascerebbe supporre, ma da qui ad averne la certezza, ce ne passa.

Altri addita la punizione futura per un’umanità di peccatori. Ai flagelli consueti (carestie, pestilenze, terremoti…), i vati alla Savonarola aggiungono altri velenosi ingredienti: una tirannide planetaria ed un bel microprocessore sottocutaneo. Gli uomini diverranno automi e, invece dell’Inferno, dopo la fine, li attenderà la discarica dei rottamatori..

Intanto i giorni si consumano in un’attesa spasmodica in cui la speranza si mischia allo sgomento, come di chi è ormai sul punto di toccare la vetta: dinnanzi a sé si staglia la meta tanto agognata, ma, non appena si guarda indietro, vede l’abisso spaventoso. Un passo falso e…

A che ora è la fine del mondo? Fine del mondo? No, fine di questo folle girotondo, di questa altalena tra dolore e disgusto, della giostra grottesca che ruota attorno ad un perno arrugginito, sempre più cigolante. Ci domandiamo se troveremo un centro, un ubi consistam, una condizione grazie alla quale tutti gli errori e gli orrori possano essere riscattati.

Siamo frastornati da troppe situazioni contraddittorie, da forze eguali ed opposte che ci paralizzano nel fatalismo, ora fiducioso ora disperato. Non sappiamo nulla perché conosciamo troppo: abbiamo accumulato dati e notizie, ma che assomigliano alle foglie secche dell’apologo narrato da fra Galdino nei “Promessi sposi”.

Siamo segnati e rassegnati, persi in sogni larvali o attanagliati da una disperazione cinica, fredda. Siamo avvezzi a tutto: l’orrore è catodico, il sangue è acrilico, la miseria colpisce gli altri. Ci arrabattiamo, mentre proviamo a schivare i colpi di un destino – anche il fato si è imbastardito – che colpisce alla cieca.

Nei rari momenti di saggezza, ci ripetiamo una frase di Seneca: “Fortuna opes potest auferre, non animun”, “La sorte può portarci via i beni materiali, non la coscienza”. Sapessimo solo che cos’è la coscienza in questa società incosciente ed insipiente. Sapessimo che cos’è la coscienza, ora che scialiamo e scialacquiamo le ultime monete di consapevolezza. Siamo fagocitati dal materialismo ed il residuo barlume dell’anima è poco più di un fuoco fatuo. Egoisti ed impreparati, crediamo di evitare la morte ed il verdetto, ignorandoli.

Siamo sinceri: saremo fortunati, se morremo, senza aver troppo sofferto.


APOCALISSI ALIENE: il libro

18 giugno, 2011

Tutte le sfumature del Grigio (prima parte)

Qui non esiste il tempo: è come se le ere fossero cucite ed essi potessero attraversarle. (John)

Mary Rodwell è autrice di “Awakening: how extraterrestrial contact can transform your life", 2005. L’autrice, dopo aver esaminato circa novecento casi di abduction, conclude che i rapimenti, dipinti quasi sempre come esperienze traumatiche, sono, invece, spesso situazioni emozionanti preannunciatici di un risveglio spirituale.

La questione è molto spinosa: è necessario muoversi con i piedi di piombo su questo terreno; non si può né indulgere alla credulità né chiudersi in rigidi preconcetti. Ognuno, dopo aver analizzato il soggetto, si formerà il suo giudizio.

La ricerca della Rodwell merita attenzione, perché, accantonata la diatriba tra propugnatori dell’ipotesi monopolare e coloro che interpretano in maniera positiva (edulcorata?) la fenomenologia aliena, vi si possono individuare degli indizi preziosi e persino degli inattesi punti di collegamento tra le due concezioni.

Bisogna precisare che, come nel caso di un famoso ufologo italiano, i vissuti dei rapiti - la ricercatrice australiana preferisce chiamarli “experiencers”- sono esplorati per lo più tramite l’ipnosi regressiva, con tutti i limiti impliciti in tale prassi.[1]

Vediamo alcune interessanti testimonianze.

