11 luglio, 2012

Stato ed utopia sociale

“Gli uomini della folla sono talmente ipnotizzati che vedono e non comprendono il significato di quel che continua ad avvenire dinanzi ai loro occhi. Vedono quanto si preoccupano tutti i re, gli imperatori, i presidenti di avere un esercito disciplinato; vedono quelle rassegne, quelle parate, quelle manovre che essi fanno e di cui menano vanto l’uno dinanzi all’altro; e corrono con diletto a vedere come i loro fratelli, agghindati in abiti buffoneschi, variopinti, luccicanti, al suono dei tamburi e delle trombe si trasformino tutti quanti in macchine ed al grido di una sola persona compiano tutti insieme un identico movimento; e gli uomini della folla non capiscono che cosa significhi tutto ciò. E dire che il significato di ciò è molto semplice e chiaro: si tratta di una preparazione all’omicidio, nulla più. Si tratta di istupidire gli uomini per renderli strumenti di omicidio”. (L. Tolstòj, "Non uccidere", 1900, pamphlet scritto a seguito dell’assassinio di Umberto I di Savoia)

Sono queste le lucide parole dello scrittore russo che, attraverso una profonda crisi spirituale, approda ad un rifiuto di ogni forma di violenza, ad un cristianesimo evangelico e comunitario, espressosi nella fattiva solidarietà con i derelitti ed i bisognosi, siano agricoltori poveri, vittime di carestie o appartenenti a gruppi perseguitati.

Il rigetto della violenza è sic et simpliciter negazione dello Stato e della Chiesa (maiuscolo ironico). Stato e Chiesa, infatti, non incarnano forse la sopraffazione? Ecco allora l’antimilitarismo militante, la denunzia della trasformazione degli uomini in altrettanti automi adatti a stuprare, compiere sevizie, massacrare... con la benedizione dei cappellani.

Parate e funerali di stato: non manca mai il predicozzo del vescovo che, insieme con le impettite autorità, accoglie il feretro dell’eroe caduto in “missione di pace”. Il feretro è avvolto nell'italica bandiera ed il presidente, commosso sino alle lacrime, la mano tremebonda, sfiora il drappo.

Parate reboanti e retoriche: si vis pacem, para bellum... Saettano lassù le “Frecce tricolori”.

Si può costruire, si chiede Tolstòj, una società senza stato? Il modello che egli addita è la comunità cristiana dei primordi, fra utopia e realtà. Erano confraternite in cui era abolita la proprietà privata e dove il giuramento, le leggi umane, la coscrizione non avevano alcuna cittadinanza. Vero è che lo stato è simile ad una mala pianta dalle radici tenaci: essa tende a ricrescere, poco tempo dopo essere stata svelta. Così le primitive confraternite cominciarono ad organizzarsi, persino secondo forme gerarchiche, con i vescovi (episcopoi) preposti a vigilare sulla condotta dei fratelli, e gli anziani (presbyteroi) superiori rispetto agli altri, se non altro per la loro autorevolezza. Allo spirito egualitario, con i suoi pregi ed eccessi, subentrò un po’ alla volta, un embrione di struttura che culminò nelle chiese dirette da vescovi, ormai autorità con precise prerogative. Alcuni gruppi rimasero fedeli al comunitarismo, al vegetarianesimo, all’attesa apocalittica, ma i “Cristiani”, ormai Niceni, poi Ortodossi e Cattolici etc., gettarono alle ortiche le loro origini ed i Vangeli. Se nel III sec. d. C. Tertulliano ancora tuona contro il giuramento, il servizio militare, la cultura pagana condannata in toto, un secolo dopo, un “cristiano” soldato o magistrato o mercante è la norma. Così breve è il passo fra il rispetto della tradizione ed il suo sovvertimento. Non basta: il dorato manto dell’ipocrisia dichiara “eretici” gli osservanti ed ortodossi i bestemmiatori.

L’ipocrisia è la quintessenza della Chiesa e dello Stato a tal punto che non sapresti distinguere tra insincerità e le due colonne del sistema.

Ci domandiamo: è possibile ed auspicabile una società senza stato? Auspicabile, certamente. E’ anche possibile? Proviamo ad immaginare un paese in cui i tribunali sono edifici vuoti, fatiscenti, dove gli eserciti sono ormai sciolti, dove le divise dei “tutori dell’ordine”, sdrucite e consunte, sono raccolte per essere bruciate... E’ un mondo senza vertice e senza base. Non è solo il rifiuto dell’autorità in quanto tale a promuovere i princìpi anti-statali, ma la consapevolezza che le autorità sono malvagie. Che differenza rispetto agli imperi antichi in cui ogni tanto i reggitori erano uomini della caratura etica ed intellettuale di un Giuliano! Oggi i politici, se non sono dei perfetti inetti, sono dei criminali incalliti.

Non so quanto realistico sia il progetto di annientare lo stato che, anche qualora fosse distrutto, tenderebbe a risorgere nelle sembianze di un’amministrazione via via più capillare ed invadente. So, però, che la compagine odierna, essendo molto più dispotica dell’Impero zarista che Tolstoj disconobbe, merita di essere smascherata come costruzione vessatoria e coercitiva. Niente oggi dello stato si salva: né il sistema fiscale né la cosiddetta giustizia né le forze militari né l’assetto “educativo”.

