Suscita fervidi dibattiti l'interpretazione dei testi considerati pietre miliari nella storia culturale. Non è agevole l'esegesi di tali Libri, ancor meno riflettere sui metodi ermeneutici corretti. Tuttavia con Gadamer si può ritenere che l'interpretazione sia un colloquio fecondo con la tradizione. Non solo il testo o l’evento sono comprensibili, almeno in una certa misura, tramite il linguaggio, ma anche la natura, per quanto cerchiamo di oggettivarla, è tradotta con strumenti linguistici e culturali.
E' necessario perseguire un'aurea mediocritas che eviti di sdrucciolare in estremi opposti, entrambi sterili, ossia il letteralismo ed il simbolismo aprioristico. In verità, per non incorrere in tali rischi, è opportuno collocare il testo nel suo contesto. Alcuni esempi chiariranno l'interpretazione.
A proposito dell’Epistola a Cangrande della Scala, che ascriverei ad uno dei figli di Dante, Pietro o Jacopo, Umberto Eco osserva che, anche qualora non fosse stata composta dal sommo poeta, “rifletterebbe comunque un atteggiamento interpretativo assai comune a tutta (sic) la cultura medievale e spiegherebbe il modo in cui è stato letto nei secoli Dante”. Orbene, ciò è superficialmente vero, ma dubito che nelle intenzioni di Dante il "poema sacro" dovesse essere letto secondo la rigida quadripartizione illustrata nella lettera. La distinzione tra senso letterale, allegorico, morale ed anagogico ha tutta l'aria di essere uno strumento esegetico a posteriori, trasposto dal campo biblico (dove tra l'altro in alcuni casi è arbitrario) a quello della "Commedia". Questo non significa che il capolavoro dantesco non includa un substrato semantico: lo stesso autore ci esorta a sollevare il “velame delli versi strani”, ma tale humus ora è più sottile ora più spesso ora sostituito dal senso proprio, secondo gli obiettivi estetici ed ideologici dello scrittore.
Se veramente dovessimo o potessimo adottare il criterio quadripartito dell'"Epistola a Cangrande della Scala", ci troveremmo dinanzi ad una specie di gioco meccanico. Molti testi sommi, per la loro mole e per le vicissitudini della stesura, sono costruzioni in fieri (si pensi ai poemi omerici, alla Bibbia, al Corano etc.) e sarebbe assurdo pensare di costringerli in un'unica metodologia interpretativa, dimentica delle stratificazioni, delle confluenze, dei rimaneggiamenti manifestatisi lungo il tempo. I testi sono letteralmente intrecci: vi si annodano fili di significati talvolta eterogenei.
E' sempre d'uopo distinguere ed inquadrare l’opera nella temperie culturale da cui germoglia. Un altro esempio. Prendiamo il celebre incipit del Quarto Vangelo
"Nel principio era il Logos, il Logos era con Dio ed il Logos era Dio.[...] In esso era la vita e la vita era la luce degli uomini. La luce splende nelle tenebre e le tenebre non l'hanno sopraffatta. Vi fu un uomo mandato da Dio, il cui nome era Giovanni. Egli venne come testimone per render testimonianza alla luce, affinché tutti credessero per mezzo di lui. Egli stesso non era la luce, ma venne per render testimonianza alla luce."
E' evidente che questi versetti non possono essere interpretati in modo letterale: la Luce assume una valenza metaforica e spirituale, non essendo certo la radiazione elettromagnetica. Anche le tenebre alludono all'ignoranza ed al male. Questa lettura si giustifica, ricordando in quale milieu fu elaborato il Vangelo detto di Giovanni e con quale linguaggio. E' un ambito in cui sono usate categorie teologiche e filosofiche nonché modelli culturali ellenistici. E' più che legittimo quindi ricercare nel libretto giovanneo valori mistici, dacché esso fu concepito e vergato come vangelo prevalentemente esoterico. Anche i vangeli canonici sono intessuti di ricami metaforici, ma le parti storiche, biografiche (benché di una storia approssimativa) e parenetiche paiono più numerose.
E' lecito, però, applicare categorie emblematiche ai libri, ai passi ed a singole parole della Torah? Ciò avviene da molti secoli e così pure oggi certi biblisti si cimentano in interpretazioni spesso ingegnose, ma poco o punto fondate, in elucubrazioni lambiccate, frutto di una fantasia ammirevole, ma che alla fine tradisce il testo. Quando leggo che nel Pentateuco, l’Egitto adombra la condizione dell'anima imprigionata dagli Arconti, resto perplesso. Davvero l'autore, allorquando usò il termine "Egitto", intendeva accennare una valenza simbolica e non solo la terra in cui gli Ebrei, secondo la tradizione, erano stati in condizione di schiavitù? Il riferimento agli Arconti non è un anacronismo? Forse no, ma sarebbe necessario dimostrarlo, altrimenti resta una petizione di principio.
