30 marzo, 2011

Pirra

Pirra è il nome della figlia di Epimeteo e Pandora. Ella sposò Deucalione, figlio di Prometeo e diventò, attraverso lui, dopo il Diluvio, madre del genere umano. Deucalione e Pirra vivevano in Ftiotide. Dopo l’inondazione, che depose l’arca in cui si erano rifugiati, in cima al Parnaso, il monte sacro alle Muse, entrambi crearono esseri umani, gettando dietro le terga delle pietre. Mentre Pirra creava donne, il consorte creava uomini. Il mito della progenitrice è narrato dai greci Esiodo, Pindaro, Apollodoro, Conone e dall’autore romano Igino. Quest’ultimo riferisce che la coppia aveva trovato rifugio sull’Etna.

Gli studiosi hanno rilevato come i mitografi narrino una storia che, salvo alcune varianti, accomuna molte culture presso le quali si è sedimentato il ricordo di un diluvio universale. Rispetto alle saghe più o meno note sull’antica alluvione (probabilmente si succedettero più diluvi con lo scioglimento dei ghiacci tra il 10.500 a. C ed il 7.000 a.C. circa), il racconto ellenico introduce un particolare che gli eruditi non hanno focalizzato: alludo al nome “Pirra” che vale “rossa”, “fulva”. Collegabile al vocabolo sumerico “adapa” ed all’ebraico “adam”, che contengono, tra le altre, una radice designante il colore rosso, il nome della progenitrice greca sembrerebbe la reminiscenza di una razza rossa, lignaggio su cui tanto si è scritto, senza aver ancora circoscritto i termini del problema. Qui più che all’argilla rossastra o al sangue si dovrebbe pensare ad una stirpe post-atlamtidea o indo-germanica o allotria?

Questo è l’abbrivo…


APOCALISSI ALIENE: il libro



27 marzo, 2011

Labirinto di cristallo

L’inettitudine è dissonanza con il mondo. Impossibile adeguarsi: siamo noi i veri alieni, alieni al pianeta. Stranieri senza patria, apolidi dell’universo, abbiamo incontrato gli dèi, ascoltato i loro austeri silenzi. Gli dèi sono coloro che non ricordano.

Ci orientiamo nel dedalo di cristallo con bussole spaccate il cui ago impazzito smania il limitare dell’oscurità. La fronte sbatte contro pareti invisibili. Siamo estranei a noi stessi, sdoppiati nell’identità, doppiati da una voce non sincronizzata.

Quando il destino, raschiatoio che scortica una cute già spellata, non si accanisce, possiamo contemplare il soffitto della notte crivellato di stelle e lasciarci cullare dal vento di un’elegia.

Incapaci di comprendere il senso e di prendere l’istante infinito, sappiamo che l’unico successo è non succedere a sé stessi, l’unica via da percorrere è quella che scende nel crepuscolo, fra le ombre di una luce immemore.


APOCALISSI ALIENE: il libro


24 marzo, 2011

Plasma (prima parte)

Il plasma è un gas altamente ionizzato costituito da particelle cariche sia positive sia negative, ma globalmente neutro. Le particelle cariche interagiscono tramite i campi elettrostatici prodotti da ciascuna di esse. In natura il plasma si trova negli spazi interstellari, nelle nebulose e negli astri. Questo quarto stato della materia, in cui gli elettroni sono strappati agli atomi, lasciando ioni di carica positiva, forma più del 99 per cento della materia conosciuta, mentre sulla terra la presenza del plasma è rara con l’eccezione dei fulmini, delle aurore boreali e delle fiamme. Le cariche elettriche libere rendono il plasma sia un buon conduttore di elettricità che risponde ai campi elettromagnetici. [1]

In un suggestivo articolo, “Di luce e di tenebra”, pubblicato su "X Times", Federico Bellini aggiunge: “Attorno agli '60 del XX secolo, il premio Nobel per la Fisica, Hannes Afven, teorizzò la cosmologia del plasma. Esperto nel campo della magnetodinamica, Afven sostenne che i campi magnetici hanno avuto ed hanno un ruolo fondamentale nella composizione delle strutture cosmiche. Fu lui a dimostrare che la Via Lattea aveva un campo magnetico che non era la semplice somma di quelli stellari ed ipotizzò che tale campo magnetico galattico fosse dovuto ai moti del plasma interstellare. […] Gli elettroni del plasma sono liberi di spostarsi sotto l’influsso di una tensione applicata o di un campo magnetico, generando con il loro spostamento una corrente elettricA. Questo significa che il plasma ha come proprietà principale quella di trasportare l’energia elettrica, formando filamenti di energia che seguono le linee dei campi magnetici: infatti nel cosmo questi filamenti si trovano ovunque.”

