09 giugno, 2009

Da Hume all'uomo

Il pensiero del filosofo scozzese David Hume (1711-1776) è simile ad una dorsale oceanica che, dopo moltissimo tempo, affiora in superficie, a causa di un improvviso sommovimento della litosfera. Impossibile non apprezzare l'intelligenza di un filosofo che, pur prendendo le mosse da concezioni empiriste entro le quali la sua speculazione restò spesso confinata, seppe dimostrare l'ingenuità di dogmi scientifici che ancora oggi, nonostante le scoperte della fisica quantistica (e non solo), imperano nella comunità accademica, come il mito della causa e quello dell'oggettività assoluta. Il nesso causale è, in effetti, un post hoc e non un propter hoc. Anche la credenza in un mondo esterno del tutto indipendente dal soggetto che lo percepisce è convincimento molto diffuso tra la gente comune e non pochi "scienziati". E' sbalorditivo notare quanto fideistici siano molti orientamenti "scientifici".

Oggi, nel sapere più avanzato e scaltrito, concetti come la retrocausalità, il sincronismo e la non linearità del tempo sono acquisiti: il reale manifesta caratteri complessi e paradossali che mettono a dura prova la logica aristotelica come il metodo "scientifico" tradizionale. La ricerca, con le sue avventurose esplorazioni, dopo aver anche dimostrato l'inadeguatezza del rasoio di Ockham, si è imbattuta in questioni che sfidano gli approcci convenzionali, richiedendo salti epistemologici.

Si è cominciato ad accostarsi, con una nuova stupefatta consapevolezza, al mistero della coscienza: da che cosa affiora la coscienza? Si può ritenere l'io un "fascio di impressioni", come reputava Hume? A volte si è tentati di pensare che l'anima sia un aggregato temporaneo, una nube di sensazioni destinata, prima o dopo, a dissolversi. La coscienza coincide con il cervello o è ancorata ad un substrato? La credenza nella sostanza individuale è incollata al pronome di prima persona accampato nel centro del cosmo, nella superbia che anche l'umile non sa atterrare, nell'istinto di sopravvivenza.

Tra i vari paradoxa, l'io pare il più ossimorico: caduco eppure eterno, ente che è niente, in-dividuo, ma diviso, disgregato in una molteplicità di percezioni ed appercezioni, stati e persone. Che cos'è l'uomo? Se esiste una
sostanza, su quale humus si radica? Penrose ipotizza che la coscienza si palesi come concomitanza di due stati virtuali, di cui uno "congela", allorché una Coscienza superiore determina il collasso dei microtubuli cerebrali. Lo scienziato statunitense osserva: "Il pensiero conscio deve comportare ingredienti che non possono essere simulati dalla mera computazione convenzionale... Mi sentirei portato ad affermare che non arriveranno risposte chiare a meno che non si vedano interagire il mondo mentale, il mondo fisico ed il mondo platonico. Non ci sono dubbi che non ci sono in realtà tre mondi, ma uno solo, la vera natura del quale non abbiamo neppure visto di sfuggita".

E' proprio così: la vera essenza dell'essere ci sfugge ed un'investigazione profonda del piano fisico subito sdrucciola in una scarpata metafisica. La realtà assomiglia alle torri di trivellazione marine le cui incastellature sotto il livello dell'acqua (le dimensioni metafisiche) non sono visibili o appaiono come immagini labili e tremolanti.

Alla fine, cercare di comprendere che cosa sia l'identità è come tentare di afferrare del fumo.



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4 commenti:

  1. Concordo con le ultime affermazioni, razionalizzare e contenere l'identità in una struttura di regole scientifiche è alquanto complesso, direi impossibile. Vediamo troppe volte solo un piccolo lembo di verità che ci porta a sostenere di avere raggiunto la conoscenza delle regole che contengono i confini di una realtà. Anche la scienza ufficiale deve cominciare a domandarsi da dove partono i pilastri delle torri di trivellazione.
    Per il resto ...c'è un traduttore istantaneo per casalinghe del complesso linguaggio zreteriano?

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  2. Cleonice, sarà come il traduttore di google che rende in maniera grottesca l'inglese?

    Invano Hume e molti altri dopo di lui hanno scritto: quante volte leggo di "cause" e di "oggettività assoluta" in certi siti... archeologici.

    Ciao e grazie.

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  3. Il fatto che Hume definisca la coscienza come 'un fascio di impressioni' la dice lunga sul suo livello di ignoranza. Quello che egli intende è ovviamente la coscienza riflessa dell'uomo decaduto e non la coscienza che si pone come qualcosa di a sè stante ovvero come un 'a priori' dell'uomo spiritualmente reintegrato.

    Mi pare inoltre che tale filosofo ponga le basi di quello che Heisenberg definì ben più tardi il 'principio di indeterminazione' vale a dire l'ammissione dell'incapacità conoscitiva della mente riflessa. Insomma secondo lui non si può essere certi di nulla.

    Insomma più 'moderno' e antignostico di così egli non avrebbero potuto essere.

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  4. A mio avviso, Hume ha il non piccolo merito di aver demolito i dogmi della "scienza" ottusa ed imperiosa che ancora oggi imperversa in molti ambiti. Non a caso, Kattivix, dimostrando TOTALE ed IRREDIMIBILE ignoranza, irrise Hume in un suo vaniloquio. Non può essere diversamente. I pusilli sono già piccoli e presto saranno nulla.

    Certo il pensatore scozzese, figlio del suo tempo, rimase confinato nell'empirismo, ma un empirismo non privo di qualche spunto fecondo, a differenza della stolida "scienza" accademica e del polveroso positivismo.

    Ciao e grazie.

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