Con il nome di Paolo Diacono (nome derivato dal suo grado ecclesiastico) ci si riferisce a Paolo Varnefrido (Cividale del Friuli 720 ca. – Montecassino 799), storico e grammatico longobardo. Educato alla corte di Pavia, fu per cinque anni (782-786) maestro di grammatica alla corte di Carlo Magno. Nel 787 si ritirò nell’abbazia di Montecassino. Autore di trattati sulla lingua, lettere, omelie, del poemetto didascalico De specibus praeteriti perfecti e dell’Exspositio super regula sancti Benedicti, è celebre soprattutto per la sua fortunatissima Historia Langobardorum, storia del popolo longobardo dalle origini fino al re Liutprando (morto nel 744).
L’opera di Paolo Diacono in sei libri, composta dopo il 774, considerata una delle più insigni fra i testi storiografici del Medioevo, contiene alcune descrizioni relative a fenomeni celesti anomali che meritano un’attenta analisi, poiché, come vedremo, non sono “semplici” avvistamenti di U.F.O. ante litteram.
Nel libro IV, cap. 15 si legge: Tunc etiam signum sanguineum in caelo apparuisse visum est et quasi hastae sanguineae et lux clarissima per totam noctem. “Allora parve che in cielo fosse apparso un segno sanguigno e come delle aste color sangue ed una luce scintillante per tutta la notte”.
Il segno fu scorto in cielo durante il regno di Agilulfo, sovrano dal 590 al 616. L’autore, nel ricordare un fenomeno tanto straordinario, mostra prudenza, espressa per mezzo della forma verbale “visum est” (parve, sembrò), ma non si perita di insistere sul fulgore irreale che rischiarò le tenebre notturne. La raffigurazione è di ardua esegesi: potrebbe riferirsi ad un aerolite, sennonché il colore rutilante e soprattutto la citazione delle “hastae” fiammeggianti (lance) inducono a vedervi i cosiddetti “sigari volanti”, peculiari dell’ufologia contemporanea.[1]
Nel libro V, cap. 31 lo scrittore annota: Insequenti post tempore mense augusto a parte orientis stella cometis apparuit nimis fulgentibus radiis, quae post semet ipsam reversa disparuit. Nec mora, gravis pestilentia ab eadem parte orientis secuta, Romanum populum devastavit. “In seguito, nel mese di agosto, apparve nella parte orientale del cielo una cometa dai raggi fulgidissimi che successivamente ruotò su sé stessa e sparì. Pochissimo tempo dopo, una grave pestilenza si diffuse da oriente e decimò il popolo romano”.
In questo passo è difficile vedere un fenomeno astronomico: infatti la “cometa” gira intorno al proprio asse, mostrando un movimento non riconducibile ad un meteorite o ad un asteroide. E’ inquietante la concomitanza tra l’avvistamento dell’ordigno nel firmamento e l’epidemia che colpì la città di Roma, allora sede dell’esarca bizantino e del pontefice. Alcuni studiosi hanno individuato un sincronismo tra contagi ed avvistamenti di misteriosi oggetti volanti: l’erudito longobardo ci offre una delle più antiche (e rare) testimonianze di tale coincidenza.
Infine in VI, 9, Paolo Diacono scrive: Hac tempestate noctu stella iuxta Vergilias caelo sereno inter Domini Natalem et Theophaniam apparuit, omnimodo obumbrata, veluti cum luna sub nube est constituta. Post haec, mense februario, die media stella ab occasu exiit, quae cum magno fulgore in partes orientis declinavit. Dehinc mense martio Bebius eructuavit per dies aliquot et omnia virentia circumquaque prae pulvere et cinere illius exterminata sunt. “In quel tempo, di notte, apparve una stella vicino alle Pleiadi, nel cielo sereno, tra il giorno di Natale e l’Epifania. L'astro era velato, come la luna adombrata da una nube. In seguito, nel mese di febbraio, durante il giorno, la stella lasciò l’occidente e con un grande bagliore sparì ad oriente. Quindi, nel mese di marzo, il Vesuvio eruttò per alcuni giorni e tutta la vegetazione sulle falde del monte, a causa della polvere e della cenere lavica, fu incenerita”.