Essendo la Bibbia una miscellanea di testi, è naturale che in alcuni predomini un retroterra storico, in altri una dimensione allegorica. E' anche vero che il dialogo ermeneutico può portare, se non a cogliere il vero messaggio, ad un inveramento dei contenuti. Mi spiego: l'interpretazione figurale diffusa nel Medioevo e che induceva a vedere in episodi biblici ed anche del mondo pagano, l'anticipazione degli avvenimenti evangelici, è erronea. Tuttavia nel Medioevo tale interpretazione fu ritenuta corretta a tal punto che era naturale per i dotti considerare la IV Egloga di Virgilio un presagio della nascita di Cristo. Non era così, ma molti ci credettero e sovente è vero (il Pragmatismo docet) ciò in cui si crede. Queste convinzioni plasmarono la cultura e la mentalità dei letterati medievali. Ogni epoca crea e nutre convincimenti, ideali e credenze che contribuiscono a modellare le espressioni culturali.
Mi domando se popoli antichi di pastori nomadi avessero interesse a codificare messaggi nei testi o non a rispecchiare le esigenze concrete legate alla vita di tutti i giorni, in cui anche la religione e la morale erano basate su questioni pratiche. E' vero: alcune tradizioni sumeriche ed egizie si infiltrarono nella Bibbia e persino l'alfabeto ebraico custodisce segreti iniziatici. Spetta all'interprete attento ed accorto, discernere per individuare sensi letterali là dove essi si palesano e linee mistiche in quei passi in cui affiorano o si intrecciano a tratti tangibili. E' un errore sia il riduzionismo letterale sia il fantasticare esoterico. E' compito arduo quindi il discernimento, ma ineludibile. Tale impresa può essere in parte facilitata dallo studio del contesto: situando, ad esempio, il Vangelo detto di Filippo nel quadro delle complesse speculazioni gnostiche, porteremo alla luce profonde radici di tipo iniziatico. Scopriremo pure che i messaggi siffatti sono i più importanti, benché circoscritti ad alcuni patrimoni culturali.
Infine ostinarsi ad estrarre valori esoterici là dove originariamente non esistevano, prescindendo da rigorose (e a volte prosaiche) ricostruzioni storiche, paleontologiche, archeologiche, genetiche, è come voler comprendere il soggetto di un quadro, fissandone ad un centimetro di distanza un particolare. Di converso, chi si ferma sempre e solo alla lettera, rischia di percepire una realtà bidimensionale.
Condividi su Facebook
E' necessario perseguire un'aurea mediocritas che eviti di sdrucciolare in estremi opposti, entrambi sterili, ossia il letteralismo ed il simbolismo aprioristico. In verità, per non incorrere in tali rischi, è opportuno collocare il testo nel suo contesto. Alcuni esempi chiariranno l'interpretazione.
A proposito dell’Epistola a Cangrande della Scala, che ascriverei ad uno dei figli di Dante, Pietro o Jacopo, Umberto Eco osserva che, anche qualora non fosse stata composta dal sommo poeta, “rifletterebbe comunque un atteggiamento interpretativo assai comune a tutta (sic) la cultura medievale e spiegherebbe il modo in cui è stato letto nei secoli Dante”. Orbene, ciò è superficialmente vero, ma dubito che nelle intenzioni di Dante il "poema sacro" dovesse essere letto secondo la rigida quadripartizione illustrata nella lettera. La distinzione tra senso letterale, allegorico, morale ed anagogico ha tutta l'aria di essere uno strumento esegetico a posteriori, trasposto dal campo biblico (dove tra l'altro in alcuni casi è arbitrario) a quello della "Commedia". Questo non significa che il capolavoro dantesco non includa un substrato semantico: lo stesso autore ci esorta a sollevare il “velame delli versi strani”, ma tale humus ora è più sottile ora più spesso ora sostituito dal senso proprio, secondo gli obiettivi estetici ed ideologici dello scrittore.
Se veramente dovessimo o potessimo adottare il criterio quadripartito dell'"Epistola a Cangrande della Scala", ci troveremmo dinanzi ad una specie di gioco meccanico. Molti testi sommi, per la loro mole e per le vicissitudini della stesura, sono costruzioni in fieri (si pensi ai poemi omerici, alla Bibbia, al Corano etc.) e sarebbe assurdo pensare di costringerli in un'unica metodologia interpretativa, dimentica delle stratificazioni, delle confluenze, dei rimaneggiamenti manifestatisi lungo il tempo. I testi sono letteralmente intrecci: vi si annodano fili di significati talvolta eterogenei.
