09 ottobre, 2009

Oltre i codici

E' noto che esiste una somiglianza tra il codice genetico e la struttura profonda della lingua: la molecola del D.N.A. è formata da due filamenti avvolti a doppia elica. I due filamenti sono costituiti da due catene polinucleotidiche e da una base azotata. L'informazione genetica risiede nella sequenza lungo un filamento delle quattro basi che costituiscono le lettere dell'alfabeto usato per esprimere il messaggio genetico. Anche il sistema linguistico, imperniato su una forma bipolare ed inerente alla trasmissione di informazioni, implica dei precisi modi di funzionamento volgarmente definiti regole. E' possibile che la fisionomia diadica di molti idiomi dipenda dalla conformazione cerebrale, in cui si distinguono l'emisfero destro e l'emisfero sinistro, sebbene tale bipartizione sia il risultato di un processo di semplificazione sfociato in un impoverimento concettuale.

Tuttavia, se restiamo nell'ambito di un approccio empirico, rischiamo di ricondurre i valori più profondi del linguaggio umano ad una dimensione combinatoria, dimenticandone la natura simbolica, creatrice e sacra. Nelle culture antiche, si pensi agli Egizi ed a Thot, il linguaggio appartiene agli dèi ed è donato agli uomini: non è quindi un'invenzione umana e tanto meno il frutto di arbitrari accordi tra locutori e di non motivati nessi tra significanti ed oggetti. Questo è un tema su cui mi sono soffermato in altri articoli cui rimando.[1] Qui vorrei, invece, riflettere sul linguaggio come caduta rispetto all'idea. Dunque mi pare adeguata la traduzione del termine "logos" con "idea" e non con "suono" o "vibrazione". Infatti il pensiero precede la parola nella sua articolazione fonica e scritta. Il pensiero, nella sua immaterialità, imparentata con il silenzio ed il nulla, sembra più vicino all'essere del suono che è già uno slittamento denotato da un substrato materiale, assente nel nous in cui i rapporti aritmetici e sintattici sono aboliti. Non tutto è numero.

A volte i nostri pensieri si traducono in parole, forse per un'abitudine a costruire successioni sintattiche, per un'esigenza di ordine e razionalizzazione che estragga dal flusso di coscienza dei significati comprensibili, ma è nella nebbia fluttuante ed inafferrabile del pre-linguaggio che abitano le intuizioni, le illuminazioni. Quando esse sono verbalizzate, la loro aura arcana e sibillina si perde, come la fotografia di un magnifico paesaggio rende appena la bellezza della natura, cancellando fragranze, suoni e sensazioni tattili.

Così comprendiamo che la vera comunicazione è affidata ad una partecipazione intima, ad un colloquio empatico (ipercomunicazione come comunione con sé stessi nell'apparente alterità): appare una capacità perduta, la capacità di ascoltare voci provenienti dagli abissi della notte e dai profondi antri del cosmo.

Ormai il linguaggio è del tutto degenerato, ridotto a strumento per strumentalizzazioni: la lingua contemporanea che forse più ha risentito di tale disfacimento è l’inglese in cui si continuano a perdere, nonostante la ricchezza del lessico, distinzioni e sfumature. Un esempio per tutti: l’uso del numero 4 con il valore della preposizione "for", dacché il suono dei due termini è molto simile. È simile, ma non identico e l’annichilazione di questa lieve differenza è il segno piccolissimo, ma eloquente di un declino. E’ solo una sfumatura, quasi impercettibile, ma le sfumature sono tutto.

[1] Si veda la categoria Linguistica

Articolo correlato: F. Lamendola, Contro Galilei, 2009


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9 commenti:

  1. Siccome la mente non è né localizzata nella testa e tanto meno è un epifenomeno del cervello, può usare le aree deputate al linguaggio, per esempio, secondo predisposizione e location della persona. Gli orientali insieme ai sudamericani hanno maggiore familiarità col formulare i pensieri attraverso immagini, al contrario di noi europei, che pensiamo con le parole in genere. Già questa diversificazione del meccanismo del linguaggio rimanda ad epoche antichissime, antidiluviane probabilmente. La sede stessa del linguaggio, secondo i neurofisiologi, l'area di Broca (non perdere la brocca, si suol dire) si situa secondo le latitudini, le aree appunto geografiche, come una intima corrispondenza tra cervello e luogo/logos. Il DNA è una forma cristallina che riflette una idea extrasomatica, quindi non crea elementi né li programma, essi provengono ex novo da altrove, nel senzatempo dell'essere.
    Forse farnetico, mi si è rotta l'area di Broca?
    Angelo Ciccarella

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  2. Osservazioni puntuali e che condivido, Angelo. Infatti sono lungi da concezioni biologiste e materialiste: lo stesso D.N.A. è un trait d'union verso l'altrove.

    A proposito di linguaggio e di codici, mi viene in mente che la lingua degli Aymarà è reputata dai glottologi come un idioma creato a tavolino, notevolmente formalizzato forse per via di un influsso esterno. E' tema ricco di addentellati con il nostro passato, alla confluenza tra filogenesi ed ontogenesi.

