Nel saggio “La società aperta ed i suoi nemici”, il filosofo austriaco Karl Popper esamina i concetti di totalitarismo e di democrazia. Egli intende focalizzare l'irriducibile antitesi tra una società organizzata, secondo rigide norme di comportamento e fondata su un controllo soffocante della collettività, ed una società basata sulla tutela della libertà dei cittadini, mediante istituzioni democratiche perfettibili, aperte alla critica razionale ed a proposte di riforma. La posizione anti-totalitaria del pensatore si concreta in una dottrina della democrazia, secondo cui questa forma di governo è funzionale non solo quando il potere appartiene al popolo (alla maggioranza), ma anche se i governati hanno la possibilità di licenziare i governanti, mediante sistemi strategici come le elezioni (sic) e senza ricorrere alla violenza.
Popper si domanda non tanto chi debba esercitare il potere, ma "come possiamo organizzare le istituzioni politiche in modo che i governanti cattivi o incompetenti non causino troppi danni." La riflessione politica dell'autore si incardina poi su altri principi: una costituzione democratica deve escludere il tipo di cambiamento che può mettere a repentaglio il suo intrinseco carattere; in una democrazia l'integrale protezione delle minoranze non deve estendersi a coloro che trasgrediscono la legge e che incitano al rovesciamento violento dello stato; la democrazia è suscettibile di miglioramenti attraverso le riforme.
Quanto delineato dal filosofo pare essere più la descrizione delle apparenze democratiche che un'analisi del sistema. In verità, benché le riflessioni svolte da Popper (qui compendiate) siano nel complesso condivisibili, si avvertono la sconvolgente superficialità e la banalità del discorso. Egli, infatti, scambia per democrazia i regimi che, nella migliore delle ipotesi, sono di stampo plutocratico e, cieco di fronte alla struttura degli apparati, si limita ad avallare l'esistente, le entità pseudo-democratiche. E' come se si scambiasse un edificio di cartapesta usato in una scenografia teatrale, per un edificio vero e proprio, persuasi di potervi abitare.
Vero è che rispetto agli esecutivi totalitari che Popper ha in mente (il regime nazionalsocialista e quello stalinista), le istituzioni occidentali sembrano volte a sancire e valorizzare alcuni diritti, ma questa è solo una vernice, poiché lo stato "democratico" è tirannico, sebbene sub specie libertatis, almeno quanto i vituperati sistemi affermatisi tra le due guerre. Espressione della più sfacciata ipocrisia, la compagine "democratica" schiaccia i cittadini in nome dell'eguaglianza, li irretisce in una vischiosa ragnatela di leggi, norme, regole, codicilli... La legge - Popper sembra non accorgersene, disconoscendo l'arma a doppio taglio del sistema giuridico - è lo strumento con cui lo stato strazia i deboli e legittima i delitti dei potenti, sempre impuniti. La legge (stabilita e promulgata secondo la volontà di potenza di un'oligarchia nascosta) si incarna nella giustizia delle corti, tribunali dell'inquisizione più feroce, e nelle carceri, luoghi di tortura in cui languono per lo più gli innocenti o ladri di polli.
L'intervento del potere nella vita dei cittadini, giustamente deplorato da Popper, se diventa eccessivo (ma dov'è situato il confine tra misura e dismisura?), accresce fatalmente l'influsso dello stato sul singolo sino a stritolarlo. In fondo, tutto quell'assurdo groviglio di spine normative che dilania il cittadino artigiano o piccolo imprenditore, lungi dall'avere meri fini di accertamento e prelievo fiscale, è concepito come vero supplizio psicologico, a base di scadenze, di controlli, di sanzioni, di processi.
Attualmente lo stato "democratico", con i pretesti più vari, sta partorendo una serie infinita di disposizioni fino a punire i "reati" di opinione. Il dissenso, la critica, l'opposizione non sono ammessi. Certo, gli apparati dei paesi occidentali, di solito, non ricorrono alla coercizione, ma a metodi più raffinati ed obliqui per imporre il loro dominio. Tuttavia bisogna convincersi che “stato democratico” è un ossimoro, una contraddizione in termini. Nessuno stato, quale manifestazione di un'oppressione legalizzata e, per così dire, "costituzionale", può essere democratico.
