Pubblico un articolo di Francesco Lamendola, autore (tra i pochi) che continuo a seguire e di cui non ho più proposto gli studi, solo per ragioni contingenti. Il testo è una riflessione sullo scientismo prevaricatore e ben descrive uno dei peccati mortali della nostra "civiltà", la pulsione di morte a danno di tutto ciò che ha un'anima.
Non è solo insipienza e superficialità: si avverte un astio incoercibile verso la natura, aggredita e stuprata in ogni istante, in ogni angolo del pianeta. Dal pino tagliato perché la sua chioma toglie un po' di luce (si potrebbe potarlo, ma lo si svelle) all'operazione "scie chimiche" che è pure un oltraggio alla bellezza del cielo, alla fantasia delle nuvole, quest'odio sembra non conoscere confini.
Quanti fantasmi di sogni abitano nella città dei morti!
Hanno fatto un deserto e lo chiamano progresso. E' un deserto nelle cui oasi svettano antenne giganteschee tralicci minacciosi, oasi in cui si affolla un'umanità inumana che si abbevera alle fonti dell'invidia, della superbia e della maldicenza.
Quante volte sentiamo questa lama gelida che taglia l'aria tra gli interlocutori! Dietro un velo di ipocrita cortesia, si agitano torbidi, oscuri, stagnanti sentimenti di livore. Che cosa invidiano costoro che hanno tutto? Successo, buona reputazione, denaro... non bastano loro: vorrebbero essere apprezzati per qualità che ostentano perché non le possiedono. Forse vorrebbero essere amati, ma anche chi non ha il terzo occhio, per istinto, non osa avvicinarsi a questi esseri dall'aura mefitica, morbosa, violacea. Sono manichini cadaverici, bambole slogate dallo sguardo vitreo. Sono i personaggi della fielevisione e noi ci aggiriamo tra larve avide di sangue, sperduti alla ricerca di angeli che sono volati via, altrove. Mentre tronfi trionfano nei tribunali ed urlano nelle università, intuiscono di essere degli sconfitti, giacché mai hanno amato veramente, carezzato con affetto sincero un cane, sorriso ad un bambino, ascoltato con gratitudine la melopea del vento. Alla fine si prova compassione per chi è prigioniero del suo Ego ipertrofico.
Da dove proviene tutto questo odio che pare immotivato, la smania di dominio, il desiderio di vendicarsi contro chi non è come te? Ancora una volta il male si constata: non si spiega.
Questi veleni schizzano talvolta da chi si riempie la bocca ed empie i blogs di parole come "consapevolezza", "spiritualità", "armonia", "amore"... Ciò non sorprende.
Come bende di lino bianchissimo che si staccano da mummie graveolenti, queste parole belle, ma false cadono, lasciando intravedere il putridume.
Nella «Nuova Atlantide» di Francesco Bacone (1561-1626) vediamo la concezione meccanicistica ed utilitaristica della natura portata fino alle estreme conseguenze, con la celebrazione di una illimitata facoltà di manipolazione sulle cose e sugli esseri viventi.
Bacone è stato definito il profeta della tecnica, ma, in realtà, è stato molto di più: è stato il profeta di una casta di tecnoscienziati i quali organizzano a loro discrezione l'intera società; modificano geneticamente piante e animali; ottengono la maturazione di frutta fuori stagione; compiono esperimenti ripugnanti per vedere fino a che punto degli animali possono vivere, dopo essere stati mutilati delle loro parti vitali; costruiscono robot capaci di ogni genere di movimento; conducono mostruose operazioni per creare delle razze animali nane o gigantesche, influendo sullo sviluppo delle cavie; fabbricano armi sempre più potenti e micidiali; realizzano navi sommergibili e studiano la possibilità di realizzare il volo.
In breve, manipolano ogni cosa e ogni essere vivente, con la più completa libertà e con la più totale mancanza di scrupoli; anzi, senza neanche porsi minimamente un problema etico nei confronti delle loro scoperte e delle relative applicazioni.
Più che il paradiso degli scienziati e dei tecnici, la "Nuova Atlantide", deforme caricatura dell'Atlantide di Platone e stravolgimento di ogni legame di armonia e di rispetto fra uomo e natura, è il delirio di una mente assetata di dominio, di potenza, d successo: una proiezione dell'Inghilterra di Elisabetta che, dopo la vittoria sull'Invincibile Armada di Filippo II di Spagna, si avviava a diventare la prima potenza marittima d'Europa ed a gettare le basi del suo impero coloniale e della sua potenza mercantile e finanziaria.
Per Ufologia "religiosa" si può intendere quella corrente che, prendendo le mosse da alcuni contattisti, ha poi elaborato una dottrina xenologica fondata su una giustapposizione di contenuti tipici del cultismo (extraterrestri benevoli e dagli atteggiamenti paternalistici) e di temi cristiani, come la centralità del Cristo e la venerazione della Madonna.
E' evidente che si tratta di un pastiche, di un guazzabuglio, non privo di interesse antropologico, il cui valore conoscitivo e spirituale è, però, pressoché assente. Alcuni caratteri di questa tendenza meritano un po' di attenzione, poiché rivelano, per contrasto, aspetti discutibili e forse mistificanti.
In primo luogo, Giorgio Bongiovanni, che è il più insigne esponente dell'ufologia "cristiana", anzi para-cattolica, insieme con altri messaggeri, punta sulla criminalizzazione dell'umanità, da cui deriverebbero tutti i mali del pianeta. Gli uomini, infatti, inquinano, disboscano, consumano in modo sfrenato, fomentano conflitti. Gli uomini sono di cervice dura, avidi, violenti, edonisti, indifferenti al destino sia dei bambini sia di Gaia. Molte persone rispondono a questo non lusinghiero ritratto, ma generalizzare è sbagliato. Nei vari messaggi, promulgati dall'araldo stigmatizzato, non si accenna mai alle responsabilità di entità malefiche (Arconti) o di creature malvagie. Il noto libro di Giorgio Dibitonto, Angeli in astronave, testo di non spiacevole lettura ed edificante come un catechismo per fanciulli, contiene solo un fuggevole rimando ad esseri negativi. Per il resto, l’opuscolo è una narrazione e descrizione oleografica dei fratelli del cosmo, biondi, angelici, animati da intenti nobilissimi. Nell'opera, tutta tramata di citazioni bibliche, non mancano i moniti contro i fabbricatori del male e l'annuncio di un'età di immani distruzioni che, però, si concluderà con la Parousia del Cristo.
Quello che sconcerta dell'ufologia "cristiana" è l'ossessiva, implacabile condanna dell'umanità tout court, laddove il dito accusatore dovrebbe essere puntato contro i governi, anzi contro il governo occulto, che in quest'orgia di canalizzazioni imperniate su discorsi apocalittici, alla fine è appena sfiorato. Il guaio è che gli esecutivi terrestri, quando sono evocati, sono additati come insipienti ed irresponsabili e non come consapevoli perpetratori di innominabili delitti. In questa accusa generalizzata contro l'umanità e non contro i pochi veri colpevoli di guerre, carestie ed epidemie, le censure del sistema luciferino si annacquano.
Diabolica è poi la demonizzazione di Gaia, nonostante lo spirito "ecologista": terremoti, alluvioni ed altre calamità sono attribuiti alla Terra che, in un certo qual modo, con sommovimenti della crosta, eruzioni e sconvolgimenti climatici, tenterebbe di liberarsi del virus costituito dall'homo sapiens. Oltre ad essere in contrasto con il tanto propagandato "amore" che i fratelli del cosmo nutrono per noi poveri terrestri, tale posizione apparenta i pii ufonauti con l'ambientalismo sinarchicodi cui talora condivide progetti di controllo demografico e di risanamento del pianeta. Anche qui neanche un cenno ai disastri innaturali, a H.A.A.R.P.,scie chimiche, sistemi elettromagnetici, alle mille congiure delle élites e dei loro alleati invisibili contro i popoli i cui diritti basilari sono calpestati, e contro la natura.
La generica esecrazione delle guerre e delle ingiustizie non si accompagna mai all'individuazione delle vere cause, dei veri artefici, così come i consigli delle Madonne olografiche o dei messi in tute argentee restano fumosi ed insinceri, a mo' dei frettolosi inviti al pentimento biascicati dal sacerdote nel confessionale.
