Una notte – definita “la Notte del Destino” – l’ultima decade del mese di ramadan nell’anno 610, il quarantenne Maometto si assopì in una grotta ai piedi del Monte Hira: gli si palesò in sogno un angelo recante in mano un rotolo di stoffa, coperto di segni. L’angelo intendeva comunicare al Profeta una prima rivelazione di Allah.
L’araldo celeste, porgendo la pergamena all’uomo, lo incitò: “Leggi!” Maometto risponde: “Non so leggere”. “Leggi, leggi!”, grida il messaggero e gli preme la pergamena sul petto. Quando Maometto domanda: “Che cosa devo leggere?”, l’angelo dice. “Leggi! Noi lo facemmo scendere (Il Corano) nella Notte del Decreto. La Notte del Dcreto vale più di mille mesi. In essa gli angeli e lo Spirito, al comando del loro Signore, discenderanno con il divino decreto che riguarda ogni cosa”. (sura 97, 2-5).
Maometto improvvisamente si destò, ma quelle parole gli erano rimaste nel cuore. Egli lasciò la caverna e, mentre indugiava ancora sul monte, udì una voce dal cielo che lo salutò come inviato di Allah: “Maometto, tu sei l’Eletto di Allah ed io sono Gabriele”. Scorse pure, dritto all’orizzonte, un angelo gigantesco: profondamente scosso dalla visione, Maometto tornò a casa dove raccontò l’esperienza alla consorte Hadiga.
Questa è la famosa prima rivelazione del Corano. Nella versione islamica corrente di tale evento, fu l'arcangelo Gabriele ad apparire al fondatore dell’Islam, ma le fonti musulmane più antiche ci presentano un quadro un po’ più articolato. Lo storico del IX secolo, Ibn Sa‘d, registra una tradizione secondo cui fu un angelo chiamato Serafel a visitare il Profeta la prima volta. Serafel fu poi sostituito da Gabriele. L’erudito precisa, però, che i più importanti studiosi non hanno confermato questa variante, sostenendo che soltanto Gabriele apparve a Maometto.
Il racconto sopra riportato contiene i tratti peculiari delle rivelazioni: un uomo è scelto da Dio affinché porti la Sua parola tra gli uomini, il messaggero consegna al profeta un libro, l’epifania turba il destinatario del messaggio. Pur con qualche cambiamento, tale paradigma si può rintracciare nelle varie tradizioni che sanciscono la fondazione di un credo.
Si pensi alla chiesa di Cristo dei Santi degli ultimi giorni il cui iniziatore, Joseph Smith, la notte del 21 settembre 1823, ebbe la visione dell’angelo Moroni il quale gli parlò di un testo inciso su tavole d’oro. Quattro anni dopo, Smith ricevette una seconda visita, durante la quale l’angelo gi consegnò le tavole auree. Con l’ausilio di due “cristalli”, detti urim e thummim, l’analfabeta Smith riuscì a decifrare i contenuti del libro - vergati con una scrittura simile ai geroglifici - ed a tradurli. L’opera che ne risultò fu stampata nel 1830 con il titolo di “Libro di Mormon”.
E’ istruttivo indugiare sul nome e sulla figura dell’angelo Gabriele. Il mome deriva dall’ebraico גַבְרִיאֵל (Gavri'el), composto da gebher (o gheber, "uomo", a sua volta derivante da gabhar o gabar, "essere forte") combinato con El-Eloha ("Dio"). Può quindi significare "uomo di Dio", "uomo forte di Dio", "eroe di Dio".
È un nome di tradizione biblica, portato da uno degli arcangeli, Gabriele: egli è citato sia nell'Antico Testamento sia nel Nuovo, nel quale annuncia la nascita di Giovanni e di Gesù, rispettivamente a Zaccaria ed a Maria.
