17 aprile, 2011

Cubo

L’arca che Ziusudra, re di Shuruppak, (il Noè biblico) costruì, su consiglio del dio Enki, aveva la forma di un cubo, con ciascun lato di 120 cubiti. [1] Anche l’imbarcazione fabbricata da Noè, per volontà di Dio, era un parallelepipedo: 150 cubiti di lunghezza per 30 di altezza e 50 di larghezza. Invano gli archeologi continueranno a cercare il relitto dell’arca biblica sul Monte Ararat: essa non navigò per arenarsi sulle pendici della maestosa vetta armena.

L’arca di Ziusudra era dunque un gigantesco dado che è l’espressione simbolica tridimensionale del quadrato, adombrando tutto ciò che è saldo e durevole. Tra i corpi regolari, Platone assegna al dado l’elemento terra. Nell’alchimia è in relazione alll’elemento “sal” come principio del concreto. La Gerusalemme celeste, città ideale dell’Apocalissi attribuita a Giovanni (21-16,17) è cubica: “la lunghezza, la larghezza e l’altezza della città sono eguali”. I suoi lati sono di 12.000 stadi (2200 km), un corpo perfetto sulla base del numero 12. E’ un cubo pure la Kaaba, nel santuario della Mecca: ivi è custodita la pietra divenuta nera per i peccati degli uomini.

Il quadrato è l’emblema geometrico che esprime l’orientamento dell’uomo nello spazio e nella vita, in base ad una divisione del mondo in parti governate da custodi soprannaturali. E’ immagine del cosmo a misura d’uomo, al cui centro viene pensato l’arciere celeste (axis mundi). Questa figura è in connessione con il numero quattro che indica i quattro fiumi del Paradiso, le quattro direzioni del cielo, i quattro temperamenti etc. Se si scrive tale cifra usando il sistema romano, si ottiene IIII: le quattro linee disegnano, una volta dislocate, un quadrangolo che ricorda una porta con gli stipiti, la soglia e l’architrave. Il quadrato con la triplice cinta è archetipo suggestivo.

René Guénon ci ricorda che il Quaternario rappresenta l’espansione totale dell’Unità originaria. L’espansione, simboleggiata dalla croce i cui quattro bracci sono formati da due rette perpendicolari, è il numero del Verbo manifestato e dell’Adam Kadmon.

Da non trascurare le misure dell’arca sumera e le dimensioni della Gerusalemme celeste, entrambe basate sul numero 12, probabilmente di significato astronomico-precessionale, oltre che sacro. E’ possibile che l’arca di Ziusudra e la sfavillante città ultraterrena siano i punti estremi dello stesso segmento.

Secondo David Wilcock, il cubo di Ziusudra potrebbe essere uno stargate, grazie al quale il re sumero riuscì a mettere in salvo sé stesso, i congiunti e gli animali, seguendo le istruzioni del dio Enki (Ea). Wilcock nota che l’ipercubo (o n-cubo), forma geometrica regolare inclusa in uno spazio di quattro dimensioni, secondo gli studi pionieristici di alcuni scienziati, si lega alla fisica iperdimensionale, dunque alla possibilità di varcare il confine del nostro universo per accedere ad un altro piano.

Le speculazioni riportate da Wilcock si potrebbero accostare al significato del numero 11 ripetuto. Il numero 11 possiede per lo più valenze oscure, ma, raddoppiato, a formare altresì un quadrilatero virtuale (una porta?), stando ad alcuni orientamenti interpretativi, indica il passaggio, la transizione.

I passaggi sono luoghi fisici, “ombelichi” cultuali (sorgenti, monoliti, grotte, fenditure…), quindi anticamere di spazi ulteriori, metafisici. Fortunato chi – è una chimera? – quando questa linea temporale si sarà spezzata, riuscirà a deviare sullo scambio per l’altro binario.

[1] La storia di Ziusudra, scritta in sumero, è riportata nei frammenti di una tavoletta fittile reperita ad Eridu. Nei testi accadici Ziusudra diventa Utnapishtim, il cui nome dovrebbe valere “ho trovato la vita ” o “ho visto la luce”.

Fonti:

Dizionario universale dei miti e delle leggende, a cura di A. Mercatante, s.v. Noè ed Utnapishtim
Enciclopedia dei simboli, a cura di Hans Biedermann, Milano, s.v. dado, numeri, quadrato
Enigmi alieni, Messaggeri dallo spazio, documentario di History channel, 2011
R. Guénon, Il demiurgo ed altri saggi, Milano, 2007




APOCALISSI ALIENE: il libro

7 commenti:

  1. Ciao Zret, se ho fatto degli errori a sottoporti queste domande correggimi:

    "Anche l’imbarcazione fabbricata da Noè, per volontà di YHWH"

    Al tempo del Noè biblico, YHWH non era conosciuto come tale, ma come El Shaddai, e tanti altri nomi come En-Lil, Tesub, Adad, Iskur, Baal, e si pensa che proprio il figlio di Baal si chiamasse Jaw.

