12 ottobre, 2011

Fra le rime del sonetto

La presenza presso la corte di Federico II Hohenstaufen di matematici come Leonardo Fibonacci (1170-1240) oltre all’influsso esercitato dalla cultura araba ed ebraica ha suggerito allo studioso Wilhelm Potters un’ipotesi curiosa sull’origine del sonetto, componimento formato da due quartine e due terzine per un totale di quattordici versi.

Secondo l’erudito olandese, la struttura del sonetto, la cui invenzione è quasi in modo unanime attribuita a Jacopo da Lentini, esponente della scuola siciliana, potrebbe essere la proiezione in forma poetica delle misure con cui i matematici del tempo cercavano di risolvere i tradizionali problemi circa la misurazione del cerchio. Nei trattati del XIII sec. il rapporto tra circonferenza e diametro del cerchio era indicato con la frazione 22/7, approssimazione del numero irrazionale che, a partire dal XVIII sec., fu rappresentato con π (3,14). Ora – rileva Potters – i sonetti, nei manoscritti medievali, spesso erano trascritti a coppie di versi affianacati per vari motivi, fra i quali quello dettato della necessità di risparmiare il materiale scrittorio. Un sonetto dunque poteva incontrarsi in due colonne di sette versi ciascuna.

Con tale strategia di trascrizione il componimento, considerato in orizzontale, risulta costituito da 7 righe, ciascuna delle quali consta di 2 endecasillabi, per un totale di 22 sillabe metriche. I numeri 11 e 14, che connotano il componimento a strofa fissa, nel “De mensura circuli” di Archimede illustrano la relazione tra il circolo ed il quadrato circoscritto, mentre nel trattato “Practica geometriae” di Fibonacci, redatto intorno al 1220, le frazioni 22/7 e 11/14 ricorrono riferite ai computi di misurazione della circonferenza. [1]

Vista l’importanza estetica ed esoterica che assunse nel Medioevo la figura del cerchio, la supposizione di Potters potrebbe non essere del tutto priva di fondamento. Tuttavia, la frequenza di certe cifre troverebbe, a mio parere, un riscontro nel clima della corte sveva. Il mileu di Federico II fu un crogiolo culturale dove contributi bizantini, normanni, provenzali, arabi ed ebraici si fusero in una compagine feconda. Così, il 7 ed il 22 soprattutto evocano tradizioni cabalistiche: si pensi ai sette bracci della Menorah ed alle ventidue lettere dell’alfabeto ebraico.

Comunque la si pensi, è indubbio che l’arte e la letteratura medievali, almeno nelle sue manifestazioni più alte, sono intessute di significati allegorici, di valori la cui decifrazione richiede la conoscenza di codici segreti, l’uso di chiavi ad hoc. Si dimentichi di poter interpretare talune espressioni artistiche solo ricorrendo alla “tetralogia” enunciata nella pseudo-dantesca “Lettera a Cangrande della Scala”.

Rimaniamo in ambito poetico duecentesco. Guido Guinizzelli, nella strofa conclusiva del sonetto “Omo ch’è saggio non corre leggero”, sentenzia: “Deo natura e’ l mondo in grado mise e fe’ dispari senni e intendimenti: perzò ciò ch’omo pensa non dé dire”, “Dio creò la natura ed il mondo, secondo una gerarchia e fece differenti intelligenze e modi di vedere le cose: perciò non si deve esprimere ciò che si pensa.” Nella composizione, concepita e vergata come risposta a Bonagiunta Orbicciani da Lucca, che aveva criticato l’intellettualismo del rimatore bolognese, quest’ultimo rivendica la sua scelta di una poesia nutrita di conoscenze filosofiche e scientifiche. Guinizzelli sostiene qui una concezione se non iniziatica dell’esperienza artistica, aristocratica.

Del resto, nella lirica "Io voglio del ver la mia donna laudare", componimento dalla musicalità quasi cantabile e “facile”, grazie alle allitterazioni ed alla scansione regolare delle unità, l’autore adombra persino, pur nelle ripresa di tòpoi trobadorici, riconoscibili da un pubblico anche non particolarmente scaltrito, le norme araldiche. Nei vv. 6 e 7, infatti, dove si legge “ tutti color di fior’, giano e vermiglio, oro ed azzurro e ricche gioi per dare”, il capostipite dello Stilnovismo si richiama alla convenzione araldica secondo cui gli smalti (colori e metalli, cioè oro ed argento) sono associati secondo precise ed inderogabili regole.