Qui si nota un collegamento tra l’apparizione della “stella” e l’eruzione del Vesuvio: non si può certo ricavarne un nesso di causa ed effetto, ma qualche ricercatore ha comunque constatato che attività sismiche e vulcaniche sono talora precedute o accompagnate da luci nel cielo, sebbene sia arduo stabilire se queste sfere di fuoco siano foriere delle calamità o le causino. Si potrebbe trattare solo di una combinazione. Paolo Diacono evidenzia la relazione cronologica tra fuochi celesti e flagelli, benché non si avventuri in affermazioni per istituire un legame causale.
William Bramley, nel saggio “Gods of Eden”, individua un rapporto tra ordigni volanti e la Morte Nera, la micidiale pestilenza che colpì l’Europa tra il 1346 ed il 1348. Scrive Bramley: “I testimoni dell'epoca accennano a ‘comete’, ma dalle descrizioni si comprende che non erano comete. Le persone riportano di oggetti volanti luminosi ed affermano che gli ordigni rilasciavano gas, da loro definiti foschie che causavano la Morte Nera. Questo fenomeno è descritto in molte città e regioni europee.
L'epidemia cominciò in Cina e colpì duramente l'Europa. Un fenomeno che reputo interessante fu la presenza di ‘men in black’ già in quel secolo. In un certo numero di villaggi e di centri urbani, le persone riferiscono di uomini vestiti di nero che sarebbero apparsi nelle periferie delle città con un lungo strumento che agitavano avanti ed indietro. Dopo queste apparizioni, si manifestavano le piaghe della peste.
I testimoni definivano questi strumenti ’falci’: le falci messorie diventarono simbolicamente l'immagine della morte, ma le persone non asseriscono che esse fossero usate da quei sinistri personaggi per mietere il grano. Perciò penso che essi brandissero degli strumenti per diffondere una nebbia piena di germi”.
L’analisi linguistica dei brani desunti dall’Historia Langobardorum, ci induce a pensare che, almeno nel caso del corpo roteante, il dotto abbia rappresentato un fenomeno straordinario di tipo ufologico, con i termini che avevano a disposizione gli uomini dell’antichità e del Medioevo. Questi vocaboli, tratti dal lessico astronomico di base ("cometa", "stella"…) sono, pur nella loro ambiguità, nel complesso adatti a delineare manifestazioni atmosferiche inconsuete. Come altri scrittori, le cui testimonianze sono studiate nell’ambito della Clipeologia (si pensi a Seneca, Lucano, Petronio, Plinio il Vecchio, Giulio Ossequente, Ammiano Marcellino….), Paolo Diacono si avvale anche del repertorio militare per dipingere forse velivoli extraterrestri: si noti il suo ricorso al termine “hastae” (aste, lance) che ben rende l’idea di un’astronave di forma allungata e tubolare. Gli scrittori classici sopra citati impiegano vocaboli come “clipei”, “scudi” o “trabes”, “travi”, sempre per tratteggiare presunti U.F.O., attingendo ad un inventario linguistico che è quanto mai efficace, nella sua valenza metaforica, per visualizzare quegli oggetti che noi contemporanei, sempre con mezzi figurati, definiamo “dischi”, “piatti”, “sigari” etc.
Ancora, sotto il profilo semantico, occorre soffermarsi sul “nec mora”, "senza indugio", ossia "subito dopo", del secondo excerptum preso in esame: lo storiografo medievale sembra qui voler evidenziare la stretta correlazione tra l’evento celeste e l’epidemia.
Nel terzo brano riportato, è notevole la rappresentazione della “stella” offuscata, come se fosse avvolta da un alone che ne smorza lo splendore. È poi icastica e dinamica l’immagine dell’oggetto radioso che, provenendo dall’occidente, sparisce ad oriente, discendendo (declinavit).
Con poche ma efficaci note, come si è visto, lo storico longobardo evoca anche la possibilità di sinistri influssi alieni.
[1] I sigari sono U.F.O. di forma oblunga simili a cilindri, fusi, siluri. In diversi casi, i sigari volanti presentano fonti di luce sui fianchi della fusoliera, sportelli ed oblò.
