Nessun pastore e un solo gregge! Tutti vogliono le stesse cose, tutti sono uguali. (F. Nietzsche)
Tutto è falso. (T.W. Adorno)
La standardizzazione del modo di pensare e di operare assume estensioni nazionali o addirittura continentali. (A. Gramsci)
Le epiche gesta di Silvietta sono sfociate in un'iniqua sentenza. Eppure - sarà un tòpos - non tutti i mali vengono per nuocere: così abbiamo avuto l'opportunità di approfondire un caso antropologico quanto mai istruttivo. Per compiere lo studio, abbiamo, infatti, seguito qualche simposio del C.I.C.A.P. cui è intervenuta la Professoressa Silvia Bencivelli, "giornalista scientifica", di recente riciclatasi come autrice di romanzi d'appendicite.
In primo luogo, con l'aspetto avvenente, quasi angelicato della nostra eroina, stride il linguaggio che ella affetta: è costellato di espressioni che, mentre ambiscono ad essere alla moda, risultano grottesche e sgradevoli. Ci riferiamo specialmente al turpiloquio, esibito per apparire giovanili, sovente incastonato in discorsi pretenziosi e vani. La volgarità gratuita è un oltraggio all’”idioma gentile” (E. De Amicis), oltre che segno di cattivo gusto. Date queste premesse, che la sua zuccherosa fatica pseudo-letteraria sia un abominio è facile concludere. Leggiamo l’incipit della goffa opera, “Le mie amiche streghe”, libro incensato da una coorte di adulatori: "E' podalico. Lorenzo deve nascere tra un mese, ma è podalico e non ha nessuna intenzione di girarsi. Solo che Valeria il cesareo non lo vuole fare. Non vedo alternative, le ho detto. E lei ha scosso la testa". In poche righe una serqua di strafalcioni: il più intollerabile è il solito pleonasmo. La prosa di Paolo Attivissimo, al confronto, è di rara eleganza.
Che cosa pensare poi delle sue pose piene di malcelato sussiego, atteggiamenti di studiata naturalezza, usuali nei negazionisti storici con cui la Bencivelli condivide molti tratti del contegno? Accrescono l’immagine di una donna le cui frustrazioni sono sublimate nello specioso ruolo sociale: dietro si estende il deserto dei sentimenti e degli ideali. E' un ruolo costruito grazie all'alacre collaborazione di cortigiani zelanti ed onnipresenti nel circo della disinformazione: editori, scienziati, registi, attori, gazzettieri, fumettisti, scrittori... il cui folgorante successo è nell'essere dei perfetti falliti... ma con le giuste aderenze.
E' dunque questa l’”umanità”? Quando non è formata da esseri malvagi e perversi, è un brulichio di omuncoli tronfi, di donnicciole imbellettate, gonfie di vuoto come le labbra della Lilli Gruber. Davvero molte persone sono personae, ossia maschere: le loro caratteristiche le omologano in stereotipi che rendono assai agevole classificarle in un’unica categoria, quella della massa acefala. Ci vengono in mente le profetiche parole di Nietzsche che preannunciò l’avvento degli ultimi uomini, individui talmente degeneri da trasformarsi in un cumulo amorfo, omogeneo. Tra gli animali non si rileva altrettanta, deprecabile uniformità.
Tutto è falso. (T.W. Adorno)
La standardizzazione del modo di pensare e di operare assume estensioni nazionali o addirittura continentali. (A. Gramsci)
Le epiche gesta di Silvietta sono sfociate in un'iniqua sentenza. Eppure - sarà un tòpos - non tutti i mali vengono per nuocere: così abbiamo avuto l'opportunità di approfondire un caso antropologico quanto mai istruttivo. Per compiere lo studio, abbiamo, infatti, seguito qualche simposio del C.I.C.A.P. cui è intervenuta la Professoressa Silvia Bencivelli, "giornalista scientifica", di recente riciclatasi come autrice di romanzi d'appendicite.
In primo luogo, con l'aspetto avvenente, quasi angelicato della nostra eroina, stride il linguaggio che ella affetta: è costellato di espressioni che, mentre ambiscono ad essere alla moda, risultano grottesche e sgradevoli. Ci riferiamo specialmente al turpiloquio, esibito per apparire giovanili, sovente incastonato in discorsi pretenziosi e vani. La volgarità gratuita è un oltraggio all’”idioma gentile” (E. De Amicis), oltre che segno di cattivo gusto. Date queste premesse, che la sua zuccherosa fatica pseudo-letteraria sia un abominio è facile concludere. Leggiamo l’incipit della goffa opera, “Le mie amiche streghe”, libro incensato da una coorte di adulatori: "E' podalico. Lorenzo deve nascere tra un mese, ma è podalico e non ha nessuna intenzione di girarsi. Solo che Valeria il cesareo non lo vuole fare. Non vedo alternative, le ho detto. E lei ha scosso la testa". In poche righe una serqua di strafalcioni: il più intollerabile è il solito pleonasmo. La prosa di Paolo Attivissimo, al confronto, è di rara eleganza.
Che cosa pensare poi delle sue pose piene di malcelato sussiego, atteggiamenti di studiata naturalezza, usuali nei negazionisti storici con cui la Bencivelli condivide molti tratti del contegno? Accrescono l’immagine di una donna le cui frustrazioni sono sublimate nello specioso ruolo sociale: dietro si estende il deserto dei sentimenti e degli ideali. E' un ruolo costruito grazie all'alacre collaborazione di cortigiani zelanti ed onnipresenti nel circo della disinformazione: editori, scienziati, registi, attori, gazzettieri, fumettisti, scrittori... il cui folgorante successo è nell'essere dei perfetti falliti... ma con le giuste aderenze.
E' dunque questa l’”umanità”? Quando non è formata da esseri malvagi e perversi, è un brulichio di omuncoli tronfi, di donnicciole imbellettate, gonfie di vuoto come le labbra della Lilli Gruber. Davvero molte persone sono personae, ossia maschere: le loro caratteristiche le omologano in stereotipi che rendono assai agevole classificarle in un’unica categoria, quella della massa acefala. Ci vengono in mente le profetiche parole di Nietzsche che preannunciò l’avvento degli ultimi uomini, individui talmente degeneri da trasformarsi in un cumulo amorfo, omogeneo. Tra gli animali non si rileva altrettanta, deprecabile uniformità.
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