Anche “la rosa e lo giglio” del v. 2, fiori tradizionalmente legati alla figura della Vergine, non prescindono forse da valenze profonde, “eccentriche”, ma il discorso ci porterebbe lontano…

Fonti:

C. Bologna, P. Rocchi, Rosa fresca aulentissima, p. 182, Torino, 2010
Enciclopedia del Medioevo, Milano, 2007, s. v. Federico II, Fibonacci
W. Potters. Nascita del sonetto. Metrica e matematica al tempo di Federico II, 1998


[1] Lo statunitense Steven Botteril accoglie l’ipotesi di Potters circa la genesi “matematica” del sonetto con una certa perplessità. Per quanto mi riguarda, mi convincono poco certe interpretazioni incentrate su codici e numeri.

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11 commenti:

  1. Ciao Zret apro un piccolo o.t. volevo sapere cosa ne pensi delle date 1-11-11 o 11-11-2011. Personalmente sono giunto alla conclusione che quello che ci aspetta da qui a breve tempo sarà il periodo peggiore, la fine del Kali yuga, ovvero l'autodistuzione di questa civiltà e la nascita di una nuova età dell'oro per chi sopravviverà.

    Un'altra domanda che vorrei porti è come si è passati da una scienza sacra che era studio della natura (pensiamo appunto al pi-greco o al phi sezione aurea) ad una scienza degenerata come l'attuale. Nel suo libro "Sacred Science" De Lubicz definisce Albert Einstein il più grande adepto di magia nera del XX secolo. Il che suona quanto meno singolare. Eppure realmente il tentativo da parte della scienza di penetrare i segreti dell'atomo disintegrando con la violenza della fisica ciò che la Natura ha unito è un atto di magia nera, perchè esso è la distruzione di un equilibrio.

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  2. P.s. Sul numero 11 raddoppiato mi soffermai in "Cubo". Vi accenna anche Stan Romanek, in "Messaggi dall'universo".

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  3. @ gigettosix

    Certi specialisti che studiano il 'modus operandi' degli Illuminati hanno fatto notare che non necessariamente in certe date fatidiche si assiste a degli avvenimenti eclatanti e/o iper-traumatici.

    Ciò posto l'11 novembre prossimo potrebbe anche non succedere niente, almeno esteriormente.
    Ma succederà sicuramente qualcosa di importante negli anfratti dell'ingranaggio satanico e cioè rituali di Magia Nera corredati da spargimento di sangue innocente (leggi: 'sacrifici umani').

    Insomma la nota specialità di quel malefico gruppo che tiene in ostaggio il Pianeta e il genere umano.

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  4. Gigettosix, come ho scritto in altre occasioni, reputo che certe date adombrino un valore simbolico per le élites, ma potrebbero essere anche dei portali, ma portali molto stretti sicché gran parte dell'umanità sarà sterminata e pochi passeranno. Non so tuttavia se i prescelti saranno tali per loro intrinseche virtù o se saranno i più fortunati. Sostanzialmente concordo con te circa questo punto.

    Sottoscrivo l'opinione di De Lubicz circa il ferale e fraudolento Einstein, ma ritengo che anche le scienze che si incentrano sul numero contengano in nuce la deviazione. Ne scrissi in "Oltre i codici". Ebbene, non tutto è numero o, meglio, come scrive Nietzsche, nel momento in cui riconduciamo la musica ad ottave, fenomeni quantitativi, misure etc. che cosa avremo mai compreso della musica? Non tutto è cifra e non tutto è logica: nel Medioevo la logica è considerata un attributo del Diavolo (Demiurgo), non di Dio. Diffido perciò di chi vede il phi come segno di perfezione. Evviva un'opera d'arte in cui il phi è ignorato!

    Ciao

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  5. Ciao Zret,
    se mi permetti spenderei due parole sul significato allegorico e figurativo in ambito teologico del Pi Greco. Niente più di esso illumina meglio sul significato creaturale di finito e infinito, che è fortemente connaturato nell’animo umano. Da Leopardi a Dante, da Fidia a Michelangelo, l'anelito all’infinito è stato il filo conduttore che ha ispirato le grandi opere dell’ingegno umano. Esso rimanda immediatamente e innalza il nostro spirito verso l'infinito trascendente. Rappresenta quindi una definizione teologica e metafisica, che si esplica in elementi grandiosi quali il firmamento e l’universo tutto senza limiti di spazio-tempo, ma anche in cose apparentemente più umili come i numeri. Essi infatti non finiscono mai: uno segue l’altro senza fine e sono appunto in numero infinito.
    Ciao, Sharon

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  6. Preziosa postilla, Sharon.

