29 gennaio, 2007

Fine

Pulvis et umbra sumus (Orazio)

Friedrich Schelling, il pensatore tedesco di cui lo stesso Schopenauer, strenuamente avverso alla filosofia idealista, riconobbe alcuni meriti speculativi, nel saggio intitolato Filosofia della rivelazione, indugia sul profondo non senso della vita universa con le parole che riporto.

“Una generazione scompare, un’altra segue per scomparire a sua volta. Invano noi aspettiamo che accada qualcosa di nuovo in cui finalmente questa inquietudine trovi la sua conclusione. Tutto ciò che accade, accade solo affinché nuovamente possa succedere qualcos’altro che, a sua volta, andando verso qualcos’altro trascorre nel passato. In fondo così tutto avviene inutilmente ed in ogni azione, ogni fatica e lavoro dell’uomo non è che vanità. Tutto è vano, perché è vano tutto ciò che manca di un vero fine”.

Si obietterà che le riflessioni di Schelling non aggiungono alcunché alla disincantata massima del Qohelet, Vanitas vanitatum et omnia vanitas, o a decine di altre consimili che costellano il pensiero, culminanti nelle raggelate parole di Cioran sull’assoluta inutilità dell’essere. Non di meno, mi pare significativo che un siffatto ragionamento sia introdotto nel sistema, per molti versi, solido dell’Idealismo tedesco, creando una crepa destinata ad allargarsi sempre più con il passare del tempo.

Schelling descrive con efficacia le ruote di un ingranaggio che si muove solo per muovere sé stesso, evoca l’inane avvicendamento delle generazioni, l’attesa febbrile di qualcosa che plachi un’ansia innominabile, l’insensatezza degli eventi che si rincorrono. “Invecchiare, morire e poi?” La prospettiva trascendente oggi si rattrappisce in un illusorio conato. Manca il senso, poiché manca la direzione o la direzione è comunque sbagliata. Manca un ubi consistam, mentre tutto si deteriora, si sgretola, crolla, giorno dopo giorno, istante dopo istante. I cambiamenti si succedono con ritmo serrato, convulso. Resta un cumulo di macerie e di rovine.

Quante volte ci si chiede che cosa spinga gli esseri viventi a perpetuare le generazioni! È un impulso cieco, irrazionale, la Volontà che, attraverso gli individui, semplici strumenti privi di qualsiasi valore, eterna sé stessa? Oppure a questa folle corsa, a questo convulso moto immobile soggiace un disegno qualsivoglia, sebbene l’uomo non riesca ad intravederlo, come l’osservatore che, troppo vicino ad un quadro impressionista, nota solo una mescolanza di macchie colorate?

Non sarà forse che l’unico fine (rivelatrice parentela tra i generi) è la fine?

6 commenti:

  1. Quante volte ho tentato di rispondere a questa domanda.. e quante volte non ho trovato una risposta soddisfacente. Quello che è certo è che più che essere ingranaggi di un sistema, siamo schiacciati tra di essi. Ciao

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  2. Già siamo sotto la ruota, come diceva Hermann Hesse. Mille domande, neanche una risposta, ma forse la risposta è nella domanda. Ciao

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  3. Ciao Angelotta, in effetti il raziocinio è una condanna. Cogito, ergo su...ffero.
    Ciao Pedro, ho sfiorato il tema dell'altra vita in un testo che pubblicherò presto.

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  4. La via di fuga maestra all'inanità e vuotezza dell'esistere parrebbe esser rappresentata dall'irruzione della Trascendenza, vale a dire da un andare al di là delle semplici apparenze e spostarsi piano piano dalla periferia al Centro della Ruota cosmica o del divenire.
    Cosa tutt'altro che semplice per ottenere la quale occorre innanzitutto una predisposizione congenita. Uno spirito religioso definirebbe tale caratteristica innata un ' signum electionis' -, vale a dire un quid che ci si porta dentro dalla nascita e che ci è stato assegnato da una qualche Provvidenza Divina.
    Ma temo che tale destino sia appannaggio di rarissime persone. Una scorciatoia verso quella dimensione interiore che la filosofia Zen chiama non-mente, vale a dire 'assenza del mentale', potrebbe essere rappresentata da qualche forma di meditazione spirituale, ma anche lì temo che quasi nessuno abbia centrato il bersaglio. E allora? Allora viviamo alla giornata non curandoci troppo del fatto che le cose e l'esistenza possano avere un significato recondito. A volte procedendo in una serena atarassia e rilassamento interiore e il più delle volte stanchi, delusi se non depressi. Non dimenticando che bisogna osservare la propria mente come uno specchio sul quale passano immagini e stati d'animo senza curarsi troppo delle une e degli altri.
    Che poi possano irrompere spontaneamente altri stati di coscienza che si apparentano o si identificano con la dimensione poetica, questa rimane pur sempre una possibilità. Ma non vale la pena sperare molto in simili trasmutazioni interiori.
    Per concludere mi preme di notare 'en passant' la rilevanza quasi nulla rappresentata dalle Religioni sull'anima dei contemporanei. Esse hanno fallito, quanto meno nei nostri confronti, e - se non si verificheranno a breve cambiamenti miracolosi - esse si inabisseranno veramente nel nulla.
    E' Dio che vuole così?

    P.S. Che fine ha fatto Avles? Che l'abbiano accoppato?

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  5. Ciao Paolo. Saggi pensieri tramutati in immaginifiche rappresentazioni della vita. E' un piacere leggerti.

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  6. Ciao Paolo, ogni parola di replica al tuo commento, esemplare per nitore e profondità, mi sembrerebbe scalfire una scultura classica.

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