Luca Bitondi ci ricorda che Gavriel discende da ghever, singolare del termine ghibborim. Ghibborim vale “uomini potenti, vigorosi, illustri”. Costoro sono menzionati in Genesi 6:1- 4 dove si legge: "Quando gli uomini cominciarono a moltiplicarsi sulla faccia della terra e furono loro nate delle figlie, avvenne che i figli di Dio videro che le figlie degli uomini erano belle (letteralmente “adatte”) e presero per mogli quelle che si scelsero fra tutte. Il Signore disse: ‘Lo Spirito mio non contenderà per sempre con l’uomo poiché, nel suo traviamento, egli non è che carne; i suoi giorni dureranno quindi centoventi anni. In quel tempo c’erano sulla terra i giganti (nephilim) e ci furono anche in seguito, quando i figli di Dio si unirono alle figlie degli uomini ed ebbero da loro dei figli. Questi sono gli uomini potenti (ghibborim) che, fin dai tempi antichi, sono stati famosi".
Se i nephilim ed i ghibborim coincidessero, come lascerebbe intendere il passo della Torah, sarebbe possibile pure istituire un’equivalenza, almeno in certi casi, tra giganti ed angeli.
E’ significativo: gli angeli, nella Bibbia chiamati “malakim” da una base “mlk” (מלך) che, nelle lingue semitiche, designa importanza, prestigio, ruolo degno di nota, regalità etc. sono associati alla forza ed alla possanza. Siamo al cospetto di intermediari tra Dio e gli uomini che talora stupiscono ignari ospiti sia per i loro poteri sia per la loro statura: per giunta l’angelo di Maometto è “gigantesco”. Anche il pittore Perugino attribuisce dimensioni eccelse a Raffaele nel quadro “Tobia e l’angelo”.
Se rammentiamo che nel Corano la sura 53 definisce “Allah il Signore di Sirio”, si ha l’impressione di aver letto solo il primo strato del palinsesto…
Fonti:
L. Bitondi, Il pianeta dei caduti, in X Times n. 51, gennaio 2013
Enciclopedia delle religioni, Milano, 2000 s.v. Islam e Mormoni
A. Mercatante, Dizionario dei miti e delle leggende, Roma 2001 s.v. Gabriele
L’araldo celeste, porgendo la pergamena all’uomo, lo incitò: “Leggi!” Maometto risponde: “Non so leggere”. “Leggi, leggi!”, grida il messaggero e gli preme la pergamena sul petto. Quando Maometto domanda: “Che cosa devo leggere?”, l’angelo dice. “Leggi! Noi lo facemmo scendere (Il Corano) nella Notte del Decreto. La Notte del Dcreto vale più di mille mesi. In essa gli angeli e lo Spirito, al comando del loro Signore, discenderanno con il divino decreto che riguarda ogni cosa”. (sura 97, 2-5).
Maometto improvvisamente si destò, ma quelle parole gli erano rimaste nel cuore. Egli lasciò la caverna e, mentre indugiava ancora sul monte, udì una voce dal cielo che lo salutò come inviato di Allah: “Maometto, tu sei l’Eletto di Allah ed io sono Gabriele”. Scorse pure, dritto all’orizzonte, un angelo gigantesco: profondamente scosso dalla visione, Maometto tornò a casa dove raccontò l’esperienza alla consorte Hadiga.
Questa è la famosa prima rivelazione del Corano. Nella versione islamica corrente di tale evento, fu l'arcangelo Gabriele ad apparire al fondatore dell’Islam, ma le fonti musulmane più antiche ci presentano un quadro un po’ più articolato. Lo storico del IX secolo, Ibn Sa‘d, registra una tradizione secondo cui fu un angelo chiamato Serafel a visitare il Profeta la prima volta. Serafel fu poi sostituito da Gabriele. L’erudito precisa, però, che i più importanti studiosi non hanno confermato questa variante, sostenendo che soltanto Gabriele apparve a Maometto.