Anche temi come i presunti rapimenti alieni, i progetti segreti dei militari, le misteriose mutilazioni animali ed altri soggetti scabrosi o sono del tutto evitati o rimangono sullo sfondo, perché in primo piano si staglia la pittura a tinte fosche di un'umanità peccatrice che, se non si redimerà, pagherà il fio della sua nequizia. Tutto ciò è molto cattolico, ergo, in buona misura, falso.
Non so fino a che punto gli ufologi cattolici, in primis Monsignor Balducci, recentemente scomparso, siano o siano stati coinvolti in un'operazione che risulta poco cristallina. Non so se siano stati manipolati dalla Cabala che, a mio parere, tiene i fili della xenologia" religiosa", o se siano essi stessi manipolatori. Mi pare evidente, però, che questo filone stia acquisendo un credito sempre maggiore tra un'opinione pubblica sprovveduta e credula. A questo successo hanno contribuito e contribuiscono, a mio avviso, alcuni recenti pittogrammi nel grano raffiguranti croci latine: mi sembrano glifi anomali, sotto il profilo iconografico, forse realizzati dai militari con il maser o con altri mezzi. Sono parte dell'inganno? Nei prossimi potremmo assistere a prodigi: saranno tecnologici, ma la massa, ignara di ritrovati avveniristici, potrà credere in eventi soprannaturali.
E' enorme la responsabilità di chi (sciamani, stigmatizzati, contattisti...), per ingenuità o mala fede, non mette in guardia dalla minaccia costituita dalla congiura internazionale. Essi sono simili agli ipocriti mitrati che, mentre tuonano contro l'eutanasia, praticano l'usura, vendono armi ed inneggiano al Nuovo ordine mondiale.
Infine, questa ufologia è religiosa, proprio come i vertici delle chiese.
La civetta è un breve racconto di Tommaso Landolfi. E' difficile rendere la tragica bellezza di una novella che è soprattutto una descrizione di un'alba dai colori liquidi allagati da una luce prima fioca, poi radiosa, infine abbacinante. Landolfi usa le parole come fossero corpose pennellate con cui raffigurare lo scenario grandioso e terribile dove si consumano gli ultimi istanti di vita di una civetta colpita dalla cartuccia di un cacciatore.
E' necessario riportare qualche stralcio del testo per apprezzare la maestria pittorica di Landolfi.
Ecco l'incipit: "La civetta lentò il volo all'improvviso e si posò su una forca: un'uggia, un vago malessere cominciavano ad invaderla. Non è che già l'alba imbiancasse il cielo, ma pure d'oltre l'orizzonte cominciava ad incalzare e le stelle impallidivano un poco dalla parte d'oriente; avvicinandosi lo scatenato giorno, già un sospetto di chiaria velava gli occhi della civetta le più lontane cime. Di certo s'affrettava il funesto sole a passi di lupo per affacciarsi in un esoso trionfo di fra i gioghi".
Prezioso il brano in cui è dipinto il chiarore che si diluisce tra le colline ed il cielo: "S'argentavano gli olivi, il cielo, la brezza, le nubi; si doravano, si velavano di sangue. Polvere di smeraldi e di giade ondeggiava nell'alto ed il polveroso corallo dei cirri".
Il sole ormai sorto, dardeggiante raggi corruschi, è fissato in uno Spannung descrittivo: "Ruppe di botto il crestato signore del giorno e rapido grandeggiò fra le pietraie".
Da questi esempi emergono le qualità di una scrittura raffinata sino alla sontuosità, ma sempre venata da una dolorosa visione del mondo. Landolfi è scrittore, per certi versi, barocco, incline ad un'aggettivazione ridondante e ricercata, pungolato da un horror vacui che l''ispirazione sfrenata riempie di meravigliosi orrori, di ironici brividi, di incommensurabili particolari. Egli aveva intuito che la narrativa era destinata a morire, poiché si può solo raccontare l'immobile dramma dell'esistenza, in bilico tra l'assurdo e la morte per piantare lo spillo della scrittura su un pensiero abissale o su un brandello di "realtà".
Nel testo in esame, solenne poema della luce intesa come mortale fissità, il destino del pennuto, che sbarra i grandi occhi (reminiscenza della civetta pascoliana nei Poemi conviviali) e soffia disperatamente di fronte ai barbagli allucinanti, disegna il destino umano inchiodato al Da-sein, bruciato dalla vampa di un'impossibile gioia.
Nell'indifferenza cinica del cacciatore, che rinuncia al rapace notturno caduto vivo dall'albero, si consuma l'epilogo: "Ma, sebbene si sbattesse ancora lì a terra, davanti ad un cane che l'annusava diffidente e tentasse forse piccoli voli, pure la civetta non aveva più coscienza ed era felice".
Non avere più coscienza ed essere felici. Proprio così: solo nell'oblio, nel non essere, si rintana forse l'ultima illusione di felicità.
Chi non si aspetta l'inaspettato, non troverà la verità (Eraclito)
A volte siamo stati rimproverati di essere eccessivi, di essere iperbolici, quando esaminiamo gli eventi. Anche tra le persone sagaci è diffusa la tendenza a "ridimensionare": ecco codesta è parola-chiave. Queste persone tendono a ricondurre a cause naturali fenomeni artificiali, ad integrare le spiegazioni frutto di personale osservazione con le versioni ufficiali. Forse siamo noi a sbagliare, quando scorgiamo il velo dietro il velo e quando subodoriamo intrighi un po' da per tutto, intrighi rispetto ai quali le cabale della corte bizantina erano degli ingenui giochetti. Tuttavia pare proprio che le più folli ed inverosimili "teorie" della cospirazione siano molto più credibili delle esegesi basate sul buon senso e sulla logica.
Propongo un esempio: "In Austria ha destato grande commozione la morte di Joerg Heider, il controverso governatore della Carinzia, avvenuta la mattina del giorno 11 ottobre 2008 a causa di uno strano incidente automobilistico. Una coincidenza interessante, se comprovata, emerge da un commento pubblicato su Edule 2.0 , secondo il quale l’evento sarebbe occorso alle ore 1.11. Si fa presto a mettere in fila sei volte il numero uno, in quanto l'ora 1.11 e la data 11/10 (che diventa uno perché lo zero, in quanto tale, non si considera) e 2008 2 + 8 = 10 quindi ancora 1, danno come risultato 1 1 1 1 1 1. In altre parole, si tratterebbe di una vera e propria firma". (Tom Bosco, Altro giro, altra corsa).
E' possibile anche che il sinistro in cui Heider ha perso la vita sia stato dovuto all'alta velocità ed all'ebbrezza del conducente, come hanno riferito alcuni organi di stampa, ma a me pare inverosimile, se solo si gratta un po' la vernice delle versioni ufficiali. Sui moventi di questo presunto omicidio si possono formulare le più disparate congetture e non è questa la sede per soffermarsi su tali aspetti. Resta il fatto che è veramente pericoloso adottare un atteggiamento che inclina verso la normalizzazione. Si può comprendere che questa propensione è dettata dall'esigenza inconscia di non guardare in faccia la Matrix luciferina, come la definisce Bojs. E' una reazione di autodifesa e di autoinganno, perché la verità ha il volto terrifico della Medusa. Alla fine, però, chi privilegia ragionamenti che escludono retroscena oscuri, pur dimostrando di saper elaborare diagrammi consequenziali, si unisce alla massa in cui il processo induttivo è ridotto ad uno schema risposta-stimolo, molto lineare, ma istintivo, irriflesso. Pochi sono disposti ad accettare che la storia, almeno dalla fine del XVIII secolo ad oggi, è orchestrata da élites nefande per perseguire scopi ignobili, in un'escalation di piani attuati attraverso l'espediente della gradualità. Pochi accettano questa realtà, perché significa rinunciare all'illusione di poter incidere sugli avvenimenti decisivi ed ammettere che la storia, nella sua natura occulta, è profondamente iniqua, mostruosa, quindi irrazionale, essendo stata sottratta all'aspirazione a creare una società giusta, libera, umana nel senso più nobile della parola.