Non è questa la sede per precisare aspetti fisici molto complessi: interessa, però, soffermasi sulla possibilità, come ritiene Bellini, che esistano forme di vita basate sul plasma. Il plasma potrebbe essere un “brodo” in cui nascono e crescono creature senzienti, definite in una frangia ufologica "Lux". [2] I Lux sarebbero delle entità formate della stessa sostanza delle stelle, in grado di muoversi nei meandri del cosmo e di entrare in contatto con gli altri esseri viventi, da cui suggere energia vitale. Dacché i Lux si accorsero che l’energia dell’universo non avrebbe potuto sostentarli per sempre, hanno cominciato a diffondersi nel cosmo per vampirizzare altri esseri, tra cui gli uomini, dotati di un’energia inesauribile, perché di origine divina. [3]

Lo scenario qui descritto ricorda un po’ i Voladores, le creature vampiresche che, stando a don Juan, mentore dell’antropologo Carlos Castaneda, si nutriscono dell’energia umana. Gli sciamani toltechi scoprirono la presenza di esseri oscuri posti direttamente sullo sfondo del campo energetico umano e per questo difficilmente individuabili. I medicine men videro che questi esseri tenebrosi si cibavano dello splendore collegato alla consapevolezza di ogni individuo, riducendone sempre di più la patina radiosa. Le entità tetre sono particolari esseri inorganici, coscienti e molto evoluti e, poiché si muovono saltellando o volando come spaventose ombre vampiresche, furono chiamate Voladores, ovvero quelli che volano.

Ci hanno tolto tutta l’energia, ma ci hanno lasciato proprio quella che ruota intorno all’ego! Proprio facendo leva sul nostro egocentrismo, i Voladores creano fiammate di consapevolezza che poi voracemente consumano. I predatori alimentano l’avidità, il desiderio smodato, la codardia, l’aggressività, l’importanza personale, la violenza, le emozioni forti, tutti gli eccessi, l’autocompiacimento, ma anche l’autocommiserazione. Le fiamme energetiche generate da queste qualità “disarmoniche” sono il loro cibo prediletto. I Voladores non amano, invece, la qualità vibrazionale della coscienza, dell’amore puro, dell’armonia, dell’equilibrio, della pace, della sobrietà…

[1] Il plasma fu identificato da Sir William Crookes nel 1879 e chiamato "plasma" da Irving Langmuir nel 1928.

[2] Il termine Lux, per quanto mi consta, è stato coniato da Corrado Malanga e, sebbene sia il singolare della parola latina che significa “luce”, essendo invalso tale uso, lo adopero anche per il plurale, invece di “Luces”.

[3] Il discorso sul Lux abbraccia anche altri àmbiti, quali la storia delle religioni, l’origine del genere umano, la genetica etc., ma qui circoscrivo l’indagine alla natura delle entità plasmatiche per non introdurre troppi excursus. E’ comunque degna di approfondimento la disamina compiuta da Federico Bellini a proposito della genesi umana. Egli ritiene che l'umanità sia stata creata da una stirpe aliena.



APOCALISSI ALIENE: il libro

20 marzo, 2011

La vela

Le ombre consumano i contorni. La costa è intrisa di silenzio. Una vela scivola lenta dietro l’orizzonte.

19 marzo, 2011

Tracce di Atlantide (prima parte)

Qual è la fonte della Tradizione? Credo che potrebbe essere Atlantide. Sul continente scomparso sono stati scritti centinaia di libri, per tentare di stabilire in primo luogo dove Atlantide fosse ubicata. Pochi autori hanno, però, compreso che l’isola inabissatasi nell’oceano non fu solo una terra, ma un tempo prima del tempo, un’altra umanità. I miti non sono né storielle né sciarade, ma archetipi, messaggi in bottiglie affidate alle correnti di oceani metastorici. Gli stessi abitanti di Atlantide erano probabilmente esseri metacorporei, i cui sensi ed intelletto erano acutissimi.