    Questo nome era una radice che iniziò ad apparire in molti epiteti divini; cronologicamente parlando non si hanno testimonianze di questa radice prima del 1400 a.C. ed è bene evidenziare che è questo, il XV secolo a.C. il lasso di tempo in cui si svolge l’esodo e yahweh fa la sua prima comparsa.

    Un'altra cosa che mi ha lasciato perplesso e quando hai scritto:

    "Se si scrive tale cifra usando il sistema romano, si ottiene IIII"

    Magari sono non dotto in materia, ma il sistema romano per il quattro, non si usava questo simbolo? "IV"

    Ciao e grazie.

    wlady

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  2. Ciao Wlady, invece di YHWH, avrei dovuto scrivere un generico "Dio" (poi correggo). Ho letto di alcune antichissime iscrizioni in cui compare il nome di YHWH e della sua paredra, ma non ricordo il secolo.

    Ancora nel VI sec. a.C. gli Ebrei di Elefantina, che militavano nell'esercito egizio come mercenari, adoravano YHWH e la sua paredra (controparte femminile). Non erano ancora monoteisti!

    Circa il modo di scrivere il numero 4 nel sistema romano, le quattro lineette, che sono le quattro dita, costituiscono la maniera più antica e rudimentale, cui si affiancò IV, in cui fu introdotto un sistema posizionale.

    E' naturale che l'articolo si fonda su mere supposizioni e possibili ricostruzioni.

    Grazie per l'approfondimento sui nomi degli dei da cui pare ebbe origine YHWH.

    Ciao!

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  3. Nel suo 'Le Mystère du Vin' l'esoterista francese Louis Charpentier dimostra - secondo me in maniera attendibile - l'origine atlantidea della vicenda mitica di Noè/Ziusudra/Utnapishtim.
    Le svariate versioni tramandate dai popoli della Mesopotamia non sarebbero altro che adattamenti locali di una unica ed antichissima leggenda di provenienza atlantidea.

    Fatto curioso - aggiungerei - la Tradizione egizia non mi pare conservi nessun richiamo locale - o quanto meno tale richiamo non ci è pervenuto - circa l'epopea salvifica di tale antichissimo patriarca. E gli Egizi, come tutti ormai sappiamo, avevano le loro radici nel mitico continente sommerso.

    Temo, in amichevole contraddizione con quanto riportato dal post, che per 'arca di Noè' si debba effettivamente intendere un grosso barcone e che quando si parla di 'diluvio universale' si debbano ugualmente intendere precipitazioni imponentissime e tali da sommergere interi continenti. Non la caduta di un asteroide o altri eventi prodigiosi.

    In altri termini, sono del parere che i testi arcaici vadano in buona parte interpretati in modo letterale. Ma trattasi di una mia semplice convinzione.

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  4. Paolo credo che Charpentier abbia ragione: probabilmente il primo diluvio si riferisce ad un cataclisma che colpì l'Atlantide, forse non dovuto a cause naturali.

    E' veramente singolare che le tradizioni egizie non rammentino un patriarca avvertito e salvato dal suo dio: tradizione perduta o nascosta?

    E' possibile che nelle inondazioni successive a quella atlantidea si costruirono imbarcazioni, ma l'archetipo, di cui il mito sumero, custodisce delle tracce, contiene, a mio avviso, indizi straordinari e fantastici.

    Ciao e grazie.

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  5. Per una strana coincidenza, Angelo, nel suo ultimo e quasi contemporaneo articolo, IUS 37, cita i cubi, in un contesto di esperienze interdimensionali. Non so che pensare.

    http://ilgrandeignoto.blogspot.com/2011/04/ius-37.html

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  6. E' ovvio: le barche di Atlantide non sono comparabili con quelle del tempo presente. Quella era una 'realtà separata', diversissima da quella che l'attuale Umanità va sperimentando da una trentina di secoli o giù di lì.

    Quanto poi all'apparente trasmissione del pensiero fra te ed altri cercatori, se ne deve dedurre la validità del fenomeno di 'sincronicità'. Come diceva Aurobindo, la separazione fra gli esseri umani è un evento di superficie. Mano a mano chi si discende in profondità, gli esseri umani appaiono come una entità sola che pensa gli stessi pensieri.

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