Il maestro di palazzo, Pipino il Breve, dopo essersi imposto sul fratello Carlomanno che costrinse nel 747 a rinchiudersi nel monastero di Montecassino, sebbene alcune fonti menzionino un volontario ritiro di Carlomanno dalla vita politica, chiese a papa Zaccaria se il trono spettasse a chi di fatto deteneva il potere o al re merovingio, sovrano di diritto, ma privo di reale autorità. Il pontefice rispose che il titolo regio doveva essere detenuto da chi effettivamente governava. Così Pipino si risolse a deporre l’ultimo re merovingio, Childerico III, cui fu tagliata la lunga chioma.
A Soissons, nel corso di una solenne cerimonia, il vescovo di Magonza, Bonifacio, unse con olio benedetto il nuovo re, secondo un rituale biblico risalente ai tempi di Saul e David. [1] Il rito assurgeva a potente simbolo, poiché rappresentava una consacrazione divina che legittimava la dinastia usurpatrice dei Pipinidi, poi Carolingi. Il papa aveva le sue buone ragioni, per sostenere i Pipinidi, in primis la necessità di trovare un contrappeso ai Longobardi che, in Italia, miravano ad assoggettare i territori del Patrimonium Petri.
Tuttavia l’accordo tra il vescovo di Roma e Pipino nasconde qualcos’altro… forse la necessità di delegittimare una dinastia sui generis, a vantaggio di una Chiesa che affermava, in dispregio di ogni fondamento storico ed evangelico, di essere stata fondata da Cristo.
Tralasciamo pure le ricostruzioni fantasiose di certi scrittori e consideriamo i pochi dati tra storia e leggenda che è possibile ricondurre ad uno scenario eterodosso: Gregorio di Tours nella Historia Francorum e lo pseudo-Fredegario ci forniscono alcuni curiosi indizi.
Il primo, nella sua opera, scrive a proposito dei Franchi: "Emersero nell'antica tradizione nazirea per diventare i re pescatori dai lunghi capelli". Egli inoltre ricorda che, dopo la morte di Faramondo, occorsa nel 428, gli sarebbe succeduto il figlio, Clodione il Capelluto (Clodion le Chevelu), reputato dal vescovo di Tours il primo re del popolo germanico in oggetto.
Nella cronaca di Fredegario si legge che i Franchi Sicambri invasero la Gallia e che Argotta, figlia di Genobaude, sposò Faramondo, re pescatore, nipote di Boaz, discendente del figlio di Giosuè. Dalla loro unione nacque Clodione, padre di Meroveo. La dinastia prende il nome proprio da Meroveo, generale franco che combatté a fianco dell'Impero romano contro gli Unni di Attila nel 451, ai Campi Cataulaunici. Secondo un racconto medievale, Meroveo era figlio di due padri. La madre, infatti, già fecondata, sarebbe stata violata da un mostro marino. Per tale motivo nelle vene di Meroveo scorreva non solo il sangue del vero genitore, ma anche quello della creatura marina. Tutto questo potrebbe avere un significato simbolico ed indicare che i Franchi si erano uniti con una stirpe che proveniva d'oltremare, a meno che…
Tale ipotesi sembra suffragata dal nome stesso Meroveo, contenente una base che allude al mare o comunque all’acqua. Infatti nelle lingue indoeuropee nord occidentali la radice “mar” significa “laguna”, “palude” “specchio d’acqua” e per analogia “mare”.
Che veramente i Franchi Sicambri discendessero dagli Ebrei è congettura tutta da verificare, attraverso indagini storiche e genetiche: il particolare dei capelli lunghi accomuna i re merovingi ai Nazirei, ma è un collegamento molto tenue e non è sufficiente per avvalorare l’origine israelitica dei Sicambri, derivazione da loro millantata probabilmente per confermare il loro rango di re semidivini, in quanto successori del Messia di David. I capelli fluenti sugli omeri caratterizzavano i consacrati a Dio: la chioma intonsa era sede di una particolare energia. I capelli sin sulle spalle erano, per così dire, raggi da cui si sprigionava una forza soprannaturale. Le vicende di Sansone – che fu, però, secondo lo storico Garbini, eroe solare indo-germanico e non ebreo – sono istruttive a tale proposito.
Che i re definiti in modo ignominioso “fannulloni” fossero dei taumaturghi è dubbio. Nondimeno è sospetta la nonchalance con cui la Chiesa di Roma si affrettò a convalidare l’usurpazione merovingia, come è inquietante lo sterminio di quasi tutti gli eredi della dinastia. Uno degli ultimi discendenti fu Guglielmo di Gellone (morto nell’anno 812), eroe della Chanson de geste che, per alcuni studiosi, edificò la chiesa di Rennes-le-Château nel IX sec. Con Rennes-le-Château lo scenario si allarga alla Francia pirenaica, mentre il cenno di Gregorio di Tours ai “re pescatori” ci introduce nel mondo meraviglioso del Graal e forse ci porta in Oriente dove, stando a certuni ricercatori, si trovava la città del “re pescatore”, Edessa, centro legato alla leggenda del re Abgar che, colpito dalla lebbra, guarì grazie ad un’effigie rappresentante Cristo.
