30 agosto, 2015

Un'esperienza di pre-morte narrata da Thomas De Quincey



Il cosiddetto “mito di Er”, raccontato da Platone all’interno della “Politeia”, si potrebbe già interpretare come il resoconto relativo ad un ‘esperienza di pre-morte, per quanto arricchito di parti interpretative. Se prescindiamo da altre presunte testimonianze antiche e medievali, prima di imbatterci negli studi di Raymond Moody Jr, di Elizabeth Kubler Ross e di altri studiosi circa le Near death experiences, dobbiamo indugiare su un episodio riportato en passant dallo scrittore britannico Thomas De Quincey (1785-1859) all’interno della quasi-biografia “Confessioni di un mangiatore d’oppio” (1821;1856). [1]

Scrive De Quincey: “Una mia stretta parente un giorno mi riferì che un giorno, durante l’infanzia, in un fiume dove sarebbe annegata, se non fosse stata soccorsa all’ultimo momento, sul limitare della morte s’era rivista in un istante, dinanzi allo spirito, tutta la vita con ogni particolare avvenimento dimenticato – non successivamente, ma simultaneamente allineato e come riflesso in uno specchio; in un impeto di intuizione, aveva avuto la facoltà di coglierli sia nel loro complesso sia nei loro particolari”.

In nota l’autore aggiunge le seguenti delucidazioni: “L’eroina di questa notevole avventura fu una bimba di nove anni. Ella sopravvisse al memorabile salvamento non meno di novant’anni e posso presentarla come una donna di qualità notevoli ed interessanti. [...] Tra la prima e la seconda volta in cui ella mi narrò l’aneddoto testé riferito, trascorsero ben quarantacinque anni, eppure le due narrazioni che mi fece non differiscono d’uno iota né il più piccolo accidente dell’episodio ha subito la minima alterazione”.

Il breve racconto del Nostro enuclea, invero, una sola fra le invarianti che connotano i vissuti di pre-morte, ossia il “film della vita”, quel momento in cui il protagonista del liminale viaggio rivede tutti gli accadimenti dell’esistenza: i fatti si avvicendano l’uno dopo l’altro e, nel contempo, sono coesistenti nonché nitidi come immagini di un diorama. E’ una visione, come osserva De Quincey, sia globale sia particolare di ogni evento trascorso. Non figurano nella narrazione in esame cenni alle altre costanti delle N.D.E.; tuttavia la relazione è di estremo interesse e fededegna.

La “pellicola della vita” ci spinge a chiederci: esiste il vero oblio o tutto è registrato in una memoria universale, altrimenti nota come akasha (letteralmente “spazio”), un archivio ove sono contenute ogni vicenda e persino ogni pensiero che alberga nelle menti degli uomini?

[1] Sempre nella stessa opera, l’autore accenna ad un caso ante litteram di autocombustione umana.

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APOCALISSI ALIENE: il libro

2 commenti:

  1. Per me, akasha: credo a volte che perfino ciò che pensiamo di pensare, siano solo "percezioni" di pensieri memorizzati (o vaganti nello spazio) che captiamo.
    Non mi spiegherei diversamente come certe parole, certi pensieri uguali, emergano insieme da più parti (persone dislocate lontane, spesso in altri continenti, che nulla hanno a che fare con noi che nemmeno sappiamo fino al minuto prima che esistano).
    Noto ad esempio come certe specifiche parole, magari dimenticate o raramente lette, all'improvviso si ritrovino citate uguali a decsrivere cose completamente diverse da quelle dove per la prima volta le ritrovo.
    O anche come, molto stranamente, mi capiti di trovare descritti in rete circuiti di pensieri che magari mi pareva di aver pensato per la prima volta qualche giorno prima, che magari avevo vissuto quasi fossero la scoperta di un nuovo modo di vedere un tema già in me molte volte dibattuto.
    Come e da dove "nascono" davvero i pensieri "innovativi"?
    Akasha, secondo me.

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    Risposte
    1. Rossland, è possibile che certi sincronismi dipendano da un'azione dell'akasha. E' stato notato che quasi tutte le invenzioni e le scoperte più importanti sono il risultato di un'intuizione a due. Enigmi della cosiddetta realtà.

      Ciao

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