Quanto del sapere appannaggio degli Atlantidei – alcuni li chiamano Pelasgi – fu trasfuso nelle culture successive che la storiografia ufficiale, a torto, considera le prime a sbocciare sul pianeta? I superstiti portarono con sé conoscenze e tradizioni: molte cognizioni furono di natura tecnica, ma altre furono esoteriche. Ritengo che, con il passare dei secoli e l’avvicendamento dei diluvi, gli eredi dei Pelasgi, inclusi i gruppi da quelli istruiti, cominciarono a perdere per strada alcuni saperi. Platone nel IV secolo scrisse di Atlantide nel "Timeo" e nel "Crizia", ma probabilmente egli apprese e divulgò meno di quanto avesse appreso e divulgato Solone. Solone acquisì e diffuse meno dei sacerdoti egizi che l’avevano indottrinato e via discorrendo.

Dunque i testi antichi sono scrigni di sapienza, ma, poiché il vero sapere si tramanda attraverso l’oralità e per mezzo di scuole esoteriche, è, a mio avviso, errato, pensare che alcuni libri del passato siano in toto iniziatici. Così la Bibbia, accanto a parti storiche (o quasi storiche), cronachistiche, normative, poetiche etc. custodisce concetti simbolici per lo più di origine egizia e sumera: le redazioni successive, la confluenza di diverse fonti, intenti catechetici e persino egemonici della casta sacerdotale ebraica rendono la Torah un testo. Testo è letteralmente un libro intrecciato, dove i contenuti, afferenti a diverse funzioni di Jakobson ed a circostanze eterogenee, si intersecano, creando nodi sovente inestricabili. [1] Ci si imbatte, ad esempio, nel termine Elohim, plurale di Eloha. Ora, tale forma è stata ed è interpretata in modi molteplici, ma è tutto tranne un pluralis maiestatitis che era ignoto agli antichi: in alcuni scrittori latini era un pluralis modestiae: l’esatto contrario! [2] Bisogna prestare attenzione a non affrontare testimonianze del passato con categorie attuali, a non sovrapporvi costruzioni simboliche posteriori. Il rischio è quello di attribuire valori estranei ai testi antichi sino a leggervi tutto ciò che ci si vuole leggere: qualcuno ha addirittura individuato nella Bibbia, tra le numerose profezie, un vaticinio sul 9 11 e sui dirottatori arabi muniti di coltellini, peccato che…

[1] Secondo questa distinzione, l’Iliade, l’Odissea, il Corano etc. sono testi, mentre, ad esempio, la Commedia è un libro, perché scritto da un unico autore e secondo un piano concepito in modo organico, mentre le opere sorte attorno ad un centro originario, cui si agglutinano altri nuclei, uniti da compilatori e da rapsodi, interpolate e modificate nel tempo, sono testi.


[2] Nel grossolano errore di scambiare il "pluralis modestiae" per un "pluralis maiestatis" incorre Fichipedia…



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16 marzo, 2011

Ipotesi su Abramo (seconda ed ultima parte)

Leggi qui la prima parte.

Secondo R. A. Boulay, Abramo fu, invece, oriundo di Ur in Mesopotamia, donde emigrò per recarsi nella località di Harran. L’autore, che considera, come Barbiero, Gen. 14 una fonte storicamente attendibile, afferma che il patriarca non fu un semplice nomade, ma un valoroso condottiero, sacerdote e generale del dio Adad, da identificare con YHWH. Abramo fu legato a Shumer, alla maniera del padre Terah che, come si evince dell’apocrifo intitolato Apocalisse di Abramo, fu un fabbricante di idoli, ossia, per Boulay radio ricetrasmittenti (?).

L’ipotesi di Boulay si situa agli antipodi geografici ed etnici rispetto alla ricostruzione operata da Barbiero: Ur si contrappone ad Urartu (tra Curdistan ed Armenia); Abramo è un sumero per il primo, un indoeuropeo per il ricercatore italiano, il cui merito principale, a mio avviso, consiste nell’aver additato la centralità culturale di una regione, l’Urartu, che non era distante da uno dei siti archeologici più significativi, tra quelli recentemente scoperti, Gobleki Tepe. Con Boulay, pur nella diversità delle congetture, lo studioso condivide la considerazione della Bibbia come fonte storica. Ben diverso è l’approccio di altri biblisti che vi scorgono valori emblematici ed adombramenti esoterici.

Negli ultimi anni, l'orientalista Mario Liverani ha proposto di vedere nel nome Abramo l'eponimo mitico di una tribù palestinese del XIII secolo a.C., quella dei Raham, di cui si è trovata menzione nella stele del faraone Seti I, cippo reperito a Bet-She'an e risalente all'incirca al 1289 a.C.. La tribù abitava probabilmente nella plaga vicina a Bet-She'an, in Galilea (la stele, infatti, racconta di lotte avvenute nella zona). Le tribù semitiche seminomadi e pastorali dell'epoca usavano anteporre al proprio nome il termine banū ("figli di"), per cui si suppone che i Raham chiamassero loro stessi Banu Raham. Inoltre, molti di loro interpretavano i legami di sangue fra i componenti della tribù come una discendenza da un unico progenitore eponimo, anziché come risultato di legami intra-tribali. Il nome di questo mitico antenato eponimo veniva costruito con il prefisso Abū ("padre") seguito dal nome della tribù; nel caso dei Raham, sarebbe stato Abu Raham, poi divenuto Ab-raham, Abramo.