E' sufficiente constatare come oggi la stragrande maggioranza dell'umanità viva in circostanze pessime, tra fame, sete, condizioni igieniche precarie, mentre i pochi privilegiati, entro breve tempo, se non interverranno fattori contrari, si avvieranno verso il medesimo destino, per convincersi che qualcosa non quadra. Tutto ciò non è casuale, non è dovuto ai "limiti dello sviluppo", ma ad una "scientifica", malefica pulsione di morte. Gli stati destinano gran parte dei loro bilanci alle immonde spese militari (se si include la dispendiosissima "operazione chemtrails", non ci sbaglieremo se calcoleremo la quota dilapidata in armi, aerei, veleni etc. intorno al 90 per cento del bilancio!), laddove con i denari scialacquati in tal modo si potrebbe sfamare l'intera umanità e creare un mondo in cui le carestie e le malattie sarebbero eventi eccezionali e non la norma. Anche gli ecosistemi sarebbero protetti con l'uso di energie non inquinanti e veramente rinnovabili.
Dunque chi si ostina a ridimensionare le azioni dietro le quinte, anche richiamandosi a modelli interpretativi consolidati e, in parte, coerenti, va ad ingrossare la legione degli scettici in buona o in mala fede, dei negazionisti e degli indifferenti.
Esagerare è, in qualche caso, un errore e non porta molti benefici, perché conoscere molte verità empiriche è sconvolgente, toglie il sonno e turba, ma accogliere il pensiero dominante significa adeguarsi al sistema, accettarne la logica perversa e divenirne complici silenziosi. L'incolumità forse non sarà messa a repentaglio, ma la dignità sarà cancellata in modo ignominioso.
Per una volta, un breve servizio televisivo ha mostrato, invece delle solite sciocche attricette o di episodi grandguignoleschi enfatizzati con morboso compiacimento, un frammento di vita, per quanto incastonato nella morte. E' stata intervistata la giovane moglie di un operaio deceduto sul lavoro (una delle innumerevoli vittime di condizioni di lavoro molto precarie, poiché l'unica sicurezza su cui si insiste è quella che sia sinonimo di controllo), investito di notte da un carrello ferroviario. Mentre la donna rievocava la figura del marito, la camera dell'operatore ha indugiato per qualche istante sui quadri appesi alle pareti: erano opere dai colori caldi e dalle pennellate pastose. Erano quadri creati dal giovane e segno di un'ispirazione sorgiva, ma soprattutto di un vivo senso cromatico.
Che cosa sono i colori? Come tutto ciò di cui abbiamo diuturna e consueta esperienza, stentiamo a definirli, ma soprattutto a comprenderne l'intima natura. Si ripete che i colori sono qualità secondarie delle cose. Ci hanno insegnato che sono particolari frequenze luminose che, dopo aver colpito l'organo della vista, il cervello traduce in segnali. Dunque? Abbiamo compreso che cosa sono veramente? Abbiamo capito per quale motivo i colori suscitano moti dell'animo, ricordi, sensazioni? Solo gli artisti veri che ricreano la luce adamantina, le liquide ombre e che compongono sinfonie di colori, sanno instillare gocce di elisir negli occhi di chi guarda. Senza che ci chiediamo più che cosa siano quelle vibrazioni, quali fenomeni fisiologici e percettivi siano alla base della visione, viviamo l'avventura dei colori, con tutte le loro tonalità, sfumature, timbri. Ne ascoltiamo la musica ora fluida ora franta: i colori sono note, le note sono brividi di vento.
La lezione di Kandinsky, di Kupka e di tutti quei pittori che valorizzarono la dimensione allusiva, musicale e simbolica dei colori è oggi per lo più dimenticata in un mondo in cui tutto è artificiale: anche il cromatismo è virtuale, tecnologico. E' una "realtà" dove anche la natura è un acquerello spento, sbiadito. Persino il grigio, considerato, a torto, tinta smorta e triste, oggi è privo di quelle qualità sensorie che lo rendevano evocativo: le nebbieoggi non sono più avvolgenti, romantiche nel loro melanconico umidore, ma livide e cadaveriche come larve esangui.
Omero in Odissea XIX vv. 560-567, per bocca di Penelope, descrive le due porte dei sogni.
Rivolgendosi ad Odisseo, che la donna crede un mendico, così si esprime: "Ospite, i sogni sono inesplicabili, parlano in modo ambiguo e non tutto per gli uomini si avvera. Due, sai bene, sono le porte dei sogni evanescenti: una è di corno, l'altra d'avorio. I sogni che passano attraverso l'avorio ingannano, portano parole vane; quelli che vengono fuori attraverso il liscio corno si avverano, quando qualcuno dei mortali li vede". (traduzione di Giuseppe Tonna).
Non credo che la concezione delle due porte da cui escono le immagini oniriche sia solo un'invenzione omerica ripresa in seguito da Virgilio nell'Eneide, ma un simbolo molto antico il cui profondo valore ci sfugge. I versi riprodotti sono densi di significati emblematici ed archetipici: si pensi all'immagine della porta che allude al passaggio tra due dimensioni. Il simbolo della porta è uno dei più ricchi e misteriosi della cultura umana: "Spesso è il simbolo non solo dell'ingresso, ma anche dello spazio segreto, del potere misterioso su cui essa si apre. In molte culture varcare una soglia evoca un rito di passaggio... L'apertura di una porta sacra segna l'inizio di un periodo di festa" (H. Biedermann). Presso gli Ebrei, i Romani e tanti altri popoli oltre i battenti del tempio, abita la divinità. Nelle lingue indoeuropee la matrice Dhworo da cui il greco thyra, il latino forum, il tedesco Tur, l'inglese door, vale "recinto", ossia confine che delimita uno spazio sacro.
Con la porta, siamo in un ambito liminale, (limen, soglia), in una terra di nessuno, dove le ombre della notte avvolgono gli ultimi barbagli di luce. A questa dimensione arcana, Omero abbina la distinzione tra sogni fallaci e sogni veridici. Da battente di polito e splendente avorio sciamano immagini ingannevoli: esiste una qualche correlazione tra la porta eburnea e la fallacia? Di converso, qual è il rapporto tra il battente di corno ed i sogni veritieri? Qualcuno ha pensato ad un nesso con la sostanza grigia (corno) che è la parte esterna degli emisferi, e la sostanza bianca (avorio) avvolta dalla corteccia.
Penso che tale nesso sia una coincidenza, ma è evidente che, se i sogni non hanno origine nell'encefalo, essi sono mediati dai processi cerebrali. Qual è, però, la loro, per così dire, terra d'origine? Forse non avevano torto gli antichi a ritenere che alcuni sogni, essendo inviati dagli dei, possedessero un quid soprannaturale in grado di accennare al futuro o di indicare il percorso da seguire. [1] Gli antichi erano capaci di ascoltare voci e suoni numinosi che noi, uomini del XXI secolo, non percepiamo più. Lo stormire delle fronde, il volo di uno stormo, il favellio di una sorgente non erano fenomeni naturali, ma segni.
Sarebbe interessante riuscire a raccogliere qualche indizio che ci consentisse di stabilire se alcuni contenuti onirici provengono da esseri astrali o da messaggeri celesti, laddove la maggior parte dei sogni paiono essere la rielaborazione di esperienze diurne, spesso dozzinali. Tutti i nostri sogni dunque sono nostri o certi messaggi giungono da dimensioni inaccessibili, ordinariamente, durante la vita diurna? La vita diurna è un day dream? Sono domande cui è arduo rispondere, sebbene si debba riconoscere che la differenza tra esterno ed interno sia labile e, in buona misura, convenzionale.
Resta il dubbio che Omero avesse ragione a distinguere tra visioni ingannevoli e messaggi veraci. Le prime potrebbero essere create da chi, non pago di controllare gli uomini durante il giorno, instilla in loro pensieri falsi e deleteri. Forse ogni tanto, un nume, oltrepassate dimensioni tetre ed insidiose, è latore di un nunzio salvifico, ma, come l'alone del respiro sul vetro, presto svanisce senza lasciare traccia.
[1] Antonietta Gostoli ricorda che in Omero i dormienti sono visitati da un dio o da uno spettro, dall'immagine fittizia di una persona mandata dai numi e non creata dalla mente di chi dorme.
Ammesso che esistano dei Guardiani della prigione, bisognerebbe tentare di comprendere chi sono. A mio avviso, è veramente difficile pensare che il Male dipenda solo dall'umanità (Vedi Se l'anonimo secentesco avesse ragione?). E' vero: distinguere tra male esterno e male che alberga nell'uomo è una semplificazione non in grado di rendere l'inestricabile intreccio di agenti esogeni ed endogeni, l'intima unitarietà dell'essere umano. Tuttavia per evitare di demonizzare l'homo sapiens, mi pare opportuno tentare di identificare forze, la cui azione nefasta e nefanda può spiegare la supremazia della violenza e dell'ipocrisia nel mondo. Non si tratta di trovare un capro espiatorio, ma di identificare il virus ed il virus NON è l'uomo, checché se ne pensi, poiché semmai l'individuo è, in qualche caso, una porta sugli inferi.