Un ragazzo britannico di quindici anni, John (pseudonimo) nel 2008, in regressione ipnotica, raccontò di aver incontrato i Grigi, insieme con alcuni parenti deceduti che descrisse come “globi di luce”. Le anime erano lì per sostenerlo ed aiutarlo a vincere la paura. John rammentò di essere in automobile con la madre verso le 5 e 30 del mattino, quando, mentre era intento a guardare dal finestrino i comignoli, le case ed i campi, vide due Grigi in mezzo alla strada: erano alti circa 90 centimetri. La loro pelle era liscia come quella dei delfini. Le creature sorridevano in modo amichevole. Poi l’adolescente si trovò in un’astronave da cui poteva contemplare le colline ed i villaggi della campagna inglese. Mentre il vascello spaziale si dirigeva verso Orione, gli ufonauti portarono il ragazzo in un luogo devastato, orribile, ammonendo l’ospite che glielo mostravano affinché l’umanità evitasse una fine analoga.

Fin qui nil novi sub sole. E’l’incontro ravvicinato con gli Altri dagli ingredienti più o meno tipici: viaggio in auto in un’ora antelucana, l’arrivo dei Grigi, la trasvolata nella nave spaziale, la visione di un calamitoso scenario futuro, presumibilmente olografico. Ecco, però, inopinato spuntare qualche altro ragguaglio: John riferì che i Grigi lo volevano rassicurare poiché esseri “robotici”, a bordo di un velivolo triangolare, indagavano su di lui. Questi automi, simili all’extraterrestre effigiato nella Crabwood farm house presso Sparsholt (Wiltshire), erano “le nuove anime”. Spiegò John: “Non provano emozioni e cercano di prenderti per condividere la tua esperienza… hanno un’energia oscura, perché sono appena agli inizi. Sono vuoti. Non hanno il permesso di spaventarti e neppure di venirti vicino”.

La Rodwell considera le informazioni ottenute da John stupefacenti per un quindicenne: ella si sofferma sul riferimento alle incarnazioni umane, alle anime di nuova formazione, sull’importanza di alcuni uomini che hanno un compito da adempiere in vista del cambiamento previsto per il 2012, sull’intersezione tra contatti con i visitatori e con i defunti, sotto forma di globi luminosi. La scrittrice reputa che gli orbs potrebbero essere intelligenze interdimensionali.[2]

Tra i molteplici aspetti del caso, uno trova molti addentellati all’interno dei vari filoni d’inchiesta ufologici: la citazione di androidi che agiscono contro l’umanità. Già negli ormai lontani anni 50 del XX secolo, i protagonisti di “Amicizia” accennavano ai Weiros, alieni-macchine “adoratori della scienza”, antagonisti degli evoluti Akrij. Né si può dimenticare che il colonnello Philip Corso riportò che le entità extraterrestri di Roswell erano degli individui bionici. Anche Nigel Kerner, tra gli altri, vede nei Grigi dei visitatori bioelettronici.

Dunque chi ha ragione? Siamo in presenza di varie specie di Greys o assistiamo alle metamorfosi di un’unica Intelligenza dai fini oscuri ed indecifrabili?

[1] Occorre puntualizzare che, negli ultimi tempi, Malanga ha abbandonato il metodo dell’ipnosi regressiva per le sue investigazioni.

[2] A proposito della strana liaison tra manifestazioni ufologiche e fenomeni metapsichici, si legga Viaggi astrali e presunti rapimenti alieni, 2011

Nota: le fonti del presente articolo saranno indicate in calce all’ultima parte.


APOCALISSI ALIENE: il libro

15 giugno, 2011

Window within window

Pareti tinteggiate di un verde deprimente: l’aula è tetra con le sue file eguali di banchi, la lavagna d’ardesia e l’attaccapanni ancora gocciolante una grigia pioggia. La penombra autunnale è appena rischiarata da qualche spruzzo di risa, di quando in quando. Tra equazioni, paradigmi e date da mandare a memoria, un’altra mattina si logora, con il tempo bloccato e lo spazio impietrito in un cubo freddo.

Eppure si apre una finestra: un fuggevole sguardo, quasi furtivo e si spalanca il mondo, si effonde la vita, fluttuano ariosi i sogni. Oltre il vetro, ora che la nuvolaglia si dirada, si espande l’azzurro del cielo (anzi il cielo si intinge nel quadrato in cui sembra dilagare), mentre la fronda di un ippocastano ondeggia accarezzata dal vento. Oltre si intravede una striscia di mare, come un nastro argenteo: laggiù una vela si gonfia e l’orizzonte si liquefà nell’infinito. Fra le nubi, coni di luce ambra. I raggi obliqui sul prato sono spighe dorate. Si spandono profumi di lontananze, si rincorrono struggenti desideri. Il cinguettio dei pettirossi è una fresca rugiada.