A pur provvisoria conclusione di questo articolo – gli studi sono in itinere in questo campo più che in altri – si potrebbe vedere nel nome Abramo una radice tipicamente sumera da cui deriva, ad esempio, l’etnonimo Habiru, morfema che dovrebbe valere “incrocio”, “intersezione”, “oltrepassamento”.

Pare che la verità su Abramo sia ancora lungi dall’essere conosciuta, ammesso che sia così importante appurarla.

Fonti:

F. Barbiero, La Bibbia senza segreti, Milano, 1988
R. Boulay, Flying serpents and dragon, 1990
A. Mercatante, Dizionario dei miti e delle leggende, Roma, 2001, s.v. Abramo


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13 marzo, 2011

Che forse non s'aprono più?

(Tintinni a invisibili porte/ che forse non s’aprono più?...): sono questi due versi del celebre componimento di Giovanni Pascoli, intitolato “L’assiuolo” e tratto da “Myricae”. Purtroppo l’interpretazione corrente di questi versi, pur non del tutto erronea, è epidermica: si suole ripetere che “le porte che forse non s'aprono più" sono il confine tra la vita e l’aldilà, ad esprimere un’ormai vacillante fede in un’esperienza ultraterrena. Tale esegesi è, però, parziale ed un po’ decentrata. L’autore si interroga su porte che non si possono forse più disserrare: ora è evidente che gli uomini continuano a morire sicché il senso profondo della domanda è differente. Il poeta cerca di comprendere per quale motivo non si riesca più a percepire i regni invisibili, superando il limitare tra la dimensione empirica, in cui è confinata “la nostra povera ragione”, e le sfere di una realtà ulteriore.

Pascoli fu l’ultimo (o uno degli ultimi?) esponente di una linea artistica che fu tracciata in un solco esoterico. Ne ebbe probabilmente una consapevolezza limitata e nebulosa, ma ancora suscettibile di disseminare tracce di un sapere quasi del tutto perduto. Tra questi indizi si può annoverare la coscienza che il mondo non è circoscritto all’”oggettività” fenomenica esperita dai cinque sensi. E’ una coscienza crepuscolare e confusa che si manifesta in dubbi ed interrogazioni, in sospesi silenzi ed in suoni perplessi. Così lo scrittore, pur non accedendo a piani metafisici, non rinuncia a cercare interstizi in cui la nostra angusta dimensione lascia intravedere barlumi di altri livelli. All’interno della suggestiva poesia, l’evocazione dei riti celebrati in onore di Iside, tramite la metonimia dei sistri dai suoni argentei, è la sfocata reminiscenza di orizzonti immateriali.

Veramente oggi siamo ottusi e ciechi: concentriamo la nostra attenzione sulla materia tangibile, ma ci disinteressiamo di ciò che non percepiamo. Addirittura se ne nega, in modo scientista, l’esistenza. Tutti sanno che un’arma da fuoco causa ferite più o meno gravi o persino la morte, ma quali ferite provocano un pensiero malevolo, uno sguardo invidioso, una parola ingiuriosa o iniqua! Sono lesioni invisibili, ma non meno dolorose e traumatiche di quelle che piagano il corpo.

Si afferma che alcuni bambini e sensitivi sono in grado di vedere l’aura: se tutti potessero scorgerla, resterebbero esterrefatti di fronte alle volute di grigi stagnanti che avvolgono molte persone. Ci percepiremmo agglutinati in una gelatina graveolente.

Vice versa, se vedessimo quali riverberi adamantini e quali colori briosi si sprigionano da un abbraccio, da un sorriso o da una frase di sincera solidarietà, se vedessimo la luce profumata che si irradia dall’anima, capiremmo che in una pupilla può nascere un sole.



APOCALISSI ALIENE: il libro

10 marzo, 2011

Testamento

Una conversazione, non un trattato teologico.