Mi limito a formulare delle ipotesi in modo molto schematico, aggiungendo qualche breve considerazione.
- I Guardiani sono delle forme-pensiero create dagli uomini stessi, con le loro energie negative che si sprigionano da sentimenti come l'odio, la collera, l'invidia, la bramosia...
- I Vigilanti sono dei demoni, creature cadute, definiti Arconti nel Quarto Vangelo e nei testi gnostici. Sono assimilabili ai voladores di Castaneda ed ai vampiri.
- I Guardiani sono macchine, come nella saga di Matrix.
Studiando le antiche tradizioni e senza dimenticare gli indizi disseminati nella letteratura e nel cinema, si può arguire che questi esseri sono avidi delle energie umane. Pare anche che siano interessati ad un quid (il D.N.A.? il ka?) dell'uomo che essi non possiedono o utile per certi loro scopi oscuri.
Pare che le azioni invasive di queste creature non si concentrino solo sul piano fisico, ma investano pure il livello sottile, con interazioni fra i vari ambiti. Ad esempio, di alcuni presunti rapiti è prelevato il cosiddetto corpo astrale, ma essi si ritrovano delle cicatrici sulla pelle. Queste persone ricordano di aver attraversato le pareti, ma talvolta si accorgono, dopo il sequestro, di avere degli impianti. Se ammettiamo che le loro esperienze non siano scenari olografici creati dai militari, l'apparente contraddizione tra fisicità ordinaria e dimensione sottile di certe situazioni è fonte di interrogativi. Pare esistere un trait d'union fra le due sfere con riflessi sull'organismo di un intervento sull'astrale. Sono due ambiti materiali, anche se di differente densità. Come ciò avvenga, è difficile stabilire.
Introdurre il tema dell'invisibile, superando obsoleti schemi che si imperniano solo sul dominio politico ed economico, significa spingersi in una regione border line: d'altronde border line, in una certa misura, diventa l'esistenza, non appena si dischiude anche solo un po' il terzo occhio.
Tempo fa, seguii un interessante servizio sulla Siria contemporanea. Presumo che il reportage fosse un po' edulcorato, perché ne scaturiva l'immagine di una nazione in cui musulmani e cristiani, Arabi, Aramei e Curdi convivono pacificamente e dove la gente, nonostante numerosi problemi, ha quasi sempre il sorriso sulle labbra. Tuttavia gli occhi dei ragazzi intervistati non mentivano e davvero traspariva una luce dai loro sguardi che esprimeva gioia di vivere ed entusiasmo. Abituati a trascorrere molto tempo con gli amici, passeggiando per le vie di Damasco o sorseggiando una bibita fresca in locali all'aperto, tra interminabili conversazioni, i Siriani sono socievoli e briosi.
Le ragazze bellissime affascinano con i loro occhi scuri e profondi, la carnagione olivastra e traslucida; gli anziani sono schivi, ma ospitali.
Il momento più emozionante del servizio è stato dedicato agli Aramei, una popolazione semitica oggi ridotta a poche migliaia di anime, per lo più di fede ortodossa o giacobita (cristiani monofisiti). Un diacono ortodosso ha recitato il Pater Noster in aramaico, lingua armoniosa e dalle liquide arrotate.[1] La preghiera si sprigionava nel fresco silenzio di una chiesa disadorna di fronte a pochi fedeli, in una luce vellutata, come una sorgente garrula che zampilla da una roccia. Memorabili anche i paesaggi: palmizi simili a smeraldi incastonati nell'oro del deserto, mercati variopinti, cieli limpidi, color cobalto, solcati dalle vele gonfie e candide dei cumuli. Sono paesaggi cui noi non siamo più avvezzi che, un po' alla volta, hanno sottratto al nostro orizzonte percettivo, donandoci, in cambio, cellulari, i-pod, videocamere utili ormai solo per immortalare le mortali scie.
Purtroppo il documento non si è soffermato sui monumenti antichi e medievali che impreziosiscono il paese medio-orientale, privilegiando la descrizione della vita quotidiana, gli aspetti economici e politici. Sarebbe stato opportuno anche un cenno ai popoli ed alle civiltà che si insediarono nell'attuale Siria e nelle regioni limitrofe, dove millenni or sono abitarono pure i Giganti ed esseri forse provenienti da lontane costellazioni, poiché naturalmente Siria deriva da Sirio, la stella del Cane. La stella del Cane è l'astro più luminoso della volta celeste, luminoso come quest'angolo di mondo lambito oggi da lunghe lingue di tenebra.
[1] Noto di passaggio che, nella preghiera di probabile origine egizia, non era adoperato il congiuntivo esortativo, poiché esso non esisteva né in aramaico, la lingua del Messia, né in ebraico. In realtà le varie espressioni erano all’indicativo: non dunque “Venga il Tuo regno”, ma “Viene il Tuo regno”. Purtroppo i traduttori sono spesso dei traditori.
Dal 20 ottobre prossimo, saranno in edicola le riviste di Adriano Forgione e Maurizio Baiata, Fenix ed X Times. X Times tratterà in particolar modo di Ufologia e crediamo che affronterà anche temi scomodiper il sistema.
Leggi qui e qui la presentazione delle pubblicazioni.
La paura è un'emozione peculiare sia degli uomini sia degli animali, persino delle piante. E' una reazione naturale: essa ci difende da molti pericoli. Senza dubbio deve restare un'emozione, un campanello d'allarme e non deve trasformarsi in ossessione. Quali sono i timori più diffusi tra le persone? Il timore di perdere il lavoro, di ammalarsi, di precipitare nell'infelicità, di invecchiare, di morire. Sono tutte situazioni normali che, però, possono essere arginate ed addolcite. Non lasciamoci dominare da queste ambasce: qualcuno provvederà e non credo che tutto sia casuale ed insensato.
Occorre convincersi che nulla può veramente nuocerci: non è facile, ma bisogna provare. Personalmente sono angosciato dalla prospettiva di perdere le gioie e le confortevoli abitudini dell'esistenza, mentre non mi sfiora la paura di apparire anticonformista, anzi visionario. E' questo, invece, il terrore che attanaglia l'uomo comune, annichilito dalla possibilità di non essere più un ingranaggio ben oliato del sistema. E' costui l'uomo-massa, il gregario la cui identità consiste più che nell'omologazione, nello svuotamento del suo io affinché diventi il contenitore da riempire con i luoghi comuni e gli slogans del potere. Egli teme il discredito, di essere considerato diverso, pazzo.
Non aver timore non significa essere incauti, avventati ed indifferenti: è necessario prendere delle precauzioni contro i principali rischi del mondo contemporaneo ed agire alacremente in modo da attenuarne gli effetti. Onde elettromagnetiche, scie chimiche, organismi geneticamente modificati, radiazioni nucleari... sono minacce concrete: essere consci di tali problemi si traduce comunque in un beneficio, poiché si assumono delle iniziative per proteggersi, ma soprattutto poiché, in qualche modo, l'organismo, direi tutto l'essere, reagisce, magari con una crisi di guarigione, per rafforzarsi. Non di meno il vantaggio maggiore della conoscenzacirca aspetti non sempre gradevoli è un altro: si è vaccinati per sempre ed in modo efficace contro le triviali e patetiche menzogne del sistema.
Mai più i media di regime ci inganneranno: crederemo nel contrario di quanto bofonchiano gazzettieri e disinformatori. Le valanghe di bugie troveranno innanzi a sé un muro invalicabile, mentre la coscienza e la mente, spinte a filtrare, esaminare, discernere informazioni e tradizioni di vario tipo, pur impegnate in un tour de force, si desteranno dal letargo plurimillenario. Gli occhi cominceranno ad aprirsi e subito dorranno, ma è forse preferibile restare nel torpore dell'ignoranza e della soporifera "verità ufficiale", sopore preludio della morte dell'anima?