Dunque è là la vita, la vita vera, oltre quel rettangolo. La felicità è un oceano screziato di colori e di melodie. Il tempo elargirà munifico i suoi magnifici doni… Come si poteva allora solamente immaginare che lo spazio di là dalla finestra era l’interno di un altro freddo cubo?


APOCALISSI ALIENE: il libro

13 giugno, 2011

Anelli nell'io

"Anelli nell'io Che cosa c'è al (sic) cuore della coscienza" è il recente saggio di Douglas Hofstadter. L'autore, noto per il ponderoso "Gödel, Escher, Bach: un'eterna ghirlanda brillante" nella nuova fatica "ci offre la summa dei suoi studi, una riflessione sui temi ed i quesiti centrali della filosofia e della spiritualità, dall'anima alla volontà, dal libero arbitrio alla coscienza".

Come si può intuire, Hofstadter, in questo testo più brillante che profondo, mette molta carne al fuoco, tentando di sondare l'enigma dell'identità umana. Hofstadter trae spunto da alcune conclusioni del logico e matematico Gödel per una variegata e spumeggiante indagine, costellata di titoli-calembour, di ingegnose metafore, di giochi linguistici e narrativi, di cerebrali elucubrazioni. Le risposte sull'anima (seità), in un libro tanto pirotecnico sono simili a fuochi d'artificio, scintillanti ma effimeri.

Certamente il saggio è da apprezzare per la crucialità dei temi affrontati: la frattura tra macrocosmo e microcosmo, l'essenza dell'io, la relazione tra cervello e consapevolezza, il rapporto tra sistemi simbolici ed io, la circolarità dell'esperienza umana, l'inconciliabilità di monismo e dualismo. Tuttavia non mi pare che Hofstadter, la cui formazione scientifica è un'ipoteca benché, nella fattispecie, leggera, approdi a lidi molto diversi da quelli cui erano arrivati altri filosofi prima di lui. Per H. L'identità è "un'allucinazione allucinata di un'allucinazione", un po' come per Hume l'anima che il pensatore scozzese reputava un'illusione condensata da mere abitudini percettive. Per il Nostro l'anima è una specie di banconota priva di per sé di valore intrinseco, un epifenomeno dell'encefalo che misteriosamente affiora dal movimento di particelle, dai segnali sinaptici. Che cosa resta dell'individuo dopo la morte? Niente, tranne un patterns di simboli, strutture concettuali che si trasferiscono da un cervello ad un altro. Questi patterns sono comunque destinati a svanire nel nulla prima o poi, come un software nel momento in cui l'hardware è distrutto.

Da materialista quale è, anche se il suo è un materialismo "debole", aperto a prospettive antropologiche, H. nega che possa esistere una mente staccata dal substrato organico, perché tale assunto genera un dualismo, "carico di arbitrarietà e di illogicità". Stimolante per i dubbi sollevati più che per le controverse tesi che "Anelli nell'io" snocciola, siamo indotti a ripensare "solide" certezze: il fondamento dell'etica e la libera volontà. Veramente ci siamo mai chiesti dove, come e perché il moto delle particelle e gli stati quantistici assurgano non solo a coscienza, ma a coscienza libera? Si è costretti a postulare l'esistenza di Dio, garante della morale, con il risultato di rendere un problema già intricato ancora più caotico. Siamo di fronte ad una totale irriducibilità tra fenomeni del micro-cosmo e gli atti che ingenuamente definiamo "liberi": "esigenze e decisioni sono il risultato di eventi fisici dentro le teste? Come possono essere libere? La volontà è una volontà libera? Possiamo sbizzarrirci a desiderare tutto quello che vogliamo, ma il più delle volte il nostro desiderio verrà frustrato". Deo gratias! Finalmente un autore che, rifuggendo da lenocinii, dimostra il coraggio di uccidere una vacca sacra, il libero arbitrio nonché l'assolutezza della morale.

Un altro idolo da abbattere è la fede nell'io come sostanza: non sappiamo se lo sia e, se pure è un arco di pietra, come scrive H., e non un arcobaleno, non possiamo dimostrarlo. In modo paradossale, la seità tanto fugace e labile, è, però, "la cosa più reale per ciascuno di noi": la microscopica coscienza di sé, amplificata dalla sofferenza, occupa tutto l'universo.

