07 novembre, 2014

Traduzioni e tradizioni


Qualche giorno addietro mi è stato donato un libretto contenente i Vangeli ed i Salmi. Si può immaginare la mia meraviglia, quando, per sincerarmi di com’è stato tradotto il testo “originale”, ho scelto Matteo 11, 12, di cui ho letto la seguente versione: “Dai giorni di Giovanni il Battista fino ad ora, il regno dei cieli è preso a forza ed i violenti se ne impadroniscono”.

Altre rese sono le seguenti:

C.E.I.

"Dai giorni di Giovanni il Battista fino ad ora, il regno dei cieli soffre violenza ed i violenti se ne impadroniscono".

Nuova Diodati

"E dai giorni di Giovanni Battista fino ad ora, il regno dei cieli subisce violenza ed i violenti lo rapiscono".

Diodati

"Ora, da' giorni di Giovanni Battista infino ad ora, il regno de' cieli è sforzato ed i violenti lo rapiscono".

La traduzione in cui mi sono imbattuto è quella più vicina all’archetipo dove è scritto: ἀπὸ δὲ τῶν ἡμερῶν Ἰωάννου τοῦ βαπτιστοῦ ἕως ἄρτι ἡ βασιλεία τῶν οὐρανῶν βιάζεται καὶ βιασταὶ ἁρπάζουσιν αὐτήν. Il versetto, a mio parere, si dovrebbe rendere nel modo seguente: “Dai giorni di Giovanni il Battista fino ad oggi, il Regno dei cieli è ottenuto per mezzo della violenza ed i violenti se ne impadroniscono (letteralmente lo ‘afferrano’)”. Il prestigioso vocabolario del Rocci riporta come accezione del verbo, nella diatesi media, appunto “ottenere”.

E’ naturale che i teologi si avventurano in mille acrobazie ed equilibrismi per giustificare il rapporto tra Regno dei cieli e violenza, ora interpretando in senso metaforico e capzioso la sopraffazione ora intendendo come passivo il verbo “biazetai”, laddove questa forma verbale - media e non passiva (manca, tra le altre cose, il complemento d’agente) - indica un’azione che è compiuta nell’interesse del soggetto. Hanno probabilmente ragione quegli esegeti e storici che, considerando l’intento paolino di depoliticizzare la figura e gli obiettivi del Messia di David, colgono in questo passo un indizio del substrato rivoluzionario inerente al Cristianesimo primitivo. E’ una mestica che è stata quasi sempre rimossa, ma di cui restano qua e là tracce.

E’ evidente che la storia, l’archeologia, la glottologia etc. ricostruiscono una figura del Cristo diversa da quella trasmessa dalle chiese: non il Redentore dal peccato per l’intera umanità, ma uno dei tanti combattenti messianisti che, nella Palestina tra I sec. a. C. e I sec. d.C., miravano a restaurare un terreno Regno di David, una volta rovesciato l’aborrito dominio romano.

E’ anche palese che le acquisizioni degli studiosi turbano solo coloro che ritengono debba esistere una sostanziale solidarietà tra storia e fede. Chi, invece, per “fede” ignora le risultanze degli esperti, conclusioni in grado di minare, almeno potenzialmente, le fondamenta del Cristianesimo, continuerà a credere in tutto ciò che è inverosimile e contraddittorio.

Vero è che, disgregato sotto il profilo storico, il credo cristiano mantiene i suoi significati simbolici. Benedetto Croce ammise che “non possiamo non ritenerci cristiani”. Non aveva tutti i torti, se si considera il Cristianesimo non solo un fenomeno culturale, ma una sorta di forma-pensiero o un’eredità psico-genetica che, volenti o nolenti, influisce, almeno in una certa misura, su chi è nato e vissuto in un paese dove si professa una delle numerose forme di Cristianesimo.

Tuttavia, sotto il profilo oggettivo ed empirico, le narrazioni e le credenze del Cristianesimo si rivelano illusorie e compensatrici, non solo quando si analizza il Nuovo Testamento, ma pure se si cerca di radicarlo nella Torah. Si è costretti, infatti, a rinunciare all valore della Redenzione dal peccato originale, valore che è cardine della religione cristiana, come la dottrina della Risurrezione.

Che cos'è, infatti, scritto in Genesi?