Essi vivono (They live, U.S.A., 1988, 97 minuti) è una nota pellicola di John Carpenter (Karthage, New York, 1948). Un giovane vagabondo (Roddy Piper) scopre, per mezzo di strani occhiali, che molte persone sono in realtà degli extraterrestri in sembianze umane. Essi controllano la società con messaggi subliminali e con un capillare apparato di sorveglianza. Con l'ausilio di un operaio (Keith David), il protagonista comincia la rivolta contro le élites dominatrici.
Letto da alcuni critici, privi del tutto o quasi di spirito critico, solo come un'impietosa condanna "da sinistra" (P. Mereghetti) del sistema capitalista, Essi vivono è, invece, uno spaccato ante-litteram della realtà attuale ed anche una rivelazione dell'inganno dietro le quinte. Il regista e sceneggiatore del film, John Carpenter, con pochi mezzi, riesce a delineare un quadro verosimile, benché incredibile della nostra "civiltà".
Vorrei individuare alcuni aspetti prolettici del film per evidenziare come l'intreccio si riferisca, però, più ad una terra dominata dagli Arconti che da alieni.
La produzione contiene i seguenti segni "profetici" o comunque interessanti.
1 Gli "extraterrestri" riescono ad imporre la loro perversa volontà grazie alla spregevole collaborazione di uomini corrotti, appartenenti alle classi dirigenti.
2 I media, in particolar modo la televisione, sono usati dai potenti per tenere l'umanità in uno stato perenne di stordimento e di sottomissione. Oltre ai programmi, incentrati su frivolezze e su fatti inventati, la televisione trasmette un vero e proprio segnale per influire sulla percezione e sul subconscio.
3 Attraverso un particolare dispositivo (metafora di una visione non più condizionata) è possibile percepire l'essenza dietro le apparenze.
4 L'ambiente, l'acqua ed il cibo vengono deliberatamente inquinati dai governi affinché gli uomini siano lentamente intossicati e le loro capacità intellettive ottuse.
6 Gli avvertimenti biblici(e non solo biblici) circa la perversione dell'umanità, sedotta da Satana con i piaceri più laidi, sono veridici.
7 L'abbattimento del sistema dipende sia da una presa di coscienza sia da un'azione mirata.
In un film, dal ritmo serrato e con frequenti piani-sequenza che consuonano quasi con un'unità di azione (tutto si svolge nell'arco di pochi giorni), stride l'indugio, anche alquanto noioso sulla lotta tra il giramondo sottoccupato e l'operaio di colore. I due, infatti, per circa sei minuti si scambiano forti pugni e colpi di ogni tipo. Il vagabondo vuole convincere il manovale ad inforcare gli occhiali affinché... veda. E' tutto inutile: solo, dopo che il protagonista è riuscito ad atterrare il muratore, gli inforca gli occhiali contro la sua volontà. Allora l'operaio finalmente percepisce. Il duello è potente metafora della riluttanza che connota la maggior parte degli uomini: essi potrebbero vedere, ma non vogliono assolutamente, recalcitrano, preferendo restare nella loro rassicurante cecità.
Un aspetto che credo sia sfuggito a recensori e critici è l'"originalità" di uno dei messaggi subliminali che vengono costantemente trasmessi attraverso la pubblicità ed i media. Accanto agli ordini schiavistici e consumistici, come "Obbedisci", "Non porre domande alle autorità", "Il denaro è il tuo dio…" uno spicca per il suo carattere anti-cataro: "Sposatevi e moltiplicatevi". Questo comando la dice lunga sulla necessità che i jinn hanno di allevare il bestiame umano: essi, infatti, sono come quei porcari che si rallegrano quando la scrofa figlia molti porcellini.
Gli uomini sono dunque utili per i demoni che li sfruttano. Non è un caso se l'umanità è svigorita con sostanze chimichee con germi, ma è necessario che alcuni gruppi siano tenuti in vita e, anzi, è auspicabile che il loro numero aumenti, sebbene essi siano tenuti in uno stato di perenne servaggio, spacciato per libertà. Per quale motivo recondito, si può forse immaginare.
La conclusione del film, nonostante la morte dell’intemerato protagonista, è positiva, poiché viene spento in extremis il segnale che ipnotizza l’umanità: finalmente gli alieni appaiono con il loro orribile volto inteschiato ed il sistema basato sulla menzogna e sul controllo implode. Credo che il tema del segnale si possa interpretare sia in senso letterale sia metaforico: è la ragnatela elettromagnetica (ed eterica?) che invischia corpi e menti, ma pure la plumbea cappa di false credenze che schiaccia la coscienza.
Spegnere il segnale non è facile come premere il pulsante off del televisore, ma bisogna provarci.
Nel proporre questo frammento, vorrei ringraziare i lettori di Oknotizie che commentano i testi pubblicati dal sottoscritto, lettori cui non rispondo, poiché mi fu tolta la possibilità dagli amministratori di replicare, quando osai criticare un articolo sull'"effetto serra".
This could be the end of everything (Keane)
Allontanarsi da questa società, dalle nostre città-ipermercati, attraversando cimiteri urbani, sottopassaggi, intrichi di antenne. Allontanarsi, mentre la sintassi della vita si spezza in schegge di enunciati. Se solo fosse possibile, dopo aver a lungo camminato, inoltrarsi dove non si ode più l'eco metallica delle metropoli e perdersi nella verde ombra di un abetaia. Mentre si procede lungo un sentiero che costeggia il fiume, i rami degli alberi graffiano il volto, il terreno cede, il sole si spegne in un lago di silenzio.
Ci si accorge allora che la fine del giorno potrebbe essere il principio vero di ogni cosa.
Sino a pochi anni fa, le pitture del Paleolitico, le magnifiche opere che adornano le grotte preistoriche erano interpretate, secondo i soliti schemi dell'archeologia ufficiale. Nelle caverne si possono ammirare rappresentazioni di animali, strane figure antropozoomorfe, decorazioni geometriche dal significato oscuro.
L'area tipica di diffusione dell'arte rupestre è costituita dal territorio franco-cantabrico e dalle regioni mediterranee. Notevoli pure gli esempi africani ed americani. Singolari i graffiti australiani con figure "radiografate". All'inizio dell'Aurigniciano (periodo preistorico che va dal 32.000 al 26.000 a.C. circa), la pittura e l'incisione si espressero con profili ed impronte di mani; alla fine di questa stessa età si dipinsero profili di cavalli, cervi, bisonti, mammut.
L'arte del Magdaleniano (20.000-10.000 a.C.) privilegiò la raffigurazione di figure policrome o monocrome (con l'uso di ocre e manganese), con chiaroscuri e sfumature rese sapientemente.
Gli studiosi hanno interpretato graffiti e pitture della preistoria come raffigurazioni dallo scopo magico e propiziatorio: dovevano cioè assicurare il successo della caccia e la riproduzione della selvaggina. Rappresentando gli animali, gli uomini del Paleolitico, credevano di agire sul referente in modo simpatico. E' questa un'ipotesi forse verosimile, ma che non spiega il valore di altre figure, specialmente geometriche: molto spesso i rettangoli sono stati considerati erpici o poderi visti dall'alto, quantunque nel Paleolitico non si praticasse ancora l'agricoltura. Inoltre spesso gli animali delineati non erano quelli oggetto di caccia. Come considerare, poi, le strane icone metà uomo-metà animale e le creature grottesche?
Secondo la teoria Emperaire, i cavalli erano simboli della femminilità, i bufali della mascolinità. Tra tutte le supposizioni mi pare la più debole, poiché speculativa ed in quanto non rende conto di tutti gli altri soggetti.
Mortillet sostenne che le pitture rupestri sono un esempio di arte per l’arte.
Certi studiosi affermano, in realtà senza spiegare quasi nulla, che tali figurazioni possiedono valenze simboliche o totemiche.
Non si può escludere che alcuni complessi decorativi alludano a fenomeni astronomici o che rispecchino configurazioni celesti. Se ciò è vero, la presenza del Toro in alcune grotte, (si pensi al ciclo della caverna di Lascaux, in Dordogna) si potrebbe leggere come un riferimento all'età precessionale del Toro.
Recentemente è stata formulata dall’antropologo sudafricano Lewis-Williams la congettura che vede in molte figurazioni rupestri delle immagini entottiche, percepite cioè dalla mente in stati alterati di coscienza, stati ottenuti o con danze ipnotiche o con l'assunzione di sostanze psicoattive per lo più ricavate da funghi. Gli sciamani, caduti in trance, dipingevano le loro visioni nell'estasi. Gli stregoni forse accedevano a livelli di realtà normalmente non attingibili dai cinque sensi, come opina Hancock in Sciamani.