Osserva H. che quasi tutti i neuro-scienziati sono, obtorto collo, dualisti, ossia sono costretti ad ammettere che la mente è ontologicamente diversa dal cervello: egli è in totale disaccordo. Sebbene il dualismo sia irto di difficoltà, è la concezione che può salvare l'anima. Il riduzionismo porta ad un cul de sac: che risuoni in questo vicolo cieco una magnifica fuga di Bach è una ben magra e malinconica consolazione. O forse è meglio così.

[1] Il logico e matematico austriaco, naturalizzato statunitense, aveva dimostrato che nei sistemi formali, ad esempio, nei "Principia mathematica" di Russell e Whitehead, si danno proposizioni non dimostrabili o derivabili nel sistema stesso, pur essendo “vere” (incompletezza dell'aritmetica).


APOCALISSI ALIENE: il libro

11 giugno, 2011

Voltaire e gli Altri

Voltaire, pseudonimo di Francois-Marie Arouet (Parigi, 1694 -1778), il celebre scrittore e filosofo francese, è autore, tra i molti scritti, di una lettera al Conte di San Germano. Tale epistola sarebbe stata donata da un nobile d’oltralpe ad Eugenio Siragusa, il contattista siciliano che il 30 aprile del 1962 incontrò, secondo la sua testimonianza, sul Monte Sona, massiccio dell’Etna, alcuni visitatori non terrestri, ricevendo un messaggio di pace e di amore universale.

Il Conte di San Germano, noto anche come Saint-Germain (1698? – Eckernförde, Schleswig, 27 febbraio 1784) fu avventuriero, alchimista e fascinoso personaggio, ospite alla corte di Francia nel XVIII secolo. Il suo nome è legato a molte leggende circa i suoi mirabili poteri. Nel 1763 conobbe il veneziano Giacomo Casanova.

Si supponeva avesse scoperto l’acqua della giovinezza e la “pietra filosofale” da lui impiegata per fabbricare l’oro ed i gioielli con cui amava adornarsi. Si diceva che avesse più di duemila anni e che fosse l’Ebreo errante o il figlio di una principessa araba o di una salamandra. Per qualche tempo fu in grande favore presso Luigi XV e Madame de Pompadour. Amava ricordare le nozze di Cana dove era stato uno degli ospiti quando Gesù trasformò l’acqua in vino. [1] Morì in Germania, ma i moderni gruppi rosacrociani, che lo dichiarano uno di loro, negano il suo decesso e lo identificano con un adepto immortale”.

Nel carteggio con il conte, Voltaire scrive: “6 giugno 1761. Vi rispondo alla lettera del mese di aprile. [...] La vostra lunga strada nel tempo sarà rischiarata dalla mia amicizia per voi anche nel momento in cui mi confidate i più terribili dei vostri segreti, rivelazioni sulla metà del XX secolo. Le immagini parlanti non avranno potuto conservarsi nel ricordo a causa del tempo. Possano le vostre meravigliose macchine volanti ricondurvi a me. Addio, amico mio. Voltaire, gentiluomo del re”.

A che cosa si riferiva Voltaire, menzionando le “immagini parlanti” e le “macchine volanti”? L’illuminista, tramite il suo corrispondente, era stato reso forse partecipe di alcuni arcani di cui il misterioso conte era depositario? Il valente ufologo messicano, Scott Corrales, considera i racconti su Saint Germain, sul contemporaneo Cagliostro e su altre enigmatiche figure, dall’antichità sino alla nostra epoca, al centro di tradizioni suggestive, collegate a temi di frontiera: le creature di altri mondi, le dimensioni parallele, i viaggi nel tempo, la ricerca dell’immortalità, la presenza di confraternite esoteriche dagli scopi indecifrabili...

E’ plausibile che il conte non fosse un impostore, ma un iniziato in grado di squarciare il velo del tempo e dello spazio, per gettare uno sguardo sul futuro? Troppo facilmente bolliamo come imbroglioni personaggi che, forse mescolando le carte per evitare di esporsi e di bruciarsi, erano, invece, degli uomini(?) le cui conoscenze travalicavano gli angusti confini del sapere ordinario. Con la loro condotta sfuggente e contraddittoria, vollero custodire delle cognizioni occulte per tramandarle ad eletti o rivelarle solo in modo parziale ed indiretto, poiché certi segreti sono come i fulmini: sono sfolgoranti, ma possono incenerire.


[1] Preciso che, sulla base di recenti studi, il Messia non tramutò, in occasione dello sposalizio di Cana, l’acqua in vino, ma viceversa. Ciò ha veramente senso, ricordando il milieu in cui probabilmente sbocciò il Cristianesimo.