    Ciao e grazie.

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  3. Molto vero quello che dici sull' ayamara, cè chi lo paragona addirittura ad un linguaggio di programmazione per computer..

    Per il resto, Gibran ha sintetizzato molto bene il discorso nel "Il Profeta":

    --
    Voi parlare quanto avere perduto la pace con i vostri pensieri.

    E quando non potete più sopportare la solitudine del cuore voi vivete sulle labbra, e il suono vi è di svago e passatempo.

    E molte delle vostre parole quasi uccidono il pensiero.

    Poiché il pensiero è un uccello leggero che in una gabbia di parole può spiegare le ali, ma non prendere il volo.

    Tra voi vi sono quelli che cercano uomini loquaci per timore di restare soli.

    Il silenzio della solitudine mette a nudo il loro essere, ed essi vorrebbero fuggirlo.

    E vi sono quelli che, senza consapevolezza o prudenza, parlano di verità che non comprendono.

    E quelli invece che non comprendono.

    E quelli invece che hanno dentro di sé la verità, ma non la esprimono in parole.

    Nel loro petto lo spirito dimora in armonioso silenzio.

    Quando per strada i sulla piazza del mercato incontrate un amico, lasciate che lo spirito vi muova le labbra e vi guidi la lingua.

    Lasciate che la voce della vostra voce parli all’orecchio del suo orecchio;

    Poiché custodirà nell’anima la verità del vostro cuore come si ricorda il sapore del vino.

    Quando il colore è dimenticato e la coppa è perduta.

    Anche in questo caso ho percepito il solito pensiero elementare, primario e comune: Pericolo… fuggire più qualche altra vibrazione disarmonica che si è presto confusa con l’oratoria sottile delle piante e nel lento ansimare del suolo.
    --

    Ciao Zret.

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  4. Ciao llsk.

    Donnie, sarebbe interessante indagare anche il linguaggio silenzioso delle piante. Sono state scritte delle riflessioni sul tema, ma si potrebbe approfondire.

    La pagina di Gibran che hai gentilmente riportato è in sintonia con quanto sentiamo.

    Ciao e grazie.

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  5. Tacere è una buona abitudine che non tutti conoscono oppure semplicemente non la applicano.
    Così di frequente si è costretti ad udire idiozie d'ogni genere e più o meno gravi; vengono in mente appunto disinformatori, politici, cioè la schiera di "benpensanti" anche bravi nei discorsi (non tutti, alcuni strascicano le parole) ma che poi sanno dare solo pessimi esempi. La lista è lunga ma lasciamoli ai loro destini.
    Sono d'accordo con quello che esprimi, caro Zret, e con quanto riportato da Francesco Lamendola sul suo articolo.
    Alla scienza farebbe davvero comodo se si smettesse di fare entrare nella propria vita l'arte vera, quella che viene da dentro e che tinge di colore i giorni che ci accingiamo a vivere, di sicuro i meno felici dell'esistenza umana. La musica e la poesia, solo per citarne due tra quelli nominati (e l'amore, che è pur sempre un'arte) hanno un'incredibile risonanza interiore, senza la quale, probabilmente, ci saremmo già spenti da un pezzo.
    La scienza di per sè non è in grado di evocare nulla, per quanto ingegnata possa essere, e così gli scienziati incalliti.
    Ciao

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  6. Ginger, "L'albero si vede dai frutti". Quali sono i frutti di questa scienza scientista e divoratrice del pianeta? Le armi, soprattutto e la tecnologia per il controllo. Né si può dimenticare l'albagia degli scienziati che si ergono a dèi, annunciando che tutto è numero. Folle dogma. Ha ragione il prof. Lamendola a vedere in Galiliei i germi della perversione scientista che hanno contagiato quasi tutta l'umanità. Il suo articolo si abbina anche ad una riflessione che intitolai Adversus Galileum.

    L'arte, la musica, la bellezza, l'armonia, anche quando si basano su rapporti numerici, li trascendono e li trasfigurano.

    "La scienza di per sè non è in grado di evocare nulla".

    Concordo. Infine, come asseriva Tesla," la scienza senza coscienza è depravazione".

    Ciao e grazie.

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  7. L'Autore le cui osservazioni sono contenute in conferenze raccolte col titolo IL MISTERO DEL DOPPIO (il cui studio , grazie alla vostra segnalazione,riempie una lacuna della mia cultura)mette in rilievo che il carattere proprio alla scienza moderna sia appunto quello di sviluppare, in chi la accoglie, una condizione animmica,tale da non permettere piu' all' anima,dopo la vita , di abbandonare la sfera terrestre , per divenire cosi' centro distruttivo preda occasionalmente dell' azione di negromanti e satanisti: una scienza, aggiunge l' Autore in parola,evidenziata, fra l' altro, da somma pedanteria....

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  8. Jacolliot, credo di condividere l'analisi di Steiner sulla scienza degenere e degenerata. Sulla scienza e sull'umanismo ha scritto pagine dense anche Heidegger.

    Ciao e grazie.

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