Camillo Sbarbaro (Santa Margherita Ligure, Genova; Savona, 1967) è autore di liriche e di prose. Di seguito qualche esempio (versi, epifonemi, una pagina in prosa) della sua ispirazione attonita e disincantata. Circa la produzione dell’autore ligure una chiosa di A. Benemeglio: “Sulla vertebra nuda della strada, sui monti calvi e calcinati l’aridità s’accanisce: e gli spruzzi di schiume amare del mare sono lo specchio di una simbolica vicenda personale”.
Svegliandomi il mattino
Svegliandomi il mattino, a volte provo
sì acuta ripugnanza a ritornare
in vita, che di cuore farei patto
in quell’istante stesso di morire.
Il risveglio m’è allora un alto nascere;
ché la mente lavata dall’oblio
e ritornata vergine nel sonno
s’affaccia all’esistenza curiosa.
Ma tosto a lei l’esperienza emerge
come terra scemando la marea.
E così chiara allora le si scopre
l’irragionevolezza della vita,
che si rifiuta a vivere, vorrebbe
ributtarsi nel limbo dal quale esce.
Io sono in quel momento come chi
si risvegli sull’orlo d’un burrone,
e con le mani disperatamente
d’arretrare si forzi ma non possa.
Come il burrone m’empie di terrore
la disperata luce del mattino.
(Poesie)
E conosco l’inganno del qual vivono,
il dolore che mise quella piega
sul loro labbro, le speranze sempre
deluse,
e l’inutilità della lor vita
amara e il loro destino ultimo, il buio.
(Poesie)
Perché il nostro alimento è l'amarezza.
(Poesie)
Ognuno resta con la sua perduta
felicità, un po’ stupito e solo,
pel mondo vuoto di significato.
(Poesie)
La vita che sfugge incompresa.
(Poesie)
Ormai somiglio ad una vite che vidi un dì con stupore. Cresceva su un muro di casa nascendo da un lastrico. Trapiantata, sarebbe intristita. Così l'anima ha messo radice nella pietra della città e altrove non saprebbe più vivere. E se ancora m'avviene di guardar come a scampo ai monti lontani, in realtà essi non mi parlano più. Mi esalta il fanale atroce a capo del vicolo chiuso. Il cuore resta appeso in ex voto a chiassuoli a crocicchi. Aspetti di cose mi toccano come nessun gesto umano potrebbe. Come la vite mi cibo di aridità. Più della femmina, m'illudono la sete e gli artifizi. Il lampeggiar degli specchi m'appaga. A volte, a disturbare l'inerzia in cui mi compiaccio affiora, chi sa da che piega di me, un mondo a una sola dimensione e, smarrita per esso, l'infanzia. Al richiamo mi tendo, trepidante mi chino in ascolto... Ah non era che il ricordo d'un'esistenza anteriore! Forse mi vado mineralizzando. Già il mio occhio è di vetro, da tanto non piango; ed il cuore, un ciottolo pesante.
(Trucioli)
Svegliandomi il mattino
Svegliandomi il mattino, a volte provo
sì acuta ripugnanza a ritornare
in vita, che di cuore farei patto
in quell’istante stesso di morire.
Il risveglio m’è allora un alto nascere;
ché la mente lavata dall’oblio
e ritornata vergine nel sonno
s’affaccia all’esistenza curiosa.
Ma tosto a lei l’esperienza emerge
come terra scemando la marea.
E così chiara allora le si scopre
l’irragionevolezza della vita,
che si rifiuta a vivere, vorrebbe
ributtarsi nel limbo dal quale esce.
Io sono in quel momento come chi
si risvegli sull’orlo d’un burrone,
e con le mani disperatamente
d’arretrare si forzi ma non possa.
Come il burrone m’empie di terrore
la disperata luce del mattino.
(Poesie)
E conosco l’inganno del qual vivono,
il dolore che mise quella piega
sul loro labbro, le speranze sempre
deluse,
e l’inutilità della lor vita
amara e il loro destino ultimo, il buio.
(Poesie)
Perché il nostro alimento è l'amarezza.
(Poesie)
Ognuno resta con la sua perduta
felicità, un po’ stupito e solo,
pel mondo vuoto di significato.
(Poesie)
La vita che sfugge incompresa.
(Poesie)
Ormai somiglio ad una vite che vidi un dì con stupore. Cresceva su un muro di casa nascendo da un lastrico. Trapiantata, sarebbe intristita. Così l'anima ha messo radice nella pietra della città e altrove non saprebbe più vivere. E se ancora m'avviene di guardar come a scampo ai monti lontani, in realtà essi non mi parlano più. Mi esalta il fanale atroce a capo del vicolo chiuso. Il cuore resta appeso in ex voto a chiassuoli a crocicchi. Aspetti di cose mi toccano come nessun gesto umano potrebbe. Come la vite mi cibo di aridità. Più della femmina, m'illudono la sete e gli artifizi. Il lampeggiar degli specchi m'appaga. A volte, a disturbare l'inerzia in cui mi compiaccio affiora, chi sa da che piega di me, un mondo a una sola dimensione e, smarrita per esso, l'infanzia. Al richiamo mi tendo, trepidante mi chino in ascolto... Ah non era che il ricordo d'un'esistenza anteriore! Forse mi vado mineralizzando. Già il mio occhio è di vetro, da tanto non piango; ed il cuore, un ciottolo pesante.
(Trucioli)
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