Fonti:

R. Cavendish, Storia della magia dalle origini ai nostri giorni, Milano, 1985, p. 174. L’autore è uno scettico che irride tutte le conoscenze e le pratiche esoteriche, relegandole nel novero delle superstizioni e della ciarlataneria. Nondimeno il suo saggio è ricco di informazioni.
S. Corrales, Vicini invisibili, 2010, traduzione a cura di Zret
Il caso “Amicizia”, documentario video
R. Malini, U.F.O., il dizionario enciclopedico, Firenze, Milano, 2003, s.v. Siragusa Eugenio


APOCALISSI ALIENE: il libro

09 giugno, 2011

Il lago

“Il lago” è un introspettivo racconto di Ray Bradbury. Un bambino trascorre l’infanzia in una località, Lake Bluff, sulle sponde del lago Michigan: l’evento destinato a segnare il protagonista per tutta la vita è l’annegamento di una sua coetanea ed amica, Tally. E’ una strana morte, poiché la bimba, bionda e delicata, affoga, immergendosi a poco a poco nell’acqua quasi per immolarsi, con il bagnino che invano tenta di convincere Tally a venir fuori. Il corpo non viene più ritrovato. Gli anni passano: il protagonista si laurea e si sposa con Margaret, una solare californiana. Un giorno l’uomo torna nei luoghi della sua puerizia, attratto dalla voce del passato: scorge un bagnino che, avvicinandosi alla riva, porta un sacco grigio con dentro il corpo di una bambina. E’ Tally, offertasi allo spirito del lago in un gesto oblativo. Dove il bagnino ha trovato la salma, il protagonista vede un castello di sabbia costruito a metà, proprio come li modellava con Tally. Vicino al castello si allungano piccole orme che vengono dall'acqua e là spariscono.

La novella è un intreccio tra mondo “reale” ed una dimensione misteriosa dell’universo: ponte tra i due piani è l’infanzia, età magica ed incantata che svela all’animo l’inquietante enigma dell’esistenza. Lungi dall’essere un’età dell’oro, per Bradbury è una porta sul destino, un luogo pervaso di turbamenti ed inquietudini dove aleggiano silenziosi interrogativi: “L’unico modo che un bambino ha per essere solo è nella mente”.

E’ come se gli occhi interiori percepissero i fili invisibili che intrecciano passato, presente e futuro, gli slanci del cuore e l’arazzo indecifrabile della sorte. L’autore, in bellissime ed intense sequenze, trasfigura gli ambienti in cui sono collocati gli avvenimenti, spesso velandoli di una pensosa malinconia: “Ritagliarono il cielo a mia misura e lo gettarono sul lago Michigan… Guardai le onde che salivano sulla spiaggia e si ritraevano…. Tutti i baracchini degli 'hot dogs' erano stati chiusi con assi di legno dorato che sigillavano dentro l’odore di senape, cipolle e carne della lunga estate gioiosa. Era come rinchiudere l’estate in una serie di bare. … I treni hanno memoria corta: presto si lasciano tutto alle spalle. Dimenticano i campi di granoturco dell’Illinois, i fiumi dell’infanzia, i ponti, i laghi, le vallate, le casette, i dolori, le gioie, li sparpagliano dietro di sé e loro si appiattiscono nell’orizzonte”.

Lo spazio si polarizza nell’antitesi tra la brumosa, intimista Nuova Inghilterra e la finta West Coast: è una distanza che è un solco incolmabile.

Le stagioni si susseguono fino a quando, tramontata l’adolescenza, i giorni si schiacciano nella routine e nell’inautenticità: estranei a sé stessi ed agli altri, ci si può solo ripiegare nostalgici su un tempo perduto per sempre, eppure perennemente vivo, perché cristallizzato nella morte: “Pensai: la gente cresce. Io sono cresciuto, ma ella non è cambiata. E’ ancora piccola, ancora giovane. La morte non permette di cambiare. Ha ancora i capelli d’oro. Sarà giovane per sempre ed io l’amerò per sempre, oh Dio, l’amerò per sempre”.

L’istante di senso è nella fedeltà all’unico amore vero, quello non ancora neppure sfiorato dalla consapevolezza della vanità di tutte le cose.


APOCALISSI ALIENE: il libro

In edicola il n. 32 di X Times

E' in edicola il n. 32 di "X Times", la rivista diretta da Lavinia Pallotta e Pino Morelli. Tra i vari contributi, segnalo il dossier sul celebre caso Schirmer, a firma di Umberto Visani, l'articolo di Scott Corrales dedicato alle dimensioni parallele ed un altro quadro di Federico Bellini con cui è dipinto il "bestiario" alieno.