Tempo fa, discorrevo con un amico sul motivo che avrebbe spinto Dio a creare o ad emanare questo universo meravigliosamente sciancato. Alla fine ipotizzammo che fu il senso di solitudine. E’ ovvio che tale congettura prescinde da un ragionamento teologico rigoroso, poiché Dio, comprendendo tutto in sé, non dovrebbe essere afflitto dalla solitudine, ma, in fondo, in questa maniera lo si umanizza.

Così immaginiamo che, nel modo in cui uno scrittore costruisce i suoi personaggi per poi muoverli nel bosco della narrazione, così Dio ha creato il cosmo con i suoi abitanti, per sentirsi in compagnia. Come il narratore delinea figure ed inventa intrecci che, un po’ alla volta, prendono vita propria – si pensi al dramma “Sei personaggi in cerca d’autore” - in guisa analoga Dio ha dato vita ad esseri in carne ed ossa per animare uno spazio altrimenti vuoto.

E’ incredibile come una disciplina per molti versi arida e pedantesca, quale la narratologia (qui narrateologia), si riveli ricca di spunti non solo per interpretare testi non imperniati sul racconto, i sogni e la stessa vita, ma pure per bizzarre (forse non tanto) riflessioni sull'Eterno. Dio è una specie di narratore onnisciente: disegna i personaggi, ne sonda l’interiorità e sovente li giudica. Questo tipo di narratore fa e disfa, manipola la dimensione cronotopica, inventa e reinventa… Se non è soddisfatto del manoscritto, lo getta nel fuoco. Evidentemente, Dio, gratificato o no, dagli uomini da lui creati, ha deciso di tenerseli con i loro difetti, moltissimi, ed i loro pregi, pochi, nonostante qualche ripensamento. Forse distruggere il genere umano implica una mutilazione di Dio. Distruggerne per sempre anche uno solo che cosa comporterebbe? Foss’anche un essere infimo, detestabile?

Aristotele scrive che “solo gli animali e gli dei possono vivere in solitudine”: gli dei sì, ma forse ciò non vale per Dio. Certamente gli uomini, se escludiamo gli eremiti ed i saggi, non ci riescono: essi cercano gli altri, si circondano di conoscenti, di amici, dapprincipio per condividere con loro frammenti di vita, poi per tormentarli e tormentarsi in un crescendo che può tramutare l’amicizia e l’amore (ma esisteranno mai l’amicizia e l’amore?) in gelosia, risentimento, discordia. Non si comprende per quale motivo si tenti di rompere il cerchio dell’isolamento, se alla fine ci si accorge che si stava meglio, quando si stava peggio.

“L’inferno sono gli altri”, chiosa gelido, Sartre: gli altri, tante celle infernali in cui si aprono inattesi scorci verso il paradiso, qualche rarissima volta. Viceversa, che cosa ci induce ad amare di un affetto appassionato, sincero e nobilissimo, coloro con cui eravamo entrati tante volte in attrito, quando, però, è ormai tardi, troppo tardi? Siamo un groviglio inestricabile di contraddizioni.

Ci piaccia o no, siamo interdipendenti e stridenti, ma gli studiosi inclini a credere che antichi popoli fossero capaci di vivere in perfetta armonia, probabilmente idealizzano delle società mediterranee definite “gilaniche”. Pare che, come pensano Bachofen ed altri, le culture matriarcali fossero concordi e prospere, poi subentrarono gli Indoeuropei con i loro principi e la loro società tripartita in guerrieri, sacerdoti e lavoratori. La situazione mutò. E’ una ricostruzione di un lontano passato, una delle tante: non so quanto sia plausibile.

Alcuni autori addirittura suppongono che gli uomini migliaia di anni addietro potessero intercomunicare. Chi considera in modo obiettivo la storia, deve solo concludere che, accantonato il falso mito del progresso, l’umanità decadde (in modo improvviso?) da una condizione eccelsa fino a sdrucciolare nell’imbastardimento odierno. E’ uno fra gli insegnamenti della Philosophia perennis, quella che la rende invisa ad evoluzionisti vecchi e nuovi. Evidentemente intervenne un cambiamento ontologico o un errore di trascrizione, quasi in senso genetico, causò, di generazione in generazione, un progressivo deterioramento della specie Homo. Dunque non dovremmo stupirci se il mondo attuale è tanto corrotto ed iniquo, ma restare esterrefatti, quando incontriamo la rettitudine e la nobiltà d’animo. Allo stesso modo un fiore bellissimo può nascere in una discarica mefitica.

