03 novembre, 2013

Medioevo indecifrabile (prima parte)

Un nome enigmatico



Per fortuna il pregiudizio a proposito del Medioevo come età di decadenza, di chiusura e di superstizione è oggi in gran parte superato. Ogni epoca storica è offuscata dall’ignoranza e dilaniata dalla ferocia: la media tempestas, in quanto appartenente alla storia (dis)umana, lo fu pressappoco come le altre, antecedenti e successive. Che pensare dei nostri tempi agonizzanti ed inquinati, su cui sventola il nero stendardo dell’oscurantismo pseudo-scientifico? Passiamo oltre…

Il Medioevo, più dell’era antica con cui condividiamo, pur con notevoli differenze, il criterio del lògos, risulta a noi contemporanei, in ultima istanza, insondabile. Così ci sembrano superficiali, se non inutili, gli studi con cui si è cercato di decifrare lo Zeitgeist dei “secoli bui”. Il Medioevo segreto continua a resistere ai tentativi di interpretazione. L’interpretazione deve assurgere ad esegesi, se intendiamo carpire qualche segreto.

Si pensi alle leggende sul Graal, all’enigmatico personaggio di Parsifal (o Perceval, Percival, Parzival, Perlesvaus, Percivalle). Le versioni di questa saga variano moltissimo l’una dall’altra: il Leitmotiv è la storia di un giovane nato e cresciuto nella foresta, ignaro di cavalleria e di corti. Egli, in cerca del Graal, si reca nel castello di re Artù per diventare uno dei cavalieri della Tavola rotonda. Parsifal è ammesso alla vista del Graal, perché il suo cuore è puro. L’archetipo del personaggio è probabilmente nel folklore celtico, su cui poi si stratificarono versioni cristiane.

Il significato genuino della queste è in Chrétien de Troyes con il poema “Perceval ou li conte dou Graal”(dopo il 1181, rimasto incompiuto). A Chrétien de Troyes si riallacciò Wolfram von Eschenbach con il suo "Parzival" in ottonari a rima baciata, composto tra il 1200 ed 1210. Nel poeta tedesco il campione diventa un cercatore di Dio, legato ad una stirpe illustre; il Graal è qui una pietra, in cui si è voluto vedere un ricordo del leggendario mani, la pietra di saggezza posseduta dai Catari. Dimentichiamo le spiegazioni cristiane della storia, perché ci portano fuori strada: il Graal adombra presumibilmente il mitico calderone di Dagda, signore celtico degli inferi in grado di riportare in vita i defunti. Attraverso influssi non chiari a questo nucleo si amalgamò la tradizione merovingia incentrata su un lignaggio di re taumaturghi, forse discendenti dal Messia di David.

Tra i vari aspetti ermetici della narrazione ne citiamo almeno due: l’etimologia del nome Parsifal e la figura del Re Pescatore.

In merito al primo punto, Anthony S. Mercatante propone il significato di “valle perforata”; altri “colui che apre il varco”; qualcuno “dura lancia”; Wagner traduce con “puro sciocco”. L’etimo più plausibile ci pare quello riportato da Cagigal e Ros che, collegando il nome alla lingua occitanica ed alla dinastia Trencavel, vi vedono il valore “taglio bene”. E’ evidente, però, che siamo nel campo delle congetture. “Nomina sunt omina” nell’antichità e nel Medioevo: l’ignoranza del vero significato del nome in oggetto ci impedisce di comprendere appieno il contenuto esoterico della missione compiuta da Parsifal, pure del suo ferale silenzio.

Come è noto, infatti, il prode al cospetto dei Re feriti, tace, non chiedendo loro del Graal. La domanda avrebbe guarito i sovrani, padre e figlio, dalla loro infermità.

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