    A proposito di anelito verso l'infinito, viene a taglio una riflessione all'interno dell'ultimo articolo di Angelo, in cui egli accenna alla possibilità che il tempo (dimensione limitata e limitante per definizione, ossia trappola) si tramuti in spazio. Non sono in grado di concepire tale metamorfosi, ma la reputo molto suggestiva. La fine del tempo è l'interruzione del moto della ruota che ci schiaccia.

    Ciao

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  7. Differenti interpretazioni, Zret. Secondo i canoni dell'opera “sefer isire” attribuita ad Abramo, nel linguaggio macchina della creazione, il tempo si trasforma continuamente in spazio. Il tempo, nelle sue due forme, sarebbe proprio il collegamento vitale intermedio tra il mondo spirituale morale ed il mondo spaziale delle creature involute. Penso che la scuola atlantidea “della retta via” col concetto di fine del tempo, si riferisca ad una breve interruzione del contatto con la Sorgente, il centro galattico, che si tradurrebbe immediatamente nel “giudizio finale”. Lo spazio non alimentato dal tempo (inteso come energia-intelligenza vitale) si frantumerebbe e congelerebbe in una molteplicità caotica di gironi infernali,con relativi abitanti di omologa gradazione morale, come dalla visione dell'Alighieri, e senza possibilità di tornar a riveder le stelle sarebbe veramente una fine ignominiosa.
    Meglio darsi da fare per mantenere la sintonia col Centro galattico.

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  8. Confesso la mia difficoltà a disquisire su un tema tanto abissale come il tempo, Chon. Sono proclive a pensare che il tempo sia la manifestazione di un cedimento ontologico. Forse esiste una dimensione in cui il tempo si trasfigura, cristallizzandosi e depurandosi della durata che porta con sé la decadenza, il disfacimento e la morte.

    Ritengo che il tempo sia un'illusione benché concreta e dannosa.

    Ciao

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  9. Chon, se il tempo arrestandosi cessa, lo spazio non dovrebbe risentirne gran che. Anzi il tempo si trasforma in spazio puro.
    In pratica il tempo, a forza di accelerare mano a mano che ci si avvicina alla fine del Kali Yuga, ad un certo punto si elide.

    La 'Rota Mundi' è destinata a fermarsi 'per mezz'ora', come insegna l'Apocalisse canonica.
    Ma quella 'mezz'ora' cosmica non corrisponde alla manifestazione di gironi infernali, bensì allo stupore estatico di tutta la Creazione la quale si arresta immobile volgendo lo sguardo, anche se solo temporaneamente, verso la sua Sorgente.

    Questo a grandi linee l'insegnamento tadizionale.

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  10. Grazie dell'utile glossa, Paolo. Non è senza significato se il tempo è associato a Chronos, in parte identificabile con Saturno, archetipo che, pur non scevro di valori positivi, è di solito associato alla distruzione ed alla rescissione (il falcetto).

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  11. Paolo è altamente evocativa la visione dello stupore estatico di tutta la creazione nel mirare se stessa...è un attesa lirica...noi desideriamo dissetarci a questa sorgente...la presunzione disperata e luciferina di chi ha sovvertito la tessitura simbolica della realtà non è destinata a prevalere...e dopotutto il pi greco risale ad una delle grandi intuizioni metafisiche della vita elevata dal potere della poesia...solo la modalità poetica da valore alla metrica compositiva che altrimenti è destinata a rimanere uno sterile cruciverba...è il mistero della stessa rivelazione in cui l'arte non è un elemento intermedio tra la verità e la sua rappresentazione, così come una lobby degenerata ha inteso essere...ma è una coseguenza spontanea insita nella stessa forza generativa che è mortificata dal dominio industriale e non a caso il culmine della mortificazione si realizza nel "fabbricare" sementi sterili...ma è davvero arduo per noi comprendere la metrica compositiva degli antichi...con l'indagine razionale ne sovvertiamo il significato originario, lo slancio lirico non ci supporta la stessa elevazione...ma credo che in molti intuiamo essere loro i custodi operativi degli unici valori che rendono l'uomo una creatura puramente cosmica, intimamente libera perché ispirato e per questo innalzato al di sopra dello stesso arco temporale...tirato fuori da una rotazione estraneante e disgregante...non è forse il canto di Orfeo a fermare la ruota sulla quale Issione sconta il suo supplizio? sicuramente la commossa devozione a determinate idealità può ancora fornire un valido scudo da opporre a ciò che vuole deprimere le nostre facoltà migliori

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