Rombi, cerchi, oggetti a forma di pettine, dischi... furono effigiati in molte spelonche dell'Europa centro-occidentale. Le raffigurazioni più singolari sono quelle dei Boscimani: essi tracciarono sulle pareti teriantropi, uomini feriti, antilopi volanti, donne con quattro dita. Sono anomalie difficili da spiegare: sono reperibili ancora oggi presso tribù dell’Africa australe lacerti di tradizioni che rimontano ad un contatto con esseri preternaturali, di solito in sembianze di serpenti o di insetti. Ad esempio, i San (Boscimani) venerano un dio creatore dal nome Kaggen che significa Mantide. Non è forse un caso se le visioni più frequenti nella trance si riferiscono a rettili, insetti e Grigi. Figure macrocefale con grandi occhi a mandorla sono istoriate in alcuni siti poco studiati: il “Grigio” di Junction Shelter ha capo grosso a pera e corpo sottile da cui si diramano braccia filiformi; il Grigio di Pech Zerle è una testa appena abbozzata.
Queste creature erano alieni, demoni, fantasmi della mente? Qual è la differenza, se sussiste? Sono domande cui è arduo rispondere, ma è evidente che l'arte preistorica, con i suoi conturbanti misteri, apre un varco verso dimensioni invisibili, quelle stesse dimensioni che, grazie ad alcuni orientamenti culturali contemporanei, cominciamo a recuperare dal limbo della superstizione dove, per molti secoli, sono stati relegate.
Fonti:
Enciclopedia dell’arte, Milano, 2005, s.v. Arte preistorica G. Hancock, Sciamani, Milano, 2005 P. Kolosimo, Pianeta sconosciuto, Milano, 1958, 2008
E' nella natura umana vivere, creandosi qualche mito: non importa se sia l'attore o l'attrice, l'uomo politico, l'artista, il giornalista ritenuto libero ed anticonformista, in realtà agente di controllo... Molti affidano le loro esigenze, la loro sete di verità, di giustizia e di senso a queste persone oppure cercano una voce con cui esprimere quello che non possono palesare. E' normale, come è diffusa l'identificazione con certe idee che diventano presto non convinzioni, ma fedi granitiche. In realtà, ci si aggrappa senza discernimento e con imprudenza, a fili di illusioni: non ci si chiede se, dietro apparenze scintillanti e gradevoli, si nasconda un'insidia, un lato oscuro.
Qualcuno ritiene che l'universo sia un mirabile capolavoro, dimenticando che, mentre estasiato, ammira le stelle, una supernova, in qualche angolo remoto del cosmo, sta divorando, in un olocausto gigantesco, le gloriose civiltà di inermi pianeti.
Un altro contempla un magnifico giardino, ma ignora che una pianta soffoca l'altra in cerca di luce e di umidità e che avidi parassiti suggono la linfa delle foglie. La vita si alimenta della morte.
Certuni, stanchi delle religioni ufficiali, si affidano alle canalizzazioni, ai profeti del Terzo millennio, stigmatizzati in contatto con presunti alieni, nunzi di banalità fiorite di metafore: dalla reincarnazione all'ascensione, dal 2012 ad un mondo di pace ed amore universale. Costoro non sembrano sfiorati neppure dal dubbio che questi araldi di verità parziali e confuse, potrebbero essere emissari degli Arconti. Cerchiamo di indagare, di capire e di distinguere: in qualche luogo troveremo pure esseri benevoli e davvero non siamo soli, ma non prendiamo per oro colato le dichiarazioni di questi messaggeri. Ascendere? Forse occorrerà prendere l'ascensore, se non interromperanno l'erogazione della corrente elettrica, se non subentrerà una paurosa crisi economica. Reincarnazione? Così com'è divulgata, è un concetto grossolano e ripugnante.
Diffiderei di quelli che glissano sul problema del Male, riducendolo a mera imperfezione, ad un velo di polvere su un mobile che si può togliere, passando un panno. Il Male: è solo colpa dell'uomo? Sarà vero? In qualche caso sento odore di zolfo, ma, come osserva sconsolato Guido Morselli, "per i teologi il Diavolo è un'inutile anticaglia, le azioni del Diavolo alla borsa cattolica non sono neanche più quotate".
Tralascio il discorso su tutte quelle dimensioni invisibili, tenebrose, popolate di presenze minacciose e non indugio sul pericolo sotteso a tutto ciò che pare innocuo o ininfluente: cartoni animati, pellicole, trasmissioni televisive, iniziative dei governi e quant'altro. E' vero: il Diavolo non è brutto come lo si dipinge, poiché ama presentarsi in sembianze piacevoli ed amabili.
Il Vangelo di Tommaso afferma che "chi cerca si stupirà e resterà turbato", per quanto ha scoperto: ma il verbo "turbato" rende poco l'idea. Meglio sarebbe sostituirlo con "sconvolto".
Chi riuscirà a sopravvivere a questo tragico sconvolgimento, allora regnerà, come è scritto nel Vangelo.
Sono stati versati fiumi di inchiostro sul tema del tempo e non ho certo la presunzione di cogliere qualche aspetto originale della questione. Tuttavia, secondo un approccio che contraddistingue alcune mie riflessioni, vorrei portare alla luce le radici del problema, evidenziando l'etimologia del termine "tempo". La parola deriva dal morfema indoeuropeo "tem" con il valore di "tagliare", "recidere".
Il nucleo "tem" allude alla suddivisione collegata all'idea di tempo, alla linea tripartita in passato, presente e futuro. Ricordando, però, come testimoniato dalla struttura delle lingue antiche che la percezione del tempo doveva privilegiare la differenza tra azione puntuale ed azione durativa, il morfema "tem" più che riferirsi alla divisione cronologica, pare evocare il lacerante ricordo di una lacerazionenel tessuto dell'essere, in cui la quarta dimensione è uno strappo, una rottura rispetto all'armonia originaria.
Da Platone che definì il tempo come "immagine mobile dell'eternità" sino a Heidegger che vide in esso la dimensione del Da-sein e dell'essere gettati, tale "realtà" è quasi sempre stata considerata una caduta, un cedimento rispetto alla perfezione primigenia. Tralascio di soffermarmi sulle visioni del tempo all'interno della fisica, dove in genere è reputato una costante universale o integrato, in modo non molto convincente allo spazio, a mo' di escrescenza delle tre dimensioni topiche.
In Kant, come è noto, spazio e tempo sono a forme a priori della sensibilità: modi per conoscere il fenomeno, ma anche circoli "magici" oltre i quali l'uomo non può andare.
Sul mistero del tempo, come una notte buia ed impenetrabile, non è stato gettato neppure un fioco barlume, ma noi sentiamo che esso è qualcosa di incongruo, un pezzo che non riusciamo in nessun modo ad incastrare. Pura illusioneo elemento fisico, ci chiediamo chi fossimo un'ora fa, un anno fa, dieci anni fa: eravamo noi e che cosa ci garantisce l'identità attraverso il flusso cronologico? Come una nuvola l'io cambia sempre forma e, da un momento all'altro, può dissolversi. Il tempo è simile ad un artista invisibile che non è mai pago di ritoccare la sua opera e, ritoccandola, un po' alla volta la rovina.
Solo in una sfera in cui il tempo si contrae sino a scomparire, è possibile concepire un'inconcepibile serenità. Qui, in questo cosmo, il tempo è una vena recisa da cui senza tregua sgorga a fiotti il sangue dell'esistenza.
V per Vendettaè un film del 2005 diretto da James Mc Teigue. L’opera è tratta dal fumetto omonimo scritto da Alan Moore ed illustrato da David Lloyd, adattato per il grande schermo dai fratelli Wachowski.
Ritengo che il film, come spesso avviene per molte produzioni di successo, non sia scevro di qualche ambiguità, come la celebrazione di Guy Fawkes, agente papista. Inoltre la violenza e la vendetta sono soprattutto espedienti narrativi per rendere l’intreccio avventuroso, nel movimento dalle ripetute analessi, ma il rischio è che qualcuno creda nell'uso della forza come ratio, anche se extrema ratio, contro il sistema. L'attacco al Parlamento, poi, è veramente discutibile, considerando che, pur con tutti i loro limiti, i parlamenti sono ormai l'unico baluardo, per quanto assai fragile, contro la tirannia.
