Secondo la Bibbia, Mosè (XIII sec. a.C.?) è il profeta e legislatore che sfuggì alla morte decretata dal faraone per tutti i neonati ebrei. Abbandonato dalla madre in un cesto nelle acque del Nilo, fu salvato dalla figlia del re per essere allevato a corte. Per ordine di YHWH, liberò gli Ebrei dalla schiavitù egizia e li condusse nella Terra Promessa, la Terra di Canaan. Sul Monte Sinai ricevette le Tavole della Legge, segno del patto di alleanza tra Dio ed il popolo di Israele. A Mosè la tradizione ascrive la stesura della Torah. Massimo Salvadori osserva che è difficile stabilire la verità storica circa la vita e l'operato di Mosè. Alcuni storici hanno negato la storicità del personaggio biblico; altri studiosi, sulla base del nome indubbiamente egizio (Moses significa "figlio" nell'antica lingua egiziana), hanno congetturato che il nomoteta fosse un sacerdote del dio Aton, un seguace del culto monoteista promosso dal faraone Amenofis IV-Akhenaton.
E' veramente arduo addivenire a conclusioni plausibili, in assenza di fonti archeologiche e di documenti univoci, riferibili alla biografia di Mosè. Non pare inverosimile che il profeta sia stato un iniziato che tentò di convertire alcuni gruppi di nomadi residenti nella regione del delta ad una religione monoteista. E' prevalente la convinzione che i faraoni descritti nella Bibbia furono sovrani Hyksos, ossia di un popolo composto da un crogiolo di etnie indoeuropee e semitiche che invasero il Basso Egitto nel XVIII sec. a. C. Quindi la presenza di tribù semitiche, il cui carattere etnico e culturale era, però, pressoché inesistente, pare attestata nel secondo periodo intermedio. [1]
Su Mosè un'altra interpretazione è stata avanzata da Leonardo Melis, il noto autore che ha dedicato molti anni di intense ricerche ai Popoli del mare e, in particolare, agli Shardana. Melis reputa che il profeta coincida con Neb.Ka.Set.Nebet. "Citato nei testi egizi come un principe ereditario, figlio di Seti I e nipote di Ramses I, fu il fondatore della XIX dinastia che da lui prese il nome. Nel nome di Nebkhaset è contenuto quello del dio degli Hyksos, che erano Popoli del mare". Lo storico sardo è convinto che Mosè non fu ebreo. Egli, preceduto da vari antropologi, mostra il parallelismo con saghe simili: di Sargon il Grande, Perseo, Ificle, Romolo si racconta che furono abbandonati in cesti o arche. L'autore crede che la strana caratteristica iconografica delle corna, caratteristica che connota Mosè in molte opere pittoriche e scultoree, sia un tratto collegabile agli Shardana: i generali ed i guerrieri Shardana portavano un elmetto cornigero.
Melis si spinge oltre, poiché considera le misteriose genti menzionate nella stele di Medineth, discendenti di una stirpe giapetica dai capelli rossi e di provenienza medio-orientale. Qui la tesi di Melis si aggancia alle acquisizioni degli archeologi che hanno isolato in alcune tribù ebree (Dan, Issacar, Beniamino) una matrice indogermanica. Asserisce il ricercatore: "Gli Shardana si insediarono nella città di Dan, dove sorse il primo tempio di Israele. I Daniti conservarono l'Arca dell'alleanza insieme con il Nehustan, il serpente di bronzo."
Ho compendiato l'esegesi di Leonardo Melis che mi sembra sia significativa almeno per due motivi: se sarà confermata da ulteriori scoperte archeologiche potrà determinare una revisione di giudizi consolidati (Mosè era ebreo, gli Ebrei erano schiavi nella terra dei faraoni...) con le conseguenze che si possono immaginare. Un altro motivo per cui le tesi di Melis meritano di essere esaminate e discusse, risiede nell'attenzione che egli riserva ad una primigenia razza rossa, cui si riferiscono vari autori, e nel tentativo di inglobare in una ricostruzione a volte opinabile, ma suggestiva, l'ipotesi settentrionalista di cui il principale propugnatore è Felice Vinci.
[1] Habiru, da cui il termine Ebrei significa "stranieri", "briganti": gli Habiru erano un coacervo di tribù nomadi che vivevano ai margini del regno egizio, ora accolti come lavoratori saltuari ora respinti nelle zone desertiche dove si davano al brigantaggio.