• L’albero della vita è al centro dell’Eden (Gen. 2,9).
• Dio proibisce di mangiare il frutto dell'albero della conoscenza del bene e del male (Gen. 2,17).
• Eva mangia il frutto dell’albero della vita che è al centro dell’Eden (Gen. 3,2).

Gen. 2,9: “Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare e l’albero della vita in mezzo al giardino e l’albero della conoscenza del bene e del male”.

Ogni albero è indipendente e produce i suoi frutti. L'albero della vita è in mezzo all’Eden, mentre accanto, ma separatamente prospera l’albero della conoscenza del bene e del male. Il primato e quindi la centralità spettano all’albero della vita senza il quale non esiste alcunché, neppure la conoscenza.

Gen 2,17: “Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti”.

Del Giardino sono indicati due alberi: quello della vita e quello della conoscenza. Dio intima di non mangiare i frutti dell'albero della conoscenza. Proibisce solo i frutti di quell'albero.

Gen. 3,2: “Rispose la donna al serpente: ‘Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, ma del frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: ‘Non dovete mangiarne e non lo dovete toccare, altrimenti morirete’.”

Eva conferma che al centro dell’Eden cresce un solo albero con un solo frutto. La frase è al singolare. E’ l'albero della vita (in Gen. 2,9) il cui frutto Eva ha mangiato, mentre Dio ha ingiunto di NON MANGIARE il frutto dell'albero della conoscenza (Gen. 2,17). Quindi Adamo ed Eva sono espulsi e condannati per un peccato che non hanno commesso.

Viviamo nel Kali-yuga, il tempo più difficile ed oscuro della storia umana. E’ un’età in cui perdere quei pochi appigli che ci permettono di sopravvivere è una tragedia. Dunque il naufragio dei sogni cristiani (e delle altre religioni) può avere effetti disastrosi su un’umanità già allo sbando.

Si può tentare di salvare il Cristianesimo, traducendolo in un sublime mito cosmico che adombra la caduta nel tempo della Coscienza ed il suo anelito a ricongiungersi con il Principio. Sarà, però, un Cristianesimo senza dogmi e riti, avulso da chiese e gerarchie. Non sarà facile compiere questa operazione che ci chiede di cambiare pelle e soprattutto cuore.

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4 commenti:

  1. E’ un tema questo a me carissimo. Non possiedo qualifiche se non la personale sensibilità che, davvero non posso dire come o perché, sento essere riverberata dall’irradiazione che emana il simbolo redentivo della Croce e del messaggio di Cristo.
    Tragedia prettamente umana, crisi vorticosa dei tempi, destino collettivo, riguardano la crisi, la tragedia, il destino universale stesso. La Coscienza non costituisce un accadimento “periferico” ma puramente “centrale” connesso alla realtà del Cosmo. Il Gesù cattolico non esiste nell’accezione comunemente intesa, esso è un impostura. Il predicato iridescente (Cristo allegorico) e latente in ognuno riguarda la sostanza che sola può evitare l’ inaridimento interiore. La nostra Età, a tutti gli effetti, costituisce l’effettiva “prova del cuore”, per la quale ogni antico rito e iniziazione ha perduto la propria funzione d’effettivo sostegno. Non si tratta d’invitare le persone a coltivare un immagine di amore che è impuramente vitrea quanto astratta. Solo gli antichi, in questo, potevano dire Amore e creare effettivamente l’orizzonte, tracciando in esso la rotta della navigazione metafisica. La Theosis è Argonautica e Cristica, almeno così è nella visione del cristianesimo ortodosso e non cattolico. Alla Theosis intimamente dovremmo tendere, privi d’ogni illanguidimento intorpidente. Considero fortunato chi si strugge di nostalgia (nostalgia ardente) per ciò che "un tempo" potemmo essere. Un saluto

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    1. Ho scritto che bisogna provare a tradurre il Cristianesimo in un mito, ma avrei dovuto scrivere che bisogna tentare di viverlo. Il mito ed il simbolo trascendono la storia e l'esistenza, perché sono oltre il tempo.

      Quanto scrivi mi trova concorde: il Cattolicesimo è una parodia. La vera sfida è custodire una scintilla di Vita e di Speranza in un'età svuotata e vuota.. E' sfida ancora più ardua, perché tragicamente solitaria.

      Grazie del mistico commento.

      Ciao

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