APOCALISSI ALIENE: il libro

07 giugno, 2011

Sapienza

L'erudito parla, il sapiente preferisce tacere.

La sapienza non è conoscenza. L’etimologia è istruttiva: sapienza (latino sapientia) provenendo dal verbo “sapere”, che vale assaporare, è essere in grado di gustare la verità, di sentirla dentro di sé, di afferrare il senso. Non è una verità intellettuale, ma il sentimento profondo delle cose, la cui scoperta è affidata ad una balenante intuizione o ad un itinerario lungo e difficile. Si comprende quanto sia lontana dalla sapienza la nostra epoca che è tutta dominata dalle scienze profane, bandite come certezze, poiché radicate nei numeri, nelle analisi spinte sino alla cavillosità e nelle “leggi” di natura.

La sapienza è agli antipodi: che sia simboleggiata dal sale e dal pane, che il termine stesso, così vicino alla sfera spirituale, appartenga al mondo della concretezza sensoriale, il sapore, tutto ciò scava la trincea della distanza rispetto alle cognizioni razionali e quantitative tanto più astratte, cerebrali, quanto più avulse dalla vita.

La sapienza è ignoranza delle cause, poiché le cause si situano nella dimensione fenomenica e nell’illusorietà dei paradigmi scientifici. E’ poi tanto importante apprendere tutti i segreti della materia, quando si comprende il come, ma non il perché?

Sapienza è dunque gustare: ma possiamo spiegare agli altri le inafferrabili qualità di un sapore? Ecco: la sapienza è conquista personale, in gran parte incomunicabile, un patrimonio che non si può dividere né condividere.

La sapienza è imparentata con la saggezza: per questo motivo Orazio, rivolgendosi a Leuconoe, la esorta, in Carm. I, 11: Sapias, vina liques et spatio spem longam reseces. Dum loquimur, fugerit invida aetas: carpe diem, quam minimum credula postero.

"Sii saggia, mesci il vino e riconduci in un breve lasso di tempo la speranza che si protende nel futuro. Mentre parliamo, il tempo sarà fuggito invidioso: cogli il giorno, senza confidare troppo nell’avvenire".

La sapienza è consapevolezza dei limiti umani come dei suoi illimitati orizzonti.


APOCALISSI ALIENE: il libro

05 giugno, 2011

Post mortem

I convincimenti popolari (e non solo) vedono nella morte o la fine di tutto oppure il transito sic et simpliciter verso una vita migliore.

E’ necessario, però, non dare nulla per scontato: sebbene siano del tutto marginali e peregrine, esistono delle linee interpretative secondo cui, dopo il decesso, quel quid dell’individuo che sopravvive può essere catturato da entità predatrici. “Questi esseri della mente comune sono in grado di dirottare e trattenere parzialmente, non proprio rapire, l'entità cosciente dei defunti che hanno da poco abbandonato il corpo fisico, sottrarre parecchia energia ed inserire un falso karma, generalmente più sfavorevole di quello che il defunto avrebbe meritato e poi ne accelerano la rinascita”.

Tale scenario appartenente all’Ufologia eretica è già evocato in alcuni testi gnostici come l’Apocalisse di Giacomo, ove si legge: "Ora, quando Giacomo udì queste cose, si asciugò le lacrime dagli occhi e molto amaro [...] Il Signore disse a lui: 'Giacomo, ecco, ti rivelerò la redenzione. Quando sei afferrato e subisci queste sofferenze, una moltitudine si armerà contro di te per afferrarti. E in particolare tre di loro ti ghermiranno - coloro che siedono come esattori di pedaggio. Non solo chiedono il pedaggio, ma portano via le anime con un furto. Quando si cade in loro potere, uno di loro che è a guardia ti dirà: 'Chi sei tu e da dove vieni?' Gli risponderai: 'Io sono un figlio e sono dal Padre'. Egli ti chiederà: 'Che tipo di figlio sei ed a quale Padre appartieni?' Dirai: 'Vengo dal Padre pre-esistente e sono un figlio pre-esistente".