Fonti:
Autore non indicato, U.F.O., F.B.I. ed epidemie, 2010
W. Bramley, Gods of Eden, 1993
G. Casale, U.F.O. e terremoti, 2005
Enciclopedia del Medioevo, Milano, 2007, s.v. Paolo Diacono
A. Lissoni, Altri U.F.O., Diegaro di Cesena, 2001, passim
R. Malini, U.F.O. il dizionario enciclopedico, Milano, Firenze, 2003, s.v. sigaro volante
L’opera di Paolo Diacono in sei libri, composta dopo il 774, considerata una delle più insigni fra i testi storiografici del Medioevo, contiene alcune descrizioni relative a fenomeni celesti anomali che meritano un’attenta analisi, poiché, come vedremo, non sono “semplici” avvistamenti di U.F.O. ante litteram.
Nel libro IV, cap. 15 si legge: Tunc etiam signum sanguineum in caelo apparuisse visum est et quasi hastae sanguineae et lux clarissima per totam noctem. “Allora parve che in cielo fosse apparso un segno sanguigno e come delle aste color sangue ed una luce scintillante per tutta la notte”.
Il segno fu scorto in cielo durante il regno di Agilulfo, sovrano dal 590 al 616. L’autore, nel ricordare un fenomeno tanto straordinario, mostra prudenza, espressa per mezzo della forma verbale “visum est” (parve, sembrò), ma non si perita di insistere sul fulgore irreale che rischiarò le tenebre notturne. La raffigurazione è di ardua esegesi: potrebbe riferirsi ad un aerolite, sennonché il colore rutilante e soprattutto la citazione delle “hastae” fiammeggianti (lance) inducono a vedervi i cosiddetti “sigari volanti”, peculiari dell’ufologia contemporanea.[1]
Nel libro V, cap. 31 lo scrittore annota: Insequenti post tempore mense augusto a parte orientis stella cometis apparuit nimis fulgentibus radiis, quae post semet ipsam reversa disparuit. Nec mora, gravis pestilentia ab eadem parte orientis secuta, Romanum populum devastavit. “In seguito, nel mese di agosto, apparve nella parte orientale del cielo una cometa dai raggi fulgidissimi che successivamente ruotò su sé stessa e sparì. Pochissimo tempo dopo, una grave pestilenza si diffuse da oriente e decimò il popolo romano”.
In questo passo è difficile vedere un fenomeno astronomico: infatti la “cometa” gira intorno al proprio asse, mostrando un movimento non riconducibile ad un meteorite o ad un asteroide. E’ inquietante la concomitanza tra l’avvistamento dell’ordigno nel firmamento e l’epidemia che colpì la città di Roma, allora sede dell’esarca bizantino e del pontefice. Alcuni studiosi hanno individuato un sincronismo tra contagi ed avvistamenti di misteriosi oggetti volanti: l’erudito longobardo ci offre una delle più antiche (e rare) testimonianze di tale coincidenza.
Infine in VI, 9, Paolo Diacono scrive: Hac tempestate noctu stella iuxta Vergilias caelo sereno inter Domini Natalem et Theophaniam apparuit, omnimodo obumbrata, veluti cum luna sub nube est constituta. Post haec, mense februario, die media stella ab occasu exiit, quae cum magno fulgore in partes orientis declinavit. Dehinc mense martio Bebius eructuavit per dies aliquot et omnia virentia circumquaque prae pulvere et cinere illius exterminata sunt. “In quel tempo, di notte, apparve una stella vicino alle Pleiadi, nel cielo sereno, tra il giorno di Natale e l’Epifania. L'astro era velato, come la luna adombrata da una nube. In seguito, nel mese di febbraio, durante il giorno, la stella lasciò l’occidente e con un grande bagliore sparì ad oriente. Quindi, nel mese di marzo, il Vesuvio eruttò per alcuni giorni e tutta la vegetazione sulle falde del monte, a causa della polvere e della cenere lavica, fu incenerita”.
Qui si nota un collegamento tra l’apparizione della “stella” e l’eruzione del Vesuvio: non si può certo ricavarne un nesso di causa ed effetto, ma qualche ricercatore ha comunque constatato che attività sismiche e vulcaniche sono talora precedute o accompagnate da luci nel cielo, sebbene sia arduo stabilire se queste sfere di fuoco siano foriere delle calamità o le causino. Si potrebbe trattare solo di una combinazione. Paolo Diacono evidenzia la relazione cronologica tra fuochi celesti e flagelli, benché non si avventuri in affermazioni per istituire un legame causale.
