(…) Le interpretazioni relative al veltro dantesco devono essere rapportate anche alla raffigurazioni scultoree del Battistero di Parma. Nello stesso anno in cui nacque Federico II Hohenstaufen, il 1194, un misterioso costruttore di cattedrali affiliato alla corporazione dei Magistri Comacini, Benedetto Antelami, scolpì sul Battistero di Parma il profilo di un cane levriere. È, infatti, con l'immagine di un veltro che termina lo zooforo antelamico, cioè la serie di settantanove figure che circonda l'edificio e che include, tra i vari animali, anche quei tre in cui è destinato ad imbattersi l'Alighieri: la lonza, il leone, la lupa. Dante, com’è noto, si smarrisce nella "selva oscura" oltre un secolo dopo, ma sia le fiere, che ostacolano il suo cammino, sia il veltro preannunciatogli da Virgilio, sono visibili sul Battistero parmigiano.
Se ricordiamo che sovente i soggetti istoriati sulle cattedrali romaniche, ma soprattutto gotiche, hanno una valenza astrologica ed astronomica, non appare del tutto peregrina l’ipotesi secondo la quale le terzine dantesche del canto I, potrebbero adombrare un significato relativo alle costellazioni del firmamento, disegnando una sorta di mappa stellare in versi.
Gli animali descritti dal sommo poeta sono la lonza, il leone, la lupa ed il veltro. Consideriamo alcuni riscontri astronomici. Il Leone e la Lince sono visibili nel cielo di marzo verso sud, ai margini della volta celeste, in direzione est. Procedendo verso ovest, si possono osservare i Gemelli; più vicini all’equatore, splendono il Cane maggiore ed Orione. È evidente qualche simmetria tra il passo della Commedia ed il firmamento: al leone corrisponde l’omonimo segno dello zodiaco; alla lonza la Lince; il veltro si correla al Canis maior che comprende Sirio, un astro molto brillante; la costellazione dei Gemelli è riferibile all’autore stesso, nato sotto questo segno. Del resto a Castore e Polluce, i Dioscuri, allude probabilmente l’espressione “tra feltro e feltro”.
Bisogna ancora identificare la lupa del cielo. Le congetture sono due: la lupa è una costellazione considerata funesta oppure –ipotesi assai più probabile- essa, che incarna i vizi più turpi, non è degna di un habitat stellare, imperversando solo sulla terra; in quest’ultimo caso, la lupa è Roma, la sede di una Chiesa simoniaca, i cui rappresentanti sono avidi e corrotti.
Prendiamo in esame la prima possibilità: Orione, il Gran cacciatore, potrebbe evocare, in una certa misura, un lupo, se è attendibile l’etimologia che fa derivare il suo nome dal greco òros, monte. Il lupo, infatti, è un animale montano. Secondo R. Graves, in Egitto la costellazione fu poco chiaramente identificata con Seth, il dio malefico nemico di Horus, il protettore dei faraoni, anche se gli antichi Egizi videro in questo sistema stellare il dio Osiride, nume della fertilità e signore dei defunti. Resta il fatto che Orione, essendo un gigante, richiama il “gigante che con lei delinque”di Purg. XXXIII, 45. Inoltre Betelgeuse è una supergigante rossa di Orione. Il nome, che deriva dall’arabo, vale “casa del gigante”. Infine il violento eroe era nato, secondo una tradizione, in un otre che era stato sotterrato o, come gli altri giganti, dalla terra: Dante per bocca della sua guida, predice che il veltro riporterà la lupa nell’inferno donde era uscita.
La lupa potrebbe essere correlata con il Lupo, costellazione australe, inclusa già nel catalogo di Tolomeo, situata a sud della Bilancia, in ascensione retta fra lo Scorpione ed il Centauro.
Bisogna riconoscere, però, che tali argomentazioni hanno non pochi punti deboli: in primo luogo, la costellazione della Lince, molto allungata e poco appariscente, fu introdotta solo nel 1690 da Hevelius. È difficile che Dante la conoscesse, eventualmente attraverso un canale esoterico forse arabo; ancora più difficile che gli astronomi antichi e medievali avessero scorto in quel gruppo di astri un felino. I connotati negativi di Orione, benché presenti in qualche fonte, non sono così palesi da giustificare una sua demonizzazione ad opera di Dante, senza dimenticare che il Gran cacciatore non è un animale, ma un eroe di enorme statura. La costellazione del Lupo non appare molto significativa, inoltre è assai distante dalle altre e ciò sembra escluderla da uno schema stellare coerente.
