27 luglio, 2013

La legge dell'attrazione (seconda parte)

Leggi qui la prima parte

La “legge dell’attrazione” è un magnete. In parole semplici, il pensiero positivo attrae eventi favorevoli; il pensiero negativo disgrazie. Talora si ha il sentore che sia così, ma è davvero così?

Succede che una serie fausta di accadimenti sia all’improvviso interrotta da una calamità. Più di rado accade che una situazione disperata di botto conosca una risoluzione. Questi repentini cambi sono dipesi da altrettanti mutamenti del pensiero? Per favore, non invochiamo il pensiero inconscio: se è il pensiero inconscio a determinare gli accadimenti, allora codesta “legge” perde ogni valore, in quanto avulsa dall’intenzione e dalla volontà che sono conscie per definizione.

Si può poi continuare a definirla “legge”, quando anche una sola volta essa è smentita? Da un punto di vista epistemologico, no. Semmai potrebbe essere una tendenza, un orientamento in gran parte imponderabile.

Va riconosciuto che in una circostanza la legge in esame funziona. Coloro che scrivono libri sull’argomento e che soprattutto organizzano dispendiosi corsi e seminari sul potere dell’intenzione e compagnia cantando, calamitano verso di sé i metalli... soprattutto l’oro. E’ ovvio che per apprender tecniche efficaci si debbono spendere somme esorbitanti.

Nel Medioevo si soleva ripetere che “gli astri inclinano: non determinano”. E’ solo un patetico stratagemma linguistico. Se ho un piano inclinato, è inevitabile che un oggetto vi scivoli. Più o meno velocemente, secondo il grado dell’inclinazione, ma l’oggetto scivolerà.

Qualcuno obietta, affermando che una catena di accadimenti propizi o infausti si spezza a causa del karma. Che bella obiezione! Molto efficace! Si tenta di sciogliere un nodo concettuale, intrecciando un altro nodo inestricabile. E’ come se si volesse illustrare ad uno studente italiano un complesso teorema in cinese, dopo che non è stato compreso usando la lingua madre.

Altri sostengono che, quando una persona nasce (o rinasce), essa si sceglie un fato che le consentirà di “evolvere”, di “maturare”. Tuttavia davvero può scegliere o qualcuno o qualcosa impone l’opzione? Se rinasce, la scelta è condizionata dal karma, quindi non è libera. Se nasce, essa definisce un tracciato da percorrere di cui, una volta precipitata sulla terra, l’anima non ricorderà alcunché. Da una decisione inconsapevole può scaturire una consapevole azione lungo il proprio cammino?

Non sto disconoscendo l’influsso del pensiero sull’esistenza, ma credo che esso sia confinato nell’interiorità: può aiutare a tollerare la sorte rea, persino a cogliervi un disegno (inventato?). Si può diventare “saggi”, imparando ad attribuire il giusto valore alle cose, ad essere riconoscenti per quanto ci è stato elargito, a collocare l’esperienza umana nei limiti in cui essa è circoscritta. Reputo, invece, che creare il proprio destino con il potere dell’intenzione sia una chimera.

Invano cercheremo nei filosofi classici e moderni, negli artisti una posizione univoca rispetto al problema. Al Suae quisque fortunae faber “Ciascuno è artefice della propria sorte” di Appio claudio Cieco, si oppone il Fata volentes ducunt, nolentes trahunt, “Il destino conduce chi non oppone resistenza, trascina chi si ribella” di Seneca.

Si nota uno sviluppo, pur con alcune “retromarce”: mentre nei pensatori e poeti più antichi prevale il convincimento circa la necessità (emblematico il convincimento di Sofocle), in quelli successivi comincia a delinearsi l’idea del libero arbitrio che culmina con la "condanna ad essere liberi" di Sartre.

Anche il magistero evangelico è lacerato dalla contraddizione. In Matteo 10:30 è scritto: “Quanto a voi, perfino i capelli del vostro capo sono contati”. Luca 12:7 rincalza: “Anzi, perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati”. Questi versetti proclamano una chiara visione per cui la vita umana è decisa ab aeterno. Altri passi evangelici, invece, puntano sulla scelta, quindi sulla libera adesione all’insegnamento del Messia.

Non se ne esce: la Provvidenza e la Grazia sono, alla resa dei conti, inconciliabili con il libero arbitrio. Pertanto o si ricorre ai soliti sofismi ed al triplo salto mortale carpiato di certi teologi che provano a salvare capra e cavoli, oppure si nega in modo reciso uno dei due termini con tutte le conseguenze facilmente immaginabili.

Esiste il destino come zoccolo duro che nulla e nessuno può scalfire? Lo vedremo nella prossima parte, considerando il tema del tempo e la questione della “frattura”.

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2 commenti:

  1. L'aforisma di Appio Claudio Cieco sembra uscito da un film di Hollywood. Tutti conosciamo la becera mentalità 'yankee' che privilegia ed incoraggia la volontà come sommo strumento per la realizzazione di ciò che desideriamo.

    L'aforisma di Seneca dimostra infinitamente più saggezza e riflette quello che potrebbe essere l'insegnamento di un Maestro spirituale. Insomma secondo Seneca non ci si può sottrarre a ciò che sta scritto 'ab initio' per noi.

    Ad ogni modo la legge del karma appartiene all'insegnamento tradizionale e forse su quella bisogna concentrarsi per tentare di capire qualcosa del nostro destino.

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  2. Concetto molto ostico quello di "karma". Potrebbe essere una reminiscenza inconscia, un'impronta di generazioni pregresse, risalente addirittura all'Origine? Quién sabe...

    Ciao

    RispondiElimina

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