Le attuali generazioni sono l’ultimo stadio di un processo degenerativo: se ancora nascono bimbi, non è perché i genitori, tranne qualche eccezione, abbiano in mente un progetto di vita, ma poiché essi obbediscono ad un impulso o per mero conformismo (sposarsi e farsi una famiglia). Che poi alcuni genitori, responsabili-non responsabili, si pentano delle loro decisioni è macigno che ricade sui figli, pronti quasi sempre a ripetere errori tanto biasimati.

Questo istinto è l’estrema degradazione di un’inclinazione a (pro)creare che George Stirner, in un bellissimo saggio, “Grammatiche della creazione”, analizza intrecciando la trama estetica e l’ordito teologico.

Così Dio stesso crea non solo perché solo, ma soprattutto in quanto stimolato da un desiderio di estrinsecazione, il medesimo irrazionale desiderio che spinge l’artista a plasmare, scrivere, dipingere, lo stesso scienziato ad elaborare teorie ed ipotesi, persino l’adolescente a tracciare graffiti sui muri o sui banchi.

Anche quando l’artefice decide di distruggere la sua opera, ne resta qualche traccia, per lo meno, il ricordo. Ecco: questa è la dannazione, il ricordo, come rimpianto, rimorso, rammarico, abitudine a rivangare. Dobbiamo, invece, abituarci a diventare palinsesti, ad abradere il passato che, bello o brutto che sia, è un’ipoteca sul presente. Almeno, in questo modo, il passato, pur continuando ad esistere, non è più visibile. Meglio che niente.

Forse un giorno gli errori cosmici saranno riparati: il male allora non sarà giustificato, ma almeno chiarito e cancellato. La gomma in tasca.




APOCALISSI ALIENE: il libro

09 marzo, 2011

In edicola il n.29 di "X Times" e di "Fenix"

Sono in edicola il n. 29 delle riviste "X Times" e "Fenix". Leggi qui il sommario degli articoli.

APOCALISSI ALIENE: il libro

07 marzo, 2011

Ipotesi su Abramo (prima parte)

Abramo fu il primo dei patriarchi biblici e le vicende della sua vita sono narrate in Genesi dal cap. 11 al cap. 25. Secondo la Bibbia, Abramo, appartenente ad una tribù seminomade, era originario della Mesopotamia, provenendo dalla città di Ur. Sposata la sorellastra Sara, poiché non potè avere figli da lei, che tutti ritenevano sterile, scelse come suo erede il nipote Lot.

Radunati averi, bestiame e famiglia, Abramo, ormai attempato, emigrò verso ovest nella terra di Canaan. Quando ne ottenne stabile possesso, al fine di evitare spiacevoli contese, il patriarca decise di separare la sua gente da quella del nipote Lot, ma, dopo poco tempo, a causa di una prolungata carestia, fu costretto a spostarsi in territorio egizio.

Rientrato in Canaan, Abramo dovette affrontare il problema dinastico: in caso di sterilità della moglie legittima, la legge consentiva che il marito potesse concepire il suo erede con una delle schiave di lei. Il figlio poi, partorito sulle ginocchia della legittima moglie, avrebbe avuto lo status di figlio legittimo ed erede, nel caso non fossero nati altri rampolli. Abramo ebbe, così, da Agar, schiava di Sara, il primogenito Ismaele.

Negli anni successivi, tuttavia, si compì quella promessa divina che era segnata nel nome stesso del patriarca: "La mia alleanza è con te e sarai padre di una moltitudine di popoli. Non ti chiamerai più Abram (uomo di nobile stirpe), ma Abraham (padre di una moltitudine di popoli), perché padre di una moltitudine di popoli ti renderò." (Genesi 17, 4-5) Sara concepì, ormai in tarda età, un figlio, Isacco, destinato ad essere l'erede legittimo di Abramo. Per preservare l'autorità di suo figlio, Sara fece allontanare Agar ed il figlio Ismaele, che divenne il capostipite degli Ismaeliti, gli Arabi. Gli Arabi riconoscono in Abramo, come gli Ebrei, il loro antenato.

Il sacrificio dell'unico figlio Isacco, prova fondamentale per la fede del patriarca, fermato dall'intervento divino, diede origine alla pratica ebraica della circoncisione.

Bisogna rammentare che molti studiosi reputano Abramo sia una figura leggendaria. E’ indubbio che è arduo, se non quasi impossibile, ricostruire periodi storici tanto remoti e per di più inerenti ad un personaggio citato solo nella Bibbia. Nondimeno alcuni eruditi si ostinano a tentare di disseppellire dalle sabbie del tempo lacerti di antiche civiltà.

