Valerio Magrelli (Roma, 1957) immette nei suoi componimenti contenuti intellettuali, “in cui assumono una forte incidenza gli elementi del pensiero e della riflessione; di qui il taglio argomentativo e raziocinante che usa frequentemente i termini di un lessico scientifico ed astratto. La sua è una scrittura rarefatta (quasi depurata, scarnificata) che opera un processo di astrazione della materia, sottoposta ad uno strenuo controllo razionale e formale. Il rigore che ne consegue esclude ogni effusione soggettiva o sentimentale, cancellando la tradizionale ingerenza del soggetto lirico, dell’’io’. Una realtà per cosi dire mentale viene restituita nelle forme di un’estrema stilizzazione”.(G. Baldi).
Su questa direttrice si situa la raccolta “Nature e venature” (1987), in cui gli oggetti atoni ed attoniti si dichiarano nella loro ontologia indecifrabile un po’ come nell’arte iperrealista di Domenico Gnoli. La natura stessa, nella citata silloge, esibisce i suoi ingranaggi meccanici, il suo disegno schematico: giustamente, a proposito del primo Magrelli, si è parlato di esprit de géometrie, ma è una geometria che, invece di definire una lucida presa sul reale e men che meno un suo presunto logos, evidenzia il carattere asettico del mondo, la sua gelida estraneità al flusso umano.
Così in una poesia di “Nature e venature” è fissato un orologio, emblema dell’erosione che seziona e spolpa la vita dell’uomo e dell’intero universo. “Con ingranaggi, lancette, dentature/ l’orologio sembra un carro falcato/ che fa scempio del giorno, ne dilania/ la salma, lede i legami e le giunture,/ trincia le ore, le disossa, come/ la rotazione della notte strappa/ la chiarità del cielo e mette a nudo/numeri, membrature, figure,/ lo scheletro brillante e nebuloso delle costellazioni”.
La “lirica” radiografa l’immagine del tempo stritolatore per consegnarla ad uno sguardo freddo, che spoglia il cosmo della sua pelle attraente per eseguire un’impietosa anatomia di un universo tecno-biologico. Il cielo è una pagina ruvida ed alle stesse costellazioni è sottratto il chiarore poetico sostituito dalla luce artificiale di un gabinetto medico. Il campionario inventariato da Magrelli ha alcunché di funereo, ma la morte non giace nel senso del declino e della fine, bensì nell’anima vuota delle cose. E’ qui rintracciabile la poetica del correlativo oggettivo, dove il gioco delle immedesimazioni si concreta in architetture di immagini e di suoni seghettati (“lancette, dentature, rotazione, strappa, membrature, scheletro”….), nelle rime taglienti, nei versi ghigliottinati dagli enjambements.
La visione di Magrelli è la lastra Röntgen di una vita che “equivale, però, ad una non-vita.” (G. Baldi).
Su questa direttrice si situa la raccolta “Nature e venature” (1987), in cui gli oggetti atoni ed attoniti si dichiarano nella loro ontologia indecifrabile un po’ come nell’arte iperrealista di Domenico Gnoli. La natura stessa, nella citata silloge, esibisce i suoi ingranaggi meccanici, il suo disegno schematico: giustamente, a proposito del primo Magrelli, si è parlato di esprit de géometrie, ma è una geometria che, invece di definire una lucida presa sul reale e men che meno un suo presunto logos, evidenzia il carattere asettico del mondo, la sua gelida estraneità al flusso umano.
Così in una poesia di “Nature e venature” è fissato un orologio, emblema dell’erosione che seziona e spolpa la vita dell’uomo e dell’intero universo. “Con ingranaggi, lancette, dentature/ l’orologio sembra un carro falcato/ che fa scempio del giorno, ne dilania/ la salma, lede i legami e le giunture,/ trincia le ore, le disossa, come/ la rotazione della notte strappa/ la chiarità del cielo e mette a nudo/numeri, membrature, figure,/ lo scheletro brillante e nebuloso delle costellazioni”.
La “lirica” radiografa l’immagine del tempo stritolatore per consegnarla ad uno sguardo freddo, che spoglia il cosmo della sua pelle attraente per eseguire un’impietosa anatomia di un universo tecno-biologico. Il cielo è una pagina ruvida ed alle stesse costellazioni è sottratto il chiarore poetico sostituito dalla luce artificiale di un gabinetto medico. Il campionario inventariato da Magrelli ha alcunché di funereo, ma la morte non giace nel senso del declino e della fine, bensì nell’anima vuota delle cose. E’ qui rintracciabile la poetica del correlativo oggettivo, dove il gioco delle immedesimazioni si concreta in architetture di immagini e di suoni seghettati (“lancette, dentature, rotazione, strappa, membrature, scheletro”….), nelle rime taglienti, nei versi ghigliottinati dagli enjambements.
La visione di Magrelli è la lastra Röntgen di una vita che “equivale, però, ad una non-vita.” (G. Baldi).
Credo che sia sopravalutato, non tanto per la poesia (tanto di cappello) ma per aver scritto del 1968, senza averci partecipato in prima persona, non poteva in effetti era un bambino di 11 anni in quei tempi, io invece c'ero e avevo 18 anni.
RispondiEliminaIl fatto poi che abbia partecipato ad un film di Nanni Moretti, non mi ha fatto impazzire, non tanto per il ruolo marginale del film, ma per lo stesso regista insopportabile.
Il suo curriculum vitae è talmente lungo e variegato, che se fatta eccezione per le varie collaborazioni per le traduzioni (in special modo per quelle francesi), si può solo paventare una forzatura, visti i molteplici premi.
Concordo con te, Wlady. Magrelli con il suo sguardo metallico fotografa una realtà senz'anima, esprimendo lo spirito dei nostri tempi senza spirito.
RispondiEliminaNanni Moretti è regista ed attore basso livello. Il suo bozzettismo lascia il tempo che trova, anche se non mi dispiaccque quando interpretò il politico spregiudicato e cinico nella pellicola "Il portaborse".
Ciao
Ciao Zret.
RispondiEliminaMi piace quando parli di suoni "seghettati" e stridenti, è un'efficacissima catacresi: ricordo di aver letto tempo fa in un'intervista che Magrelli considera la poesia una "officina" in cui fondere pensieri e sensazioni non necessariamente gradevoli.
Buona serata, Sharon
Ciao Sharon, Magrelli usa pure gli enjambements come lame affilatissime. La poesia di questo autore ha, come scrivi, qualcosa di "tecnico".
RispondiEliminala traccia, lirica, del >ni-ente<(come direbbe Cacciari), in Leopardi era ancora evidente e sofferta allusione alla propria "lotta con l'Anegelo :Parola che accenna , con fermezza, all' ulteriore stato di lotte future(di oggi), in noi; l' "essenzialità" di Magrelli, come parvenza di un gioco dialettico,mi pare resti molto al di qua di un tale apporto cognitivo :un gioco , tutto sommato, privo di senso
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