Tradizioni sapienziali pongono l’accento sull’esigenza di affrontare il passo fatale con un consono addestramento: gli Egizi con “Il libro della via verso la Luce” (vulgo “Libro dei morti”), il buddhismo tibetano (Bon), alcune scuole esoteriche dell’antichità, poi confluite in parte nel variegato oceano della Gnosi, ci ammoniscono circa i rischi in cui incorre l’io di chi è impreparato ad affrontare il viaggio nell’ignoto. Le cosiddette lamine orfiche, sottili placche auree datate tra il V sec. a.C. ed il III d.C. poste ed arrotolate all’interno di tombe ubicate nella Magna Grecia, a Creta e nell’Ellade, sono incise con istruzioni per l’aldilà, destinate a guidare nel suo itinerario oltremondano l’anima (?) dell’iniziato. Le istruzioni sono formule che consentono alla psyché di imboccare la via che la riconduce alla sua dimora originaria, celeste. Nelle lamine orfiche la formula è una vera e propria parola d’ordine che il mystes deve pronunziare in risposta ad una precisa domanda. Il mot de passe è “Sono figlio della terra e del cielo stellato”. L’anima sitibonda deve poi abbeverarsi alla fonte Mnemosyne, ossia la sorgente della memoria, altrimenti, avendo obliato le precedenti incarnazioni, ricadrà nel “doloroso ciclo” delle esistenze. Il ricordo, scrive Alessandro Coscia, “inteso come comprensione del senso più profondo della vita, è salvezza dalla morte e recupero del tempo”. Appartiene alla pristina sapienza il concetto di uno psicopompo, il duce dei trapassati nell’Ade, onde essi non si perdano.

Più che ad un “furto di anime”, come paventato dal sibillino e frammentario libello gnostico e da alcuni ufologi, quale Susan Reed, si potrebbe pensare ad una sottrazione di energia per opera di vampiri psichici. In quel limbo, quella terra di nessuno che separa il mondo ilico dalle sfere ultraterrene, le coscienze potrebbero essere alla mercé di larve bisognose di nutrirsi con le energie dei defunti. È plausibile che queste entità siano in grado di generare visioni paradisiache con prati dal verde smagliante, giardini ameni, cieli tersi e luminosi…? Sono i magnifici paesaggi che i protagonisti delle esperienze di pre-morte ricordano di aver ammirato estasiati, dopo aver di solito percorso un tunnel il cui sbocco era inondato da una luce sfavillante. Codesti luoghi sono il frutto di un elaborato inganno teso ai danni di “anime” poi ghermite per essere incluse in involucri atti ad ospitare memorie “esterne”? Crediamo di no, ma, se così fosse, un’eventuale metensomatosi (meglio che metempsicosi) assumerebbe un significato sinistramente… alieno.

Fonti:

A. Coscia, La fonte sacra di Mnemosyne, 2011, in Fenix n.31
M. Tenan, Primo contatto, 2011
Zret, Ladri di anime, 2011
Id., La strage degli ufologi, 2010



APOCALISSI ALIENE: il libro

03 giugno, 2011

Libera nos a libris

Si avverte talvolta la radicale insensatezza della vita: il segno della sconfitta è in tutte quelle cataste di libri inutili.

Quante volte ci siamo illusi di reperire dei responsi tra quelle pagine! Ammucchiati su una scrivania, allineati tristemente sugli scaffali, intonsi o consunti da frequenti, vane consultazioni, i volumi si coprono di silenzio e di polvere: i fogli ingialliscono, i bordi si sfrangiano, le copertine si sciupano. Quanti testi abbiamo aperto, come fossero stati scrigni preziosi! Dopo poche pagine, li abbiamo abbandonati: i libri assomigliano a quegli amori travolgenti, la cui fiamma si spenge presto, soffocata dall’abitudine e dalla reciproca indifferenza.

Testi sacri e profani, libelli ed incunaboli, la loro bellezza è spesso nei dorsi istoriati, nei sottili segnalibro che pendono a guisa di stelle filanti, nelle sovraccoperte lucide: invano cercheremo nel brulichio delle parole un frammento di verità o un istante di felicità. Saggi senza saggezza, romanzi trasudanti romanticismo a buon mercato. Tutto è già stato detto, scritto, ripetuto, confutato. Una noia infinita, simile ad un oceano immobile, sommerge la nostra anonima esistenza.

La disperazione non è esorcizzata da una storia, la solitudine non è spezzata dai dialoghi, la tristezza non si stempera nel sogno. Libri: promesse non mantenute! Tutto resta come prima: i giorni si attorcigliano, si arrotolano in una matassa di cui non troveremo mai il bandolo, perché siamo stanchi di cercarlo.