Il racconto sopra riportato contiene i tratti peculiari delle rivelazioni: un uomo è scelto da Dio affinché porti la Sua parola tra gli uomini, il messaggero consegna al profeta un libro, l’epifania turba il destinatario del messaggio. Pur con qualche cambiamento, tale paradigma si può rintracciare nelle varie tradizioni che sanciscono la fondazione di un credo.
Si pensi alla chiesa di Cristo dei Santi degli ultimi giorni il cui iniziatore, Joseph Smith, la notte del 21 settembre 1823, ebbe la visione dell’angelo Moroni il quale gli parlò di un testo inciso su tavole d’oro. Quattro anni dopo, Smith ricevette una seconda visita, durante la quale l’angelo gi consegnò le tavole auree. Con l’ausilio di due “cristalli”, detti urim e thummim, l’analfabeta Smith riuscì a decifrare i contenuti del libro - vergati con una scrittura simile ai geroglifici - ed a tradurli. L’opera che ne risultò fu stampata nel 1830 con il titolo di “Libro di Mormon”.
E’ istruttivo indugiare sul nome e sulla figura dell’angelo Gabriele. Il mome deriva dall’ebraico גַבְרִיאֵל (Gavri'el), composto da gebher (o gheber, "uomo", a sua volta derivante da gabhar o gabar, "essere forte") combinato con El-Eloha ("Dio"). Può quindi significare "uomo di Dio", "uomo forte di Dio", "eroe di Dio".
È un nome di tradizione biblica, portato da uno degli arcangeli, Gabriele: egli è citato sia nell'Antico Testamento sia nel Nuovo, nel quale annuncia la nascita di Giovanni e di Gesù, rispettivamente a Zaccaria ed a Maria.
Luca Bitondi ci ricorda che Gavriel discende da ghever, singolare del termine ghibborim. Ghibborim vale “uomini potenti, vigorosi, illustri”. Costoro sono menzionati in Genesi 6:1- 4 dove si legge: "Quando gli uomini cominciarono a moltiplicarsi sulla faccia della terra e furono loro nate delle figlie, avvenne che i figli di Dio videro che le figlie degli uomini erano belle (letteralmente “adatte”) e presero per mogli quelle che si scelsero fra tutte. Il Signore disse: ‘Lo Spirito mio non contenderà per sempre con l’uomo poiché, nel suo traviamento, egli non è che carne; i suoi giorni dureranno quindi centoventi anni. In quel tempo c’erano sulla terra i giganti (nephilim) e ci furono anche in seguito, quando i figli di Dio si unirono alle figlie degli uomini ed ebbero da loro dei figli. Questi sono gli uomini potenti (ghibborim) che, fin dai tempi antichi, sono stati famosi".
Se i nephilim ed i ghibborim coincidessero, come lascerebbe intendere il passo della Torah, sarebbe possibile pure istituire un’equivalenza, almeno in certi casi, tra giganti ed angeli.
E’ significativo: gli angeli, nella Bibbia chiamati “malakim” da una base “mlk” (מלך) che, nelle lingue semitiche, designa importanza, prestigio, ruolo degno di nota, regalità etc. sono associati alla forza ed alla possanza. Siamo al cospetto di intermediari tra Dio e gli uomini che talora stupiscono ignari ospiti sia per i loro poteri sia per la loro statura: per giunta l’angelo di Maometto è “gigantesco”. Anche il pittore Perugino attribuisce dimensioni eccelse a Raffaele nel quadro “Tobia e l’angelo”.
Se rammentiamo che nel Corano la sura 53 definisce “Allah il Signore di Sirio”, si ha l’impressione di aver letto solo il primo strato del palinsesto…
Fonti:
L. Bitondi, Il pianeta dei caduti, in X Times n. 51, gennaio 2013
Enciclopedia delle religioni, Milano, 2000 s.v. Islam e Mormoni
A. Mercatante, Dizionario dei miti e delle leggende, Roma 2001 s.v. Gabriele