Ci si chiede poi quale valenza astronomica possa avere una tale configurazione: si collega alla precessione degli equinozi o a qualche altro fenomeno? Indica forse delle ere? Singolare, a tale proposito, è la coincidenza tra il mese in cui comincia il viaggio di Dante e quello nel quale si possono ammirare nella volta notturna il Leone e la Lince, ossia marzo. Sirio, invece, lo sfavillante astro del Cane maggiore, si leva a metà luglio. Il cambiamento stagionale dalla primavera all’estate allude per caso, in un certo qual modo in ossequio alle profezie di Gioacchino da Fiore, al transito dall’era del Figlio, nato forse in primavera, all’età dello Spirito, nel cuore della luminosa estate?
La levata eliaca di Sirio, il 19 luglio, segnava per gli antichi Egizi l’inizio delle inondazioni che rendevano fertili le terre attraversate dal Nilo. L’inondazione potrebbe essere la metafora di un rinnovamento oppure potrebbe indicare il tramonto di una costellazione in un preciso periodo dell’anno? In quest’ultimo caso, a quale evento si deve collegare la scomparsa del gruppo di astri?
Stiamo, con questo studio, fornendo degli indizi di una presunta filigrana astrologico-astronomica, all’interno dell’allegoria che comprende le tre fiere ed il veltro: a mio parere, Dante potrebbe aver sceneggiato il dramma, tenendo conto anche di un quadro stellare in cui il Canis maior ed i Gemelli fronteggiano il Leone. Il veltro, salvatore dell’umanità, è il Canis Maior non distante dai Gemelli, che impersonano Dante. Molto ardua è l’identificazione della lupa, forse perché essa, come ho accennato, si aggira sulla terra, in quanto simbolo del mondo infero. A questa creatura ctonia pare contrapporsi la luce di Sirio, la stella più fulgida dell’intero firmamento, in cui gli Egizi vedevano Iside, la dea vergine sposa di Osiride. La devozione nei confronti di Sirio proseguì nel Medioevo sub specie Mariae: S. Bernardo da Chiaravalle, il monaco cistercense che dettò la regola dei Templari, riportò in auge il culto della Maria nascente, l’Iside che sorge, dedicandole le chiese borgognone e le cattedrali gotiche. Il cammino dei pellegrini verso S. Giacomo di Compostela, in Galizia, si iniziava quando sorgeva Sirio, la portatrice di fuoco, la stella del Mattino. D’altronde la preghiera alla Vergine di Par. XXXIII, 1-21, è pronunciata da S. Bernardo ed è da intendersi segretamente come orazione rivolta ad Iside.
La contrapposizione quindi tra Iside-Maria e la lupa è palese. Si considerino le seguenti terzine.
Ed una lupa, che di tutte brame
Sembrava carca ne la sua magrezza
E molte genti fe’ già viver grame,
Questa mi porse tanto di gravezza
Con la paura ch’uscia di sua vista,
Ch’io perdei la speranza de l’altezza…
… venendomi ‘ncontro, a poco a poco,
Mi ripigneva là dove ‘l sol tace.
Mentre ch’i’ rovinava in basso loco…
Il “basso loco” è l’inferno, lato sensu, in antitesi con il “sol”, la luce che s’irradia del Canis maior al quale ben si addicono “sapienza, amore e virtute”, in cui i commentatori vedono pressoché unanimi la Trinità. Trinità? Certamente, ma quella primigenia, la triade egizia formata da Osiride, Iside, cui era sacro il… cane, e Horo. Osiride è il dio che ha potere sovrano ed è creativo (secondo l’etimologia proposta da Osing); Iside è la dea che incarna, in qualità di sorella-moglie-madre, l’amore. Infine Horo, il figlio di Osiride e di Iside, venerato spesso sotto l’aspetto di fanciullo, è la potenza celeste e solare, ossia la virtù.
L’antitesi tra il fulgore di Sirio-Iside ed i tratti malefici e tenebrosi della lupa, fra il Cielo e l’Inferno, sono un aspetto simbolico di grande suggestione, sebbene si debba ammettere che l’esegesi astronomica del passo, allo stadio attuale delle conoscenze, sia più lambiccata che ingegnosa.