Così Flavio Barbiero, sulla base di una rilettura del testo biblico e di indizi archeologici ed etnologici, ravvisa in Abramo non un pastore semita, ma un principe di stirpe ariana. Ur dei Caldei non è nella Sumeria, ma coincide con Urartu, ad un dipresso l’attuale Curdistan, inoltre i Caldei sono, secondo Barbiero, da identificare con gli Hurriti, progenitori degli attuali Curdi. Nel XVII sec. a C. gli stati hurriti furono invasi da un popolo indoeuropeo che creò un impero noto come Mitanni.

Scrive lo studioso: “E’ in questa cornice che si inserisce la storia di Abramo. Le città in cui vissero lui ed i suoi parenti erano città del Mitanni. Gli Egizi chiamavano il Mitanni col nome di Naharin e Nahor è anche il nome del fratello maggiore e del nonno di Abramo… Un’antica tradizione vuole che Abramo fosse un pastore nomade, un semplice beduino senz’arte né parte, ma è un’immagine falsa che non trova alcun riscontro nella Bibbia dove tutte le indicazioni concorrono a confermare che si trattava di un personaggio di altissimo rango ed un valente guerriero. Quando lasciò Harran per la Palestina, aveva con sé centinaia di servi e soldati. Abimelek, principe di Gerar, lo trattava da pari a pari. Melchisedek, re di Salem gli portò pane e vino e lo benedisse, per aver sconfitto con i suoi uomini quattro re siriani che avevano devastato la Pentapoli, il nome della moglie-sorella, Sara significa “principessa”.

Barbiero, oltre a raccogliere vari indizi dal Genesi per avvalorare la sua ipotesi, trova riscontri in documenti esterni alla Bibbia da cui arguisce che l’aspetto fisico di Abramo, pur non ritratto nella Torah, sarebbe potuto essere quello di un indoeuropeo, sulla base della descrizione relativa al nipote Esaù, figlio di Isacco e Rebecca. Esaù era rosso tanto da meritarsi il soprannome di Edom, che significa appunto “rosso”. Tra i discendenti del patriarca questi caratteri somatici di tipo giapetico, riaffiorano con il re Saul, alto di statura e con il successore David, dai capelli fulvi.

Barbiero opina che un lignaggio ebraico sia di matrice indo-germanica: Abramo fu uno dei protagonisti di una diaspora ariana che diede origine pure agli Acheo-Dori. Si legge, infatti in 1 Mac. 12:23 quanto scrisse Areo, re di Sparta, al sommo sacerdote Ania: “Areo, re degli Spartani, ad Onia, sommo sacerdote, salute. Si è trovato in una scrittura, riguardante i Lacedemoni ed i Giudei, che essi sono fratelli e discendono dalla stirpe di Abramo.”



APOCALISSI ALIENE: il libro

04 marzo, 2011

Under the skin

Nel Quarto vangelo (Giovanni 12,31) è scritto che “Il diavolo è il Principe di questo mondo” (per essere precisi, nel testo greco è usato il termine “Arconte”). Nella prima Epistola attribuita a Giovanni si legge: “Tutto il mondo giace sotto il potere del Maligno” (5,19).

Il concetto della Terra conculcata dal calcagno del demonio è pure in Matteo 4,8-9 dove il Messia è tentato: “Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: ‘Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai.’

Chi potrebbe negare che la Terra è retta da Arconti sanguinari? Chi potrebbe contestare che gli stati sono le incarnazioni di un potere iniquo e feroce? Le amare prove di codesta condizione non mancano. Dunque nel Nuovo testamento brillano delle profonde verità sull’abominevole natura dei principati terreni.

Purtuttavia, si ha quasi la sensazione che lo strato di questo senso copra un substrato il cui valore è inatteso. Sono elucubrazioni, ma, chissà, la prospettiva dei significati a volte si dilata. Se i dominii che il Seduttore offre a Cristo fossero i regni della natura? Se il mondo schiacciato dal Maligno fosse la dimensione materiale in cui siamo imprigionati, dopo esservi caduti? La materia, albergo della caducità e della dissoluzione, è matrice e matrigna.

Si intravede in filigrana nel Quarto vangelo una ripugnanza per il mondo che non è solo esecrazione dei sordidi poteri politici e sacerdotali, ma pure ribrezzo per la corporeità ed urgenza di liberarsene. Sono nel giusto gli esegeti che estraggono nel Quarto vangelo un originario nocciolo gnostico. Altri libretti dei primi secoli, simili a polle che sgorgano nelle oasi dei deserti medio-orientali, delineano il dissidio tra Spirito e materia. Sono stati bollati come “apocrifi”, ossia spuri per la chiesa vincente, la funesta chiesa nicena.