Fonti:
M. Bontempelli, L. Bruni, Civiltà storiche e loro documenti, Milano, 1993
A. Forgione, I custodi del tempo, 2009
S. Freud, Mosè ed il monoteismo, Milano, 1952
L. Melis, Shardana I custodi del tempo, 2009
Enciclopedia storica, a cura di M. Salvadori, Bologna, 2000, s.v. Hyksos, Mosè
E' veramente arduo addivenire a conclusioni plausibili, in assenza di fonti archeologiche e di documenti univoci, riferibili alla biografia di Mosè. Non pare inverosimile che il profeta sia stato un iniziato che tentò di convertire alcuni gruppi di nomadi residenti nella regione del delta ad una religione monoteista. E' prevalente la convinzione che i faraoni descritti nella Bibbia furono sovrani Hyksos, ossia di un popolo composto da un crogiolo di etnie indoeuropee e semitiche che invasero il Basso Egitto nel XVIII sec. a. C. Quindi la presenza di tribù semitiche, il cui carattere etnico e culturale era, però, pressoché inesistente, pare attestata nel secondo periodo intermedio. [1]
Su Mosè un'altra interpretazione è stata avanzata da Leonardo Melis, il noto autore che ha dedicato molti anni di intense ricerche ai Popoli del mare e, in particolare, agli Shardana. Melis reputa che il profeta coincida con Neb.Ka.Set.Nebet. "Citato nei testi egizi come un principe ereditario, figlio di Seti I e nipote di Ramses I, fu il fondatore della XIX dinastia che da lui prese il nome. Nel nome di Nebkhaset è contenuto quello del dio degli Hyksos, che erano Popoli del mare". Lo storico sardo è convinto che Mosè non fu ebreo. Egli, preceduto da vari antropologi, mostra il parallelismo con saghe simili: di Sargon il Grande, Perseo, Ificle, Romolo si racconta che furono abbandonati in cesti o arche. L'autore crede che la strana caratteristica iconografica delle corna, caratteristica che connota Mosè in molte opere pittoriche e scultoree, sia un tratto collegabile agli Shardana: i generali ed i guerrieri Shardana portavano un elmetto cornigero.
Melis si spinge oltre, poiché considera le misteriose genti menzionate nella stele di Medineth, discendenti di una stirpe giapetica dai capelli rossi e di provenienza medio-orientale. Qui la tesi di Melis si aggancia alle acquisizioni degli archeologi che hanno isolato in alcune tribù ebree (Dan, Issacar, Beniamino) una matrice indogermanica. Asserisce il ricercatore: "Gli Shardana si insediarono nella città di Dan, dove sorse il primo tempio di Israele. I Daniti conservarono l'Arca dell'alleanza insieme con il Nehustan, il serpente di bronzo."
Ho compendiato l'esegesi di Leonardo Melis che mi sembra sia significativa almeno per due motivi: se sarà confermata da ulteriori scoperte archeologiche potrà determinare una revisione di giudizi consolidati (Mosè era ebreo, gli Ebrei erano schiavi nella terra dei faraoni...) con le conseguenze che si possono immaginare. Un altro motivo per cui le tesi di Melis meritano di essere esaminate e discusse, risiede nell'attenzione che egli riserva ad una primigenia razza rossa, cui si riferiscono vari autori, e nel tentativo di inglobare in una ricostruzione a volte opinabile, ma suggestiva, l'ipotesi settentrionalista di cui il principale propugnatore è Felice Vinci.
[1] Habiru, da cui il termine Ebrei significa "stranieri", "briganti": gli Habiru erano un coacervo di tribù nomadi che vivevano ai margini del regno egizio, ora accolti come lavoratori saltuari ora respinti nelle zone desertiche dove si davano al brigantaggio.
Fonti:
M. Bontempelli, L. Bruni, Civiltà storiche e loro documenti, Milano, 1993
A. Forgione, I custodi del tempo, 2009
S. Freud, Mosè ed il monoteismo, Milano, 1952
L. Melis, Shardana I custodi del tempo, 2009
Enciclopedia storica, a cura di M. Salvadori, Bologna, 2000, s.v. Hyksos, Mosè