Se un tempo era forse possibile riformare gli organi istituzionali o, per lo meno, provare a smussare gli spigoli del potere, oggi lo stato è invincibile, poiché è simile ad un liquido soporifero e letale che si diffonde nelle vene del consorzio umano, un liquido inafferrabile che, prima di uccidere, addormenta le coscienze. E’ questa la diversità: se gli stati del tempo trascorso suscitavano moti di opposizione nelle coscienze vigili ed intemerate, oggi lo stato, con le sue imposizioni e bugie, è la stessa “coscienza ipnotizzata” dei “cittadini”.

Non occorrono incitamenti a combattere, a morire per la patria, a debellare il “terrorismo islamico” e gli “stati-canaglia”. Non è più necessaria la propaganda bellicista e razzista. Non bisogna convincere che una causa è giusta, poiché si combatte per denaro, tornaconto o abitudine alla violenza.

In un mondo dove la volgare doppiezza di presidenti e papi non scandalizza, dove è usuale dilapidare cifre astronomiche per le armi e benedire feroci mercenari, dove essere “cristiani” significa andare a messa la domenica, lo stato, questo stato osceno e blasfemo, rischiamo di essere noi.

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La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

8 commenti:

  1. Napo Orso capo, Matto Morti, Luigi XIV... qual è la differenza?

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  2. Citazione:
    "vedono quelle rassegne, quelle parate, quelle manovre".

    Sembra quasi che Tolstoi avesse in mente le sfilate degli alpini!

    Quell'uomo ebbe una folgorazione intorno ai 50 anni. Divenne vegetariano, anticaccia, educatore e buon padrone verso i suoi servi della gleba.
    Però prima era un genio della letteratura. Quale dei due Tolstoi ha dato di più all'umanità?

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  3. Anche dopo la "conversione", l'eresiarca continuò a scrivere opere di pregio, anzi preferisco "La morte di Ivan Ilic" a "Guerra e pace".

    La tua domanda per me ha una risposta semplice, semplice. E' preferibile salvare anche una sola vita umana o animale che comporre un'opera immortale come la "Divina commedia".

    Ciao

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  4. Lucidissimo post, amico. Uno dei migliori da te scritti.

    Cogli con grande acuzie quella che potremmo chiamare 'la fase estrema della crisi del principio di autorità'. Millenni e millenni ci son voluti per capire che tale principio è tutta una messinscena e che sotto sotto 'il Re è nudo'.

    Ma una volta demolito e per sempre fatto a pezzi tale principio dove andremo a finire?
    Forse - o per fortuna - l'Umanità a venire ne farà a meno di tutte queste ignobili marionette che si atteggiano quali pezzi di una gerarchia oggettiva, fattuale ma che in realtà è priva di qualsiasi sostanza.

    Che cosa ce ne facciamo ormai di tutti questi papaveri, si chiamino essi Napolitano, Berlusconi, Benedetto XVI, Monti e soci e compagnia bella? La loro stagione sta per finire miseramente. Idoli infranti, semplici fantasmi, ombre che si muovono sul palcoscenico spinte solamente dalla forza d'inerzia loro infusa da chi li ha immaginati.

    Il principio d'autorità è finito per sempre e al suo posto rimane il singolo, solo con se stesso e con il suo bisogno inestinguibile di rapportarsi ad una gerarchia puramente interiorizzata, in pratica al proprio Sè trascendente.

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  5. Grazie dell'elogio, Paolo. Concordo con te: "Il principio d'autorità è finito per sempre e al suo posto rimane il singolo, solo con se stesso e con il suo bisogno inestinguibile di rapportarsi ad una gerarchia puramente interiorizzata, in pratica al proprio Sè trascendente".

    A sostegno di questa tua limpida conclusione, riporterei una massima di Gibran che scrisse: "L'uomo veramente libero è colui che non vuole né dominare né essere dominato".

    Ciao

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  6. Con buona pace di Tolstoj il Cristianesimo primitivo rimane un'astrazione per non dire una pura fantasia. Ad ogni buon conto, egli ha preteso, come hanno fatto tanti altri, che il modello societario da lui vagheggiato e, almeno in parte messo in pratica con una buona dose di sentimentalismo tipico dell'anima slava, assomigliasse alle primitive comunità.

    Il guaio è che non esiste un modello univoco di primitiva comunità cristiana. Quale prenderemo per buono? Quello offertoci dalla fonte Q che ci presenta piccoli gruppi di asceti predicatori itineranti, arrabbiati con il mondo dal quale si sentono esclusi ed i cui insegnamneti assomigliano così tanto a quelli dei filosofi cinici?

    Oppure prenderemo per buona l'icona propostaci dagli Atti degli Apostoli, novella tardiva scritta forse nel terzo secolo, colma di elementi leggendari e che rientra negli schemi narrativi propri del romanzo ellenistico?

    Oppure scomoderemo la comunità sapienziale da cui emanò il Vangelo di Tommaso, molto influenzata dagli insegnamenti buddhisti e che si può verosimilmente identificare con una branca della setta dei Terapeuti egizi adoratori in un primo momento del dio Serapide?

    Tolstoj, nell'aldilà, potrebbe forse fare mente locale.

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  7. E' come scrivi, Paolo. Tolstoj delinea un'immagine idealizzata e romantica delle primitive comunità di Nazirei che non furono alieni da un certo fanatismo comunitario, stando agli studi più recenti ed accreditati, su cui non mi dilungo, poiché ne ho trattato nell'articolo "Gli Ebioniti: eretici o cristiani delle origini?" Si è comunque ancora nel campo delle ipotesi.

    Ciao

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  8. questeo pensiero di tolstoj, e' di una chiarezza magistrale. Per Steiner , rivivrebbe, nel grande Autore russo , l' Io di Socrate

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