Mi sembra, però, indiscutibile la presenza di un elemento stellare: si pensi ai versi di Inf. I, 37-40.
Temp’era dal principio del mattino
E’l sol montava ‘n su con quelle stelle
Ch’eran con lui quando l’amor divino
Mosse di prima quelle cose belle…
Dante ricorda che si era smarrito nella selva verso l’alba, mentre il sole sorgeva nel segno dell’Ariete: secondo una credenza dei poeti pagani poi mutuata dai Padri della Chiesa, il mondo fu creato in primavera, stagione nella quale, stando ad alcune tradizioni dei primi secoli, nacque il Messia e in cui avvenne la redenzione dell’umanità con la morte e resurrezione di Cristo. Non si dimentichi, poi, che ciascuna cantica si conclude con la parola “stelle” anche a sottolineare la valenza simbolico-astrologica del viaggio compiuto dal poeta fiorentino dalla Terra al Cielo, attraverso il regno dei dannati ed il purgatorio. D’altronde, se si prescinde da tale ambito culturale, si rischia una lettura incompleta della Commedia, quantunque gli aspetti astrologici, diffusi specialmente nel Paradiso, situino il capolavoro di Dante in un orizzonte eretico, essendo tale disciplina incompatibile con il cristianesimo paolino, ostile a qualunque forma di magia e di divinazione.
Ancora un’osservazione: il Canis maior, da intendere sia come principio spirituale sia come costellazione, rincorre la lupa sulla Terra per ricondurla nell’Inferno. La lupa, facilmente associabile all’Urbe, come accennavo sopra, non può essere soltanto l’avarizia, ma pure la Chiesa di Roma, sentina, ricettacolo di ogni turpitudine e di laidi lenocini, richiamati dal vocabolo stesso che, come è noto, in latino significa “femmina del lupo”, ma anche “prostituta”. L’opposizione quindi è tra la Vergine del Cielo (Sirio-Sothis) e la meretrice del Mondo.
La mia impressione è la seguente: non solo la tecnica di versificazione della Commedia, come osserva il Fubini, si va perfezionando a mano a mano che l’Alighieri procede dai primi canti a quelli successivi, ma anche il disegno concettuale diviene via via più preciso. Nei versi presi in esame, la figurazione astronomica ed astrologica è solo abbozzata tramite il riferimento al mese di marzo ed al veltro celeste (Canis maior), all’interno di un quadro ancora provvisorio e parziale, quadro che, invece, è completato in modo da assurgere ad un mirabile planetario simbolico all’interno dell’ultima cantica, dove le simmetrie tra corpi celesti e significati sono perfette e trasparenti.
Il Paradiso dunque non è solo la sede dei beati ed emblema della perfezione iniziatica, come giustamente rileva l’acutissimo Guénon, ma pure il duat, il firmamento degli Egizi, in cui il re defunto, secondo le credenze dell’Antico Regno (2700-2195 a.C.), diventava una stella accolta e protetta da Nut, la dea della volta celeste.
Non è certo un caso se il viaggio oltremondano dell’Alighieri termina con la parola “stelle”, che non costituiscono solamente la meta allegorica dell’itinerarium mentis in Deum, ma anche le lettere di un alfabeto astronomico ed astrologico senza dubbio di ardua decifrazione, ma dal cui studio non si può prescindere, se si vuole comprendere il significato di una veneranda ed antichissima tradizione.
Fonti:
A. B., Note sul levare eliaco di Sirio, 1995
Censorino, De die natali, a cura di V. Fontanella, Bologna, 1992
R. Graves, I miti greci, Milano, 1963
R. Guénon, L’esoterismo di Dante, Roma
C. Mutti, Carlo Troya e il veltro allegorico di Dante, 2005
F. Villa, Gli Indoeuropei e le origini dell’Europa, Bologna, 1997
Zret, Il 666 è un numero d’uomo, 2006
Testi di consultazione:
Dizionario illustrato di mitologia classica, a cura di P. Crescini, L. Della Peruta, F. Fava, Milano, 1985
Enciclopedia di astronomia e di cosmologia, a cura di John Gribbin, Milano, 2005
Enciclopedia dell’antichità classica, Milano, 2000
Enciclopedia storica, a cura di M. Salvatori, Bologna, 2001
Grande enciclopedia illustrata dell’antico Egitto, a cura di E. Bresciani, Novara