Forse la sfera in cui esistiamo (ex-sistiamo) è l’ultimo stadio di un’emanazione: vigorosi pensatori gnostici, quali Basilide e Valentino, misuravano l’incommensurabile distanza tra la greve hyle ed il Principio increato.

Sono speculazioni “eretiche” che, attraverso fiumi carsici, riaffiorarono nella dottrina del profeta persiano Mani, dei Bogomili e dei Catari: siamo scintille divine in un corpo in putrefazione. Sono pensieri estremi: eppure chi, per una malattia, si trovi in un soma ridotto a sarcofago (carne che divora la carne), avverte tutto il peso di una materia inerte, sorda. E’ come quando una lucciola è rinchiusa in un bicchiere. Pazza, sbatte invano contro il vetro.

Non sappiamo se, di là da questo universo di sangue e fango, si slarghino realtà dove finalmente la materia è scorporata, addirittura trascesa in uno Spirito che non conosce più né i confini né la decomposizione del mondo ilico (bello quanto si vuole, ma purulento sotto la sua splendida pelle). Credo sia possibile esistano “luoghi” fantastici che neppure la più fervida fantasia può immaginare … o forse oltre si estende solo un nulla infinito e silente.

E’ quello lo Spirito? E’ quella la beatitudine cui anelano il corpo piagato ed il cuore straziato?


APOCALISSI ALIENE: il libro

01 marzo, 2011

Appunti sull'Idealismo di ieri e di oggi (quarta parte)

Leggi qui la terza parte.

L’autore del blog “Coscienza evoluta” ben sintetizza questa interpretazione nell’articolo intitolato “Risvegliarsi come Uno”: “L'esistenza umana, intesa come permanenza nell'universo materiale, ha come scopo l'esperienza. L'esperienza fisica può aver luogo solo in un universo duale ed è il mezzo che porta alla conoscenza; la conoscenza condiziona principalmente l'intelletto, la sua capacità decisionale ed interpretativa, perfezionando le azioni e infine la consapevolezza di sé stessi. Un circolo virtuoso che, attraverso questi passaggi, conduce di riflesso all'espansione della coscienza. In un simile sistema, il punto focale è l'uomo, unico vero strumento di misura di sé stesso, che, grazie al libero arbitrio, conferisce la necessaria "imprevedibilità" al complesso intreccio di esperienze che prende comunemente il nome di "vita". Immaginatevi un mondo in equilibrio totale, dove tutti gli opposti si neutralizzano, dove tutto è quieto, prevedibile e capirete che verrebbe a mancare l'elemento fondamentale per giungere alla conoscenza, il contrasto. Semplificando il concetto: contrasto > esperienza degli opposti > conoscenza > consapevolezza”

Il discorso è congruente, ma, come si può con agio constatare, ancorato all’idea di “libero arbitrio”. Se togliamo questa idea, anzi postulato di per sé indimostrabile, l’intera costruzione, più fideistica che filosofica, naufraga miseramente. Che poi la fisicità sia l’unico modo per maturare delle esperienze e che la dualità sia prerogativa dell’universo materiale mi pare opinabile. Si pensi agli angeli che, stando ad alcune tradizioni, decisero di optare per il Male, ribellandosi a Dio. Gli angeli sono o dovrebbero essere creature spirituali e la dualità (l’antitesi tra Bene e Male, il bivio della scelta) preesiste alla materia ed alla caduta.

Altre nozioni andrebbero chiarite: che cosa s’intende per fisicità? Esistono diverse densità della materia e, se sì, esse sono tutte condizioni in cui si possono maturare delle esperienze? Per quale motivo la Coscienza deve acquistare coscienza? Non è già cosciente? Come si spiega che, dopo innumerevoli vite, gli uomini sono sempre più stupidi ed incoscienti? Questo circolo virtuoso, invero tautologico, porta all’espansione di una coscienza che, di per sé, è già espansa, altrimenti non sarebbe coscienza che letteralmente è già presenza a sé stessi, consapevolezza, comprensione e percezione di sé. Espandere la coscienza è un po’ come aggiungere un punto ad una retta già composta da infiniti punti.

Si potrebbe interpretare diversamente questo pensiero, introducendo il concetto di Semicoscienza che, attraverso diversi passaggi, diventa consapevole, a guisa di un uomo che dal dormiveglia del mattino, destandosi percepisce forme, colori, odori, suoni in modo sempre più chiaro e distinto.

APOCALISSI ALIENE: il libro

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