Non mi soffermo sugli aspetti “profetici” della produzione che occorre, però, almeno menzionare: la raffigurazione di Londra, capitale di uno stato oppressivo fondato sulla menzogna e sul controllo, la diffusione di un’epidemia non per opera di fantomatici nemici esterni, ma in seguito ad una criminale azione del governo stesso che ha contaminato l’acqua potabile con un virus, la paura come strumento per soggiogare la popolazione.
Anche se forse mal incastonate, in V per vendetta scintillano delle vere gemme. Splendida gemma è il ritratto dell'eroe solitario, roso da un’infelicità irredimibile. La sua dramatis persona è l'essenza del personaggio, mentre l’anima esulcerata e nobile, ormai del tutto scissa dal corpo ustionato, si esprime attraverso una voce lontana ed amaramente ironica. Preziosi cammei sono anche il malinconico amore per la musica e l'eco quasi impercettibile di Dio.
“Dio è nella pioggia" è, a mio parere, la battuta per eccellenza di V per vendetta. Davvero Dio è nella pioggia che bruisce sui vetri, nelle gocce piante da un cielo insensibile e partecipe, nel freddo scroscio che purifica. Il ritmo della pioggia accompagna il ballo tra Evey ed il protagonista per fondersi nella melodia struggente di una canzone, sottofondo del sogno subito infranto, fra i cocci di un amore impossibile.
La nemesi del Fawkes redivivo, uscito da un inferno di fiamme, per rinascere nelle ceneri di un cupio dissolvi, spinto da un impulso distruttivo ed autodistruttivo, è il suggello di una disperazione assoluta.
Questa gelida disperazione, però, è stemperata dall'assurdo, irrazionale anelito ad una vita che sia finalmente umana.
Questa gigantesca disperazione è una scultura di ghiaccio in primavera. Ai primi tepori, cominciano a scivolare lacrime dagli occhi, dalle guance.
Solo in queste lacrime diafane, tremanti come stille di rugiada, può brillare la luce di una vera Speranza.
Il C.I.C.A.P. ha recentemente pubblicato un testo che, in realtà, è un centone di tutti gli spropositi, gli errori e le mistificazioni sbandierati in questi anni, dalla rete degli occultatori. Il documento denota un grado di "scientificità" che si attesta a livelli infimi, prossimi alla non misurabilità. Si può quindi concludere che il famigerato comitato ha gettato la maschera: è palese che i numerosi disinformatori, usi all'insulto ed alla diffamazione, sono pròtesi del C.I.C.A.P. a cui risale la capillare azione di discredito e di depistaggio di questi ultimi tre anni, circa il fenomeno delle scie chimiche. Credere alla loro "verità" è come credere nelle parole di Ser Ciappelletto.
Il documento, in formato PDF, si può leggere e scaricare a questo link.
L’esteriorità dello sguardo annulla la visione interiore.
Singolare oggetto lo specchio, al centro di tante fiabe e leggende: non è tanto lo specchio ad essere inquietante, quanto l'immagine che esso restituisce, perché l'immagine riflessa non è né un referente né un'icona, un segno che presenta una certa somiglianza con il denotatum. Appunto questo statuto ambiguo impedisce che essa sia collocata vuoi nel settore astratto della linguistica vuoi nell'ambito concreto della "realtà". Resta dunque in bilico tra due dimensioni, in una terra di nessuno.
Poco influisce come l’effigie sia riverberata, con le coordinate invertite, perché è la sua natura incerta, sfuggente a renderla abnorme. Corrispondente all'oggetto, ma privo della tridimensionalità, il riflesso si riduce ad una proiezione meccanica e passiva, in cui non interviene la creazione che è sempre scelta. In questo senso, si distingue pure dalla fotografia che nel taglio, nella selezione del soggetto, nell’inquadratura, palesa attenzione ed intenzione.
Per motivi quindi spec-iosi, nella tradizione il vampiro non può vedere il suo volto allo specchio, poiché -si ripete- il vampiro non possiede l'anima, ma questo doppio nulla c'entra con l'anima, essenza invisibile: è invece una duplicazione del fenomeno raggelato, nei suo contorni nitidi e taglienti, sulla superficie argentea, uniforme. Ecco da dove deriva il carattere sottilmente sinistro degli specchi: dalla loro, per così dire, funzione riproduttiva svuotata di senso e di sensorialità (texture, odore, sapore), affine ad un'imitazione della res, assai più piatta della mimesi artistica che riproduce la cosa, a sua volta pallida imitazione dell'idea, secondo l'interpretazione platonica.
E' quindi un processo di riduzione, mentre per il gioco degli specchi, la situazione ingannevole in cui è difficile orientarsi e stabilire le giuste proporzioni di eventi e circostanze, è sufficiente una sola superficie. Qual è l'inganno? La ripetizione inerte della realtà, con la garanzia dell'esistenza offerta dal rassicurante, ma falso doppio innanzi a noi, con sembianze che cambiano giorno dopo giorno, ma quasi impercettibilmente, con un'agnizione che è un non riconoscersi nelle apparenze caduche, oltre le quali si annida l'identità senza identificazione. E’ questo interrogativo sull’essere “risolto” semplicemente con una fotocopia che rende lo specchio intollerabile.
Michelangelo Pistoletto, per trascendere il carattere amorfo del riflesso, lo abbina ad una fotografia assai più viva della rappresentazione rispecchiata con effetti di trompe l'oeil e di scarto-identificazione tra figura effigiata e figura riflessa.
Lo specchio è un po’ nel gesto del demiurgo che, incapace di comprendere la bellezza del non detto, dell'increato, meccanicamente riprende il modello e lo pro-ietta nello spazio-tempo: così si genera la perfetta, ma fallace corrispondenza biunivoca tra una piatta, (s)morta icona bidimensionale e le infinite, scintillanti sfaccettature dell'essere.
Sullo specchio, riflessione di T.B.
Ci sono persone la cui sola immagine reale è quella riflessa dallo specchio.
Ci sono persone alle quali soltanto uno specchio ricambia il sorriso.
Ci sono persone che traggono la consapevolezza dell'esistere solo vedendosi riflesse nello specchio.
Ci sono persone che, quando sono colme di lacrime e sofferenza trovano consolazione quando dallo specchio si alza su di loro l'unico sguardo partecipe.
Ci sono persone che, quando nessuno ascolta e tutti tacciono, allo specchio domandano e dallo specchio ricevono risposte.
Il solo muro che non sia barriera è lo specchio, dentro il quale chi sa guardare può vedere tutti i mondi possibili.
Chi può dire che la realtà non dimori dietro uno specchio?
Chi può dire che nell'immagine riflessa non si celi la verità?
Colui che non ama lo specchio teme ciò che vi può vedere.
Sussistono un'infinità di ragioni per amare gli specchi e altrettante per detestarli: l'insieme delle due infinità è l'infinita proiezione di ogni riflesso. Da questa trae origine lo sgomento, che per essere sostenibile viene percepito come avversione e diffidenza: ma si può diffidare dell'infinito o, come Alice, meglio compiere il passo che condurrà oltre la soglia?
Che cosa nasconde l'infinito? Alice vi ha trovato favole e incubi, e noi?
Venerdì 10 ottobre 2008, a partire dalle ore 21, presso la sede della Scuola Primaria di Melara (ingressi nelle Vie Garibaldi e Marconi), Massimo Fratini e Pablo Ayo, interverranno come relatori per affrontare temi ufologici e l'argomento inerente alla previsioni che riguardano il 2012.
La Rete viene oggi demonizzata non solo da coloro che vorrebbero imbavagliare la residua informazione libera, ma anche da chi, grazie a questo strumento, ha tratto innumerevoli vantaggi. Il discorso è complesso: Internet è un mezzo di comunicazione pericoloso o, essendo un medium non deve essere confuso con i messaggi, alcuni dei quali nocivi, altri utili, altri infine ininfluenti? Se il medium, però, in parte coincide o si confonde con il contenuto (Mc Luhan docet), allora è senza dubbio la televisionelo strumento-testo diabolico per antonomasia, per la sua capillare diffusione, per il crisma di verità di cui è circonfusa, per la micidiale penetrazione dei suoi dardi tanto più velenosi, quanto più ammantati di scientificità. Esemplari, in tal senso, le tristi trasmissioni dei diabolici Angela.