Alcune sparse tessere del mosaico merovingio sono state raccolte: è necessario trovarne molte altre e provare a delineare il disegno.
[1] Pare che i re ebrei fossero unti con grasso di coccodrillo.
A Soissons, nel corso di una solenne cerimonia, il vescovo di Magonza, Bonifacio, unse con olio benedetto il nuovo re, secondo un rituale biblico risalente ai tempi di Saul e David. [1] Il rito assurgeva a potente simbolo, poiché rappresentava una consacrazione divina che legittimava la dinastia usurpatrice dei Pipinidi, poi Carolingi. Il papa aveva le sue buone ragioni, per sostenere i Pipinidi, in primis la necessità di trovare un contrappeso ai Longobardi che, in Italia, miravano ad assoggettare i territori del Patrimonium Petri.
Tuttavia l’accordo tra il vescovo di Roma e Pipino nasconde qualcos’altro… forse la necessità di delegittimare una dinastia sui generis, a vantaggio di una Chiesa che affermava, in dispregio di ogni fondamento storico ed evangelico, di essere stata fondata da Cristo.
Tralasciamo pure le ricostruzioni fantasiose di certi scrittori e consideriamo i pochi dati tra storia e leggenda che è possibile ricondurre ad uno scenario eterodosso: Gregorio di Tours nella Historia Francorum e lo pseudo-Fredegario ci forniscono alcuni curiosi indizi.
Il primo, nella sua opera, scrive a proposito dei Franchi: "Emersero nell'antica tradizione nazirea per diventare i re pescatori dai lunghi capelli". Egli inoltre ricorda che, dopo la morte di Faramondo, occorsa nel 428, gli sarebbe succeduto il figlio, Clodione il Capelluto (Clodion le Chevelu), reputato dal vescovo di Tours il primo re del popolo germanico in oggetto.
Nella cronaca di Fredegario si legge che i Franchi Sicambri invasero la Gallia e che Argotta, figlia di Genobaude, sposò Faramondo, re pescatore, nipote di Boaz, discendente del figlio di Giosuè. Dalla loro unione nacque Clodione, padre di Meroveo. La dinastia prende il nome proprio da Meroveo, generale franco che combatté a fianco dell'Impero romano contro gli Unni di Attila nel 451, ai Campi Cataulaunici. Secondo un racconto medievale, Meroveo era figlio di due padri. La madre, infatti, già fecondata, sarebbe stata violata da un mostro marino. Per tale motivo nelle vene di Meroveo scorreva non solo il sangue del vero genitore, ma anche quello della creatura marina. Tutto questo potrebbe avere un significato simbolico ed indicare che i Franchi si erano uniti con una stirpe che proveniva d'oltremare, a meno che…
Tale ipotesi sembra suffragata dal nome stesso Meroveo, contenente una base che allude al mare o comunque all’acqua. Infatti nelle lingue indoeuropee nord occidentali la radice “mar” significa “laguna”, “palude” “specchio d’acqua” e per analogia “mare”.
Che veramente i Franchi Sicambri discendessero dagli Ebrei è congettura tutta da verificare, attraverso indagini storiche e genetiche: il particolare dei capelli lunghi accomuna i re merovingi ai Nazirei, ma è un collegamento molto tenue e non è sufficiente per avvalorare l’origine israelitica dei Sicambri, derivazione da loro millantata probabilmente per confermare il loro rango di re semidivini, in quanto successori del Messia di David. I capelli fluenti sugli omeri caratterizzavano i consacrati a Dio: la chioma intonsa era sede di una particolare energia. I capelli sin sulle spalle erano, per così dire, raggi da cui si sprigionava una forza soprannaturale. Le vicende di Sansone – che fu, però, secondo lo storico Garbini, eroe solare indo-germanico e non ebreo – sono istruttive a tale proposito.
Che i re definiti in modo ignominioso “fannulloni” fossero dei taumaturghi è dubbio. Nondimeno è sospetta la nonchalance con cui la Chiesa di Roma si affrettò a convalidare l’usurpazione merovingia, come è inquietante lo sterminio di quasi tutti gli eredi della dinastia. Uno degli ultimi discendenti fu Guglielmo di Gellone (morto nell’anno 812), eroe della Chanson de geste che, per alcuni studiosi, edificò la chiesa di Rennes-le-Château nel IX sec. Con Rennes-le-Château lo scenario si allarga alla Francia pirenaica, mentre il cenno di Gregorio di Tours ai “re pescatori” ci introduce nel mondo meraviglioso del Graal e forse ci porta in Oriente dove, stando a certuni ricercatori, si trovava la città del “re pescatore”, Edessa, centro legato alla leggenda del re Abgar che, colpito dalla lebbra, guarì grazie ad un’effigie rappresentante Cristo.
Alcune sparse tessere del mosaico merovingio sono state raccolte: è necessario trovarne molte altre e provare a delineare il disegno.
[1] Pare che i re ebrei fossero unti con grasso di coccodrillo.