Che tristezza le biblioteche dove i volumi formano tetre teorie simili a lapidi di un cimitero cartaceo! Camminiamo lungo quei filari, incuranti, eppure, di quando in quando, distrattamente attratti da un titolo, da un’aletta colorata, da meandri di pensieri impietriti.

Tuttavia, quando giungerà la fine, premio di una logorante attesa, getteremo uno sguardo pieno di rammarico a quel libro negletto, incastrato tra due tomi: forse custodiva una poesia struggente e vera o una frase incantevole. Chissà… sarebbero potute essere la nostra poesia e la nostra frase, la luce viva dell’anima; ma ora è troppo tardi. Scende l’ultima ombra sul mondo: la parola che avrebbe dato senso e spessore alla vita forse non sapremo mai.


APOCALISSI ALIENE: il libro

01 giugno, 2011

Teoria

Nell'attuale società, il disfacimento del linguaggio è al tempo stesso causa e conseguenza del declino generale, comunque ne è uno specchio fedele. Tra i tanti esempi che denunciano una crisi irreversibile del pensiero è l'uso improprio di vocaboli il cui valore è completamente stravolto in una commistione di saccenteria ed ignoranza.

Pensiamo al termine "teoria": la "teoria" è un modello interpretativo della realtà. Purtroppo è invalso di adoperare tale parola come sinonimo di "opinione", "idea", ma siamo in presenza di un uso dozzinale, per lo meno inidoneo, poiché una teoria, essendo una formulazione e sistemazione di principi generali di una scienza o di una sua parte, o di una dottrina filosofica, implica un'esegesi della realtà, una peculiare visione del mondo. Infatti il lessema in questione discende dal verbo greco "theoreo" che vale "guardare", "osservare".

Tralasciamo i problemi spinosi dell'antitesi e talora intersezione tra modelli e "fatti, tra teoria e prassi, dobbiamo ribadire che la prima è una concezione, un tentativo di organizzare dati e fenomeni per includerli in un corpus. E' evidente che tale organizzazione è selettiva, ossia alcuni aspetti della realtà vengono scartati, affinché non minino la coerenza del quadro di riferimento. Inoltre, come ci insegnano Feyerabend e Kuhn, le teorie sono paradigmi, non scevri di declinazioni (e derive) ideologiche, paradigmi che possono essere superati o addirittura negati, attraverso salti che generano discontinuità.

E' chiaro che le teorie sono astrazioni con cui si tenta di razionalizzare la realtà, di estrapolare un disegno da una congerie di elementi disparati ed eterogenei. Non ci si avvalga dunque del termine teoria per indicare un'ipotesi che è, invece, una proposizione, un dato iniziale ammesso provvisoriamente per servire di base ad un ragionamento, ad una dimostrazione, ad una spiegazione e che sarà giustificato dalle conseguenze, dall'esperienza.

Si eviti di riferirsi ad un complesso di fenomeni osservati come ad una teoria: è così del tutto errata la dicitura "teoria delle scie chimiche", poiché le attività chimico-biologiche confluiscono in un contesto empirico, coincidono con un riscontro, avulsi da una visione del mondo, sebbene possano fornire indizi per l’interpretazione di particolari eventi.

Quanto più una teoria è generale e tenta di dar conto di un amplissimo settore dell'universo, tanto più essa è astratta e filosofica, laddove l'empiria è situata agli antipodi delle strutture concettuali. Dunque al vertice dei sistemi teorici troviamo gli impianti deduttivi della matematica, contrapposta alle discipline ancorate alla percezione, all'analisi ed alla classificazione dei fenomeni. In modo opportuno il matematico e pensatore britannico, Alfred North Whitehead (1861-1947), nota che la filosofia prende le mosse dalla complessa e multiforme esperienza della vita per tentarne una generalizzazione teorica, consapevole che ogni teoria è un “azzardo” ed una semplificazione ideale ed inadeguata, bisognosa di continui aggiustamenti.

Si apprezzi l’atteggiamento anti-dogmatico e dinamico della concezione dovuta a Whitehead.

Chi confonde teoria, ipotesi, dottrina, osservazioni, esperienze, pareri... in un unico calderone, non ha compreso alcunché di temi epistemologici e linguistici ed è d'uopo che si dedichi, se ne è capace, ad allevare bufale. Almeno acquisirà dimestichezza con bufale reali e ci risparmierà le sue sgrammaticate elucubrazioni.



APOCALISSI ALIENE: il libro

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