Effetto trascinamento: così definiremmo la deplorevole situazione che si genera, quando per smentire una tesi considerata bizzarra ed inverosimile, si avvalorano, palesando totale assenza di spirito critico, i più screditati modelli propugnati dall’establishment pseudo-scientifico e le più ridicole versioni ufficiali. Un esempio per tutti: ci si impegna per confutare la teoria della Terra discoidale (vulgo “teoria della Terra piatta), con argomenti più o meno persuasivi, più o meno plausibili, ma, nel contempo, ci si trascina dietro, nella foga della confutazione, tutto il più polveroso armamentario della propaganda: si adducono come prove documenti partoriti dalla nasuta N.A.S.A., (comprese castronaute dalle improbabili permanenti), ci si richiama ad autori famigerati per la loro vicinanza alla disinformazione, si evocano paradigmi che esorbitano dal tema trattato, come l’obsoleto Darwinismo o concetti scientifici messi in discussione, se non in crisi, dalle più recenti acquisizioni della fisica quantistica, di altre avanguardie epistemologiche, di altri orizzonti gnoseologici.
Non solo, invece di procedere con rigore metodologico e con precisione semantica, presto si scade nella denigrazione, usando i soliti epiteti (ad esempio, l’orrido neologismo “complottisti”). Così subito si comprende che il proposito di oggettività ostentato da certi ricercatori è solo il velo dietro cui si nasconde la maschera butterata del negazionismo. Non ci stupiamo poi se le posizioni tendono a radicalizzarsi, se qualcuno si arrocca a difesa di convincimenti che si induriscono in dogmi, in luogo di essere smussati e concepiti come tappe di un percorso conoscitivo, stadi suscettibili di essere superati in una direzione o in un’altra.
Uno fra gli aspetti considerati da chi sostiene la teoria della Terra sferoidale, come da chi è assertore del modello discoidale, è la prospettiva, naturalmente colta da... prospettive differenti. In questo ambito ci pare si noti, da una parte e dall’altra, la resa all’oggetto, la capitolazione di fronte alla “cosa”: non ci consta, infatti, che i vari contendenti ricordino, nel considerare la percezione delle linee, l’incidenza della retina che tende ad incurvare le rette. E’ un particolare di cui tenevano conto i Greci, allorché erigevano i templi con le colonne che erano leggermente rigonfie nella parte centrale – tale convessità è definita “entasi” – proprio per compensare la tendenza della retina ad incurvare i segmenti diritti.
Si dimentica, infine, che la prospettiva non è solo un fenomeno ottico “esterno”, ma pure un processo psicologico e persino una manifestazione intellettuale, come c’insegna Erwin Panofsky nel fondamentale saggio “La prospettiva come forma simbolica”. Nel volume la profondità, la successione dei piani e il progressivo rimpicciolimento delle immagini, quanto più si allontanano dall’osservatore, sono inquadrati in un contesto culturale. Lo specialista, rifacendosi a Cassirer, dimostra che gli uomini in parte vedono la “realtà” non com’è percepita, ma com’è pensata e conosciuta. Un bambino che disegna la casa, il prato, l’albero ed il cielo, ignora tranquillamente la prospettiva, perché sa che è un’illusione dei sensi. “Scienziati” e teorici ne sono altrettanto consapevoli?
Non solo, invece di procedere con rigore metodologico e con precisione semantica, presto si scade nella denigrazione, usando i soliti epiteti (ad esempio, l’orrido neologismo “complottisti”). Così subito si comprende che il proposito di oggettività ostentato da certi ricercatori è solo il velo dietro cui si nasconde la maschera butterata del negazionismo. Non ci stupiamo poi se le posizioni tendono a radicalizzarsi, se qualcuno si arrocca a difesa di convincimenti che si induriscono in dogmi, in luogo di essere smussati e concepiti come tappe di un percorso conoscitivo, stadi suscettibili di essere superati in una direzione o in un’altra.
Uno fra gli aspetti considerati da chi sostiene la teoria della Terra sferoidale, come da chi è assertore del modello discoidale, è la prospettiva, naturalmente colta da... prospettive differenti. In questo ambito ci pare si noti, da una parte e dall’altra, la resa all’oggetto, la capitolazione di fronte alla “cosa”: non ci consta, infatti, che i vari contendenti ricordino, nel considerare la percezione delle linee, l’incidenza della retina che tende ad incurvare le rette. E’ un particolare di cui tenevano conto i Greci, allorché erigevano i templi con le colonne che erano leggermente rigonfie nella parte centrale – tale convessità è definita “entasi” – proprio per compensare la tendenza della retina ad incurvare i segmenti diritti.
Si dimentica, infine, che la prospettiva non è solo un fenomeno ottico “esterno”, ma pure un processo psicologico e persino una manifestazione intellettuale, come c’insegna Erwin Panofsky nel fondamentale saggio “La prospettiva come forma simbolica”. Nel volume la profondità, la successione dei piani e il progressivo rimpicciolimento delle immagini, quanto più si allontanano dall’osservatore, sono inquadrati in un contesto culturale. Lo specialista, rifacendosi a Cassirer, dimostra che gli uomini in parte vedono la “realtà” non com’è percepita, ma com’è pensata e conosciuta. Un bambino che disegna la casa, il prato, l’albero ed il cielo, ignora tranquillamente la prospettiva, perché sa che è un’illusione dei sensi. “Scienziati” e teorici ne sono altrettanto consapevoli?
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