Si impara più dall'osservazione che dai libri. (A. Dumas giovane)
Uno fra i più diffusi e radicati pregiudizi è il convincimento secondo cui per imparare a scrivere, bisogna leggere. Per una sorta di prodigio, dopo che si è divorato un cospicuo numero di libri, si diventerebbe dei letterati.
Senza dubbio la lettura è utile, ma, come osservò qualcuno: “Se tra il dire e il fare, c’è di mezzo il mare, tra il dire e lo scrivere, c’è di mezzo il mare ed il cielo”. La lettura è una consuetudine che può ampliare il proprio repertorio lessicale, può favorire la capacità di riflettere e di osservare, ma non produce ipso facto competenze nell’elaborazione: esse si acquisiscono, se si acquisiscono, con un tenace tirocinio e per mezzo di idonei strumenti cognitivi di cui oggi pochissimi dispongono. Naturalmente anche il talento gioca la sua parte.
Leggere? Che cosa? Il mercato editoriale oggi offre testi in quantità soverchia: è difficile orientarsi, perché, insieme con qualche volume pregevole, si sforna moltissima paccottiglia. Allora è meritorio disdegnare ed ignorare tanti titoli per scoprire qualche libro negletto ma valido. Soprattutto è auspicabile riscoprire i classici da cui si trae sempre qualche insegnamento. Non solo, sono i testi della Tradizione a pungolarci, stimolando una Weltanschauung critica, laddove la “cultura” contemporanea è soggiogata da conformismo, ipocrisia ed ignoranza.
Bisognerebbe poi promuovere un nuovo tipo di lettura, accanto a quella estensiva, una fruizione, per così dire, a spizzichi e bocconi, a morsi. Bisogna imparare a strappare ad un testo un amaro aforisma, uno scorcio descrittivo, una scheggia di filosofia: ne potranno scaturire sorgenti di pensiero non meno feconde di quelle che sgorgano dalla lettura completa di un romanzo o di un saggio. Una frase, estrapolata dal suo contesto, potrà brillare di una luce inconsueta, simile al riflesso su una sfaccettatura di un diamante colpito da un raggio inatteso.
Ciò che avviene nel momento della ricezione, per cui una parte può valere talvolta più del tutto, accade pure nell’universo della creazione: quanti capolavori sono nati dal brandello di un enunciato, dall’accenno di un accordo, da una “casuale” macchia di colore!
Uno fra i più diffusi e radicati pregiudizi è il convincimento secondo cui per imparare a scrivere, bisogna leggere. Per una sorta di prodigio, dopo che si è divorato un cospicuo numero di libri, si diventerebbe dei letterati.
Senza dubbio la lettura è utile, ma, come osservò qualcuno: “Se tra il dire e il fare, c’è di mezzo il mare, tra il dire e lo scrivere, c’è di mezzo il mare ed il cielo”. La lettura è una consuetudine che può ampliare il proprio repertorio lessicale, può favorire la capacità di riflettere e di osservare, ma non produce ipso facto competenze nell’elaborazione: esse si acquisiscono, se si acquisiscono, con un tenace tirocinio e per mezzo di idonei strumenti cognitivi di cui oggi pochissimi dispongono. Naturalmente anche il talento gioca la sua parte.
Leggere? Che cosa? Il mercato editoriale oggi offre testi in quantità soverchia: è difficile orientarsi, perché, insieme con qualche volume pregevole, si sforna moltissima paccottiglia. Allora è meritorio disdegnare ed ignorare tanti titoli per scoprire qualche libro negletto ma valido. Soprattutto è auspicabile riscoprire i classici da cui si trae sempre qualche insegnamento. Non solo, sono i testi della Tradizione a pungolarci, stimolando una Weltanschauung critica, laddove la “cultura” contemporanea è soggiogata da conformismo, ipocrisia ed ignoranza.
Bisognerebbe poi promuovere un nuovo tipo di lettura, accanto a quella estensiva, una fruizione, per così dire, a spizzichi e bocconi, a morsi. Bisogna imparare a strappare ad un testo un amaro aforisma, uno scorcio descrittivo, una scheggia di filosofia: ne potranno scaturire sorgenti di pensiero non meno feconde di quelle che sgorgano dalla lettura completa di un romanzo o di un saggio. Una frase, estrapolata dal suo contesto, potrà brillare di una luce inconsueta, simile al riflesso su una sfaccettatura di un diamante colpito da un raggio inatteso.
Ciò che avviene nel momento della ricezione, per cui una parte può valere talvolta più del tutto, accade pure nell’universo della creazione: quanti capolavori sono nati dal brandello di un enunciato, dall’accenno di un accordo, da una “casuale” macchia di colore!
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