E' sempre d'uopo distinguere ed inquadrare l’opera nella temperie culturale da cui germoglia. Un altro esempio. Prendiamo il celebre incipit del Quarto Vangelo
"Nel principio era il Logos, il Logos era con Dio ed il Logos era Dio.[...] In esso era la vita e la vita era la luce degli uomini. La luce splende nelle tenebre e le tenebre non l'hanno sopraffatta. Vi fu un uomo mandato da Dio, il cui nome era Giovanni. Egli venne come testimone per render testimonianza alla luce, affinché tutti credessero per mezzo di lui. Egli stesso non era la luce, ma venne per render testimonianza alla luce."
E' evidente che questi versetti non possono essere interpretati in modo letterale: la Luce assume una valenza metaforica e spirituale, non essendo certo la radiazione elettromagnetica. Anche le tenebre alludono all'ignoranza ed al male. Questa lettura si giustifica, ricordando in quale milieu fu elaborato il Vangelo detto di Giovanni e con quale linguaggio. E' un ambito in cui sono usate categorie teologiche e filosofiche nonché modelli culturali ellenistici. E' più che legittimo quindi ricercare nel libretto giovanneo valori mistici, dacché esso fu concepito e vergato come vangelo prevalentemente esoterico. Anche i vangeli canonici sono intessuti di ricami metaforici, ma le parti storiche, biografiche (benché di una storia approssimativa) e parenetiche paiono più numerose.
E' lecito, però, applicare categorie emblematiche ai libri, ai passi ed a singole parole della Torah? Ciò avviene da molti secoli e così pure oggi certi biblisti si cimentano in interpretazioni spesso ingegnose, ma poco o punto fondate, in elucubrazioni lambiccate, frutto di una fantasia ammirevole, ma che alla fine tradisce il testo. Quando leggo che nel Pentateuco, l’Egitto adombra la condizione dell'anima imprigionata dagli Arconti, resto perplesso. Davvero l'autore, allorquando usò il termine "Egitto", intendeva accennare una valenza simbolica e non solo la terra in cui gli Ebrei, secondo la tradizione, erano stati in condizione di schiavitù? Il riferimento agli Arconti non è un anacronismo? Forse no, ma sarebbe necessario dimostrarlo, altrimenti resta una petizione di principio.
Essendo la Bibbia una miscellanea di testi, è naturale che in alcuni predomini un retroterra storico, in altri una dimensione allegorica. E' anche vero che il dialogo ermeneutico può portare, se non a cogliere il vero messaggio, ad un inveramento dei contenuti. Mi spiego: l'interpretazione figurale diffusa nel Medioevo e che induceva a vedere in episodi biblici ed anche del mondo pagano, l'anticipazione degli avvenimenti evangelici, è erronea. Tuttavia nel Medioevo tale interpretazione fu ritenuta corretta a tal punto che era naturale per i dotti considerare la IV Egloga di Virgilio un presagio della nascita di Cristo. Non era così, ma molti ci credettero e sovente è vero (il Pragmatismo docet) ciò in cui si crede. Queste convinzioni plasmarono la cultura e la mentalità dei letterati medievali. Ogni epoca crea e nutre convincimenti, ideali e credenze che contribuiscono a modellare le espressioni culturali.
Mi domando se popoli antichi di pastori nomadi avessero interesse a codificare messaggi nei testi o non a rispecchiare le esigenze concrete legate alla vita di tutti i giorni, in cui anche la religione e la morale erano basate su questioni pratiche. E' vero: alcune tradizioni sumeriche ed egizie si infiltrarono nella Bibbia e persino l'alfabeto ebraico custodisce segreti iniziatici. Spetta all'interprete attento ed accorto, discernere per individuare sensi letterali là dove essi si palesano e linee mistiche in quei passi in cui affiorano o si intrecciano a tratti tangibili. E' un errore sia il riduzionismo letterale sia il fantasticare esoterico. E' compito arduo quindi il discernimento, ma ineludibile. Tale impresa può essere in parte facilitata dallo studio del contesto: situando, ad esempio, il Vangelo detto di Filippo nel quadro delle complesse speculazioni gnostiche, porteremo alla luce profonde radici di tipo iniziatico. Scopriremo pure che i messaggi siffatti sono i più importanti, benché circoscritti ad alcuni patrimoni culturali.
Infine ostinarsi ad estrarre valori esoterici là dove originariamente non esistevano, prescindendo da rigorose (e a volte prosaiche) ricostruzioni storiche, paleontologiche, archeologiche, genetiche, è come voler comprendere il soggetto di un quadro, fissandone ad un centimetro di distanza un particolare. Di converso, chi si ferma sempre e solo alla lettera, rischia di percepire una realtà bidimensionale.
Condividi su Facebook