Se proprio devo identificare un difetto della Rete, più che soffermarmi sulla volgarità, sulla disinformazione e sull'ignoranza che la dominano, tratti non peculiari di Internet (basta aprire un qualsiasi quotidiano o un libro scolastico per trovare tali caratteristiche a iosa), deplorerei la megalomania che essa ha contribuito a creare e ad accentuare. Scienziati-nullità, serviti e riveriti da paggi azzimati, pontificano tronfi su tutto lo scibile umano, enfiando a dismisura il proprio ego. Non sono, però, neanche palloni gonfiati, ma palloni scoppiati i cui miseri brandelli si spargono in ogni dove. Non mancano gli snob che non vogliono essere strumentalizzati: essi inorridiscono se il loro nome è accostato a quello di uno studioso serio, ma non allineato.
La Rete non ha migliorato il mondo né l'umanità: è simile alle opere filosofiche di Cicerone, banali, moralistiche, di riporto, in cui qualcosa di eccelso si può comunque reperire. Nulla di umano può migliorare l'umanità. D'altronde homo sapiens è da tempo immemorabile fondamentalmente lo stesso, con buona pace degli evoluzionisti e degli storicisti: nell'antica Roma il popolino era blandito ed istupidito con gli spettacoli gladiatori, oggi con le immonde trasmissioni del marito di Maurizio Costanzo o con le partite truccate. Un tempo intellettuali come Seneca predicavano bene e razzolavano molto male: oggi figure engagé operano nello stesso maniera melliflua ed ipocrita. Seneca era, però, almeno uno scrittore di vaglia, mentre oggi la dozzinalità e l'analfabetismo imperano incontrastati. Si pensi ad Umberto Egoche scrive, verbigrazia, "più perfetto".
E' proprio questo ego abnorme l'aspetto più detestabile di certi pusilli: l'umiltà è virtù rarissima; pare quasi del tutto assente tra la genia degli "scienziati" e dei loro acritici estimatori, poiché è la "scienza"l'idolo più adorato all'interno della Rete. E' un idolo muto al cui cospetto si prosterna non solo il lattaio, ma pure, in molti casi, il sacerdote, il filosofo, il ricercatore "libero". No. Non è la Rete ad invischiare le menti e le coscienze, poiché esse lo erano già, grazie ai media di regime, alla scuola, alle università, veri centri per il condizionamento mentale.
Anche chi scrive ha forse palesato presunzione e rigidità, ma per amore della verità, per indignazione nei confronti dell'ingiustizia, non per vanagloria. Negare l'ego dovrebbe essere il motto, ma per vanagloria, tracotanza, snobismo, brama di soverchiare gli altri, molti trasformano l'io in Dio: è il fine perseguito anche nelle sette luciferine.
Gli aspetti da puntualizzare mi paiono i seguenti.
- La crisi finanziaria attuale non è la conseguenza di scelte dissennate e di processi distorti inerenti al modello capitalista, non solo: è soprattutto un tracollo deciso negli anni passati per determinare una situazione di caos, premessa indispensabile per la militarizzazione della società e l'instaurazione di regimi liberticidi. In tale ottica, si comprende che l'economia è pilotata dalle élites per scopi che non sono quasi mai economici, ma di controllo della popolazione e di distruzione dei fondamenti su cui si basa la convivenza civile. Si vedano i vari articoli di Capitano Nemo, in particolare La creazione di una crisi finanziaria.
- La caduta verticale degli indici borsistici e la scarsezza di liquidità sono fenomeni molto preoccupanti, ma ancora legati all'economia speculativa: i problemi seri subentreranno se e quando la recessione riguarderà la produzione di beni e servizi, con penuria di generi di prima necessità. Il circolante potrà essere utile, in questo scenario, per un periodo limitato, poiché le banconote sono soltanto fogli di carta privi del tutto di reale valore, per di più stampati ricorrendo al perverso sistema del signoraggio bancarioche crea gravami debitori a danno dei cittadini. In seguito, accaparrati carburanti, prodotti alimentari, acqua..., gli scambi si baseranno o sui metalli preziosi o su merci.
- La Banca centrale europea non stamperà banconote per arginare le strettezze (l'ultima emissione risale al 2002!) semplicemente perché il progetto è quello di ridurre la massa monetaria in modo da portare i cittadini in condizioni di enormi difficoltà, schiacciati dall'inflazione e dalla paurosa riduzione dell'offerta. Nel 1929, la Federal reserve, per indurre un crollo economico, ritirò in breve tempo dal mercato gran parte del circolante, gettando sul lastrico piccoli risparmiatori ed imprenditori e determinando il fallimento di moltissime banche.
- Mentre parecchi istituti bancari sono già falliti, le banche cattoliche stanno, invece, tesaurizzando lingotti d'oro e valute forti. Ciò dimostrebbe, come asserito da Svali e da vari ricercatori, che potrebbe essere il Vaticano (Babilonia la grande, sede dell'Anticristo) il vero artefice della crisi negli Stati Uniti ed altrove.
Claudio Rutilio Namaziano è poeta latino di origine gallica. Nativo probabilmente di Tolosa, figlio di un alto funzionario imperiale, intraprese la carriera amministrativa sino a diventare praefectus urbi nel 414 d.C. Negli anni seguenti, però, dovette lasciare Roma per tornare nella sua terra invasa dai Vandali. Tale viaggio, compiuto per mare, a causa delle pessime condizioni della Via Aurelia e della Via Iulia Augusta, dopo il passaggio dei Visigoti, viaggio intervallato da numerosi scali, viene ripercorso nel De reditu suo, poemetto in distici elegiaci che si interrompe al verso 68 del libro II con l'arrivo a Luni. Recentemente sono stati scoperti dei magri frammenti riferiti alla Liguria, con la prosecuzione della traversata fino ad Albenga.
Pregevole per nitore espressivo è la raffigurazione del Mar Ligure e della Lunigiana che l'autore dipinge con tocchi leggiadri e sapienti, sebbene non privi di un certo artificio.
L'acqua tranquilla ci sorride, mentre i raggi del sole la increspano e l'onda solcata dalla nave mormora con un lieve suono. Cominciano ad apparire le cime dell'Appennino, nella direzione in cui Teti freme respinta da un monte elevato. [...] Siamo giunti con veloce movimento a candide mura; dà nome al luogo la scintillante sorella del Sole. La pietra con i suoi massi supera i gigli ridenti e sfolgora di una lucentezza dipinta. La terra, ricca di marmi, superba chiama a gareggiare in splendore le nevi immacolate.
I versi tratteggiano uno scenario rasserenante e radioso, in cui la prosopopea dell'acqua che sorride, la luminosità del paesaggio stridono con la triste temperie storica, motivo del viaggio. In questo brano l'autore raffigura con maestria i luoghi in cui sorgeva l'antica Luna (evocata attraverso una preziosa perifrasi), lambita dal mare designato con l'antonomasia "Teti", mentre sullo sfondo si adergono le Alpi Apuane corrusche di marmi. L'immagine dei gigli e quella della neve accrescono il senso di lucore quasi abbacinante dell'alata descrizione.
Più corposi i versi dedicati a Genova.
Lì, come è uso a Genova sia riposto il frumento, si ergono contro i venti di Noto forieri di pioggia sicuri granai e vigile presidia i quartieri invernali della Liguria il soldato che porta una scrofa come insegna sul lanoso scudo. Siamo accolti nell'osteria: la generosa padrona serve a tavola, mentre un focolare dalle fiamme flessuose è acceso sotto un gran pentolone. L'ostessa ci offre del vino a prezzo non modico e l'orcio traboccante spande il suo liquido, emanando un gradevole profumo.
Genova è rappresentata in modo realistico con le nubi imbrifere portate dai venti del Nord e con l'interno della taverna, tiepida per il fuoco acceso, in cui l'ostessa mesce del vino dal sentore piacevole. Il poeta non rinuncia, pur all'interno di un quadro realistico, all'elegante metafora delle fiamme flessuose.
L'ultimo lacerto ligure è dedicato alla descrizione delle mura che cingono Albenga enfaticamente paragonate a quelle di Tebe, di Atene e di Troia. Segue uno sperticato e poco opportuno panegirico del console Costanzo, cui si deve la costruzione della cinta muraria.
Questa è la Liguria tratteggiata dall’autore latino, una Liguria naturalmente molto diversa da quella attuale, come è facile immaginare…