William Bramley, nel saggio “Gods of Eden”, individua un rapporto tra ordigni volanti e la Morte Nera, la micidiale pestilenza che colpì l’Europa tra il 1346 ed il 1348. Scrive Bramley: “I testimoni dell'epoca accennano a ‘comete’, ma dalle descrizioni si comprende che non erano comete. Le persone riportano di oggetti volanti luminosi ed affermano che gli ordigni rilasciavano gas, da loro definiti foschie che causavano la Morte Nera. Questo fenomeno è descritto in molte città e regioni europee.
L'epidemia cominciò in Cina e colpì duramente l'Europa. Un fenomeno che reputo interessante fu la presenza di ‘men in black’ già in quel secolo. In un certo numero di villaggi e di centri urbani, le persone riferiscono di uomini vestiti di nero che sarebbero apparsi nelle periferie delle città con un lungo strumento che agitavano avanti ed indietro. Dopo queste apparizioni, si manifestavano le piaghe della peste.
I testimoni definivano questi strumenti ’falci’: le falci messorie diventarono simbolicamente l'immagine della morte, ma le persone non asseriscono che esse fossero usate da quei sinistri personaggi per mietere il grano. Perciò penso che essi brandissero degli strumenti per diffondere una nebbia piena di germi”.
L’analisi linguistica dei brani desunti dall’Historia Langobardorum, ci induce a pensare che, almeno nel caso del corpo roteante, il dotto abbia rappresentato un fenomeno straordinario di tipo ufologico, con i termini che avevano a disposizione gli uomini dell’antichità e del Medioevo. Questi vocaboli, tratti dal lessico astronomico di base ("cometa", "stella"…) sono, pur nella loro ambiguità, nel complesso adatti a delineare manifestazioni atmosferiche inconsuete. Come altri scrittori, le cui testimonianze sono studiate nell’ambito della Clipeologia (si pensi a Seneca, Lucano, Petronio, Plinio il Vecchio, Giulio Ossequente, Ammiano Marcellino….), Paolo Diacono si avvale anche del repertorio militare per dipingere forse velivoli extraterrestri: si noti il suo ricorso al termine “hastae” (aste, lance) che ben rende l’idea di un’astronave di forma allungata e tubolare. Gli scrittori classici sopra citati impiegano vocaboli come “clipei”, “scudi” o “trabes”, “travi”, sempre per tratteggiare presunti U.F.O., attingendo ad un inventario linguistico che è quanto mai efficace, nella sua valenza metaforica, per visualizzare quegli oggetti che noi contemporanei, sempre con mezzi figurati, definiamo “dischi”, “piatti”, “sigari” etc.
Ancora, sotto il profilo semantico, occorre soffermarsi sul “nec mora”, "senza indugio", ossia "subito dopo", del secondo excerptum preso in esame: lo storiografo medievale sembra qui voler evidenziare la stretta correlazione tra l’evento celeste e l’epidemia.
Nel terzo brano riportato, è notevole la rappresentazione della “stella” offuscata, come se fosse avvolta da un alone che ne smorza lo splendore. È poi icastica e dinamica l’immagine dell’oggetto radioso che, provenendo dall’occidente, sparisce ad oriente, discendendo (declinavit).
Con poche ma efficaci note, come si è visto, lo storico longobardo evoca anche la possibilità di sinistri influssi alieni.
[1] I sigari sono U.F.O. di forma oblunga simili a cilindri, fusi, siluri. In diversi casi, i sigari volanti presentano fonti di luce sui fianchi della fusoliera, sportelli ed oblò.
Fonti:
Autore non indicato, U.F.O., F.B.I. ed epidemie, 2010
W. Bramley, Gods of Eden, 1993
G. Casale, U.F.O. e terremoti, 2005
Enciclopedia del Medioevo, Milano, 2007, s.v. Paolo Diacono
A. Lissoni, Altri U.F.O., Diegaro di Cesena, 2001, passim
R. Malini, U.F.O. il dizionario enciclopedico, Milano, Firenze, 2003, s.v. sigaro volante