L'errore di Popper (e di molti altri), frutto di una visione allucinata ed utopica, risiede almeno nell'ingenuità della sua disamina, nell'ignoranza totale delle vere forze che determinano gli sviluppi storico-politici, nella fiducia in riforme che sono stravolgimenti, nella concezione orizzontale dei fenomeni diacronici e sincronici.
Avverte l'autore: "Se allentiamo la nostra vigilanza e se non rafforziamo le nostre istituzioni democratiche nel momento stesso in cui conferiamo maggior potere allo stato mediante la pianificazione interventista, possiamo perdere la nostra libertà e, se la libertà è perduta, tutto è perduto."
Purtroppo la tanto decantata libertà era già perduta quando Popper scriveva, poiché essa era ed oggi sempre più è solo lo slogan del dispotismo dal volto "umano".
Popper si domanda non tanto chi debba esercitare il potere, ma "come possiamo organizzare le istituzioni politiche in modo che i governanti cattivi o incompetenti non causino troppi danni." La riflessione politica dell'autore si incardina poi su altri principi: una costituzione democratica deve escludere il tipo di cambiamento che può mettere a repentaglio il suo intrinseco carattere; in una democrazia l'integrale protezione delle minoranze non deve estendersi a coloro che trasgrediscono la legge e che incitano al rovesciamento violento dello stato; la democrazia è suscettibile di miglioramenti attraverso le riforme.
Quanto delineato dal filosofo pare essere più la descrizione delle apparenze democratiche che un'analisi del sistema. In verità, benché le riflessioni svolte da Popper (qui compendiate) siano nel complesso condivisibili, si avvertono la sconvolgente superficialità e la banalità del discorso. Egli, infatti, scambia per democrazia i regimi che, nella migliore delle ipotesi, sono di stampo plutocratico e, cieco di fronte alla struttura degli apparati, si limita ad avallare l'esistente, le entità pseudo-democratiche. E' come se si scambiasse un edificio di cartapesta usato in una scenografia teatrale, per un edificio vero e proprio, persuasi di potervi abitare.
Vero è che rispetto agli esecutivi totalitari che Popper ha in mente (il regime nazionalsocialista e quello stalinista), le istituzioni occidentali sembrano volte a sancire e valorizzare alcuni diritti, ma questa è solo una vernice, poiché lo stato "democratico" è tirannico, sebbene sub specie libertatis, almeno quanto i vituperati sistemi affermatisi tra le due guerre. Espressione della più sfacciata ipocrisia, la compagine "democratica" schiaccia i cittadini in nome dell'eguaglianza, li irretisce in una vischiosa ragnatela di leggi, norme, regole, codicilli... La legge - Popper sembra non accorgersene, disconoscendo l'arma a doppio taglio del sistema giuridico - è lo strumento con cui lo stato strazia i deboli e legittima i delitti dei potenti, sempre impuniti. La legge (stabilita e promulgata secondo la volontà di potenza di un'oligarchia nascosta) si incarna nella giustizia delle corti, tribunali dell'inquisizione più feroce, e nelle carceri, luoghi di tortura in cui languono per lo più gli innocenti o ladri di polli.
L'intervento del potere nella vita dei cittadini, giustamente deplorato da Popper, se diventa eccessivo (ma dov'è situato il confine tra misura e dismisura?), accresce fatalmente l'influsso dello stato sul singolo sino a stritolarlo. In fondo, tutto quell'assurdo groviglio di spine normative che dilania il cittadino artigiano o piccolo imprenditore, lungi dall'avere meri fini di accertamento e prelievo fiscale, è concepito come vero supplizio psicologico, a base di scadenze, di controlli, di sanzioni, di processi.
Attualmente lo stato "democratico", con i pretesti più vari, sta partorendo una serie infinita di disposizioni fino a punire i "reati" di opinione. Il dissenso, la critica, l'opposizione non sono ammessi. Certo, gli apparati dei paesi occidentali, di solito, non ricorrono alla coercizione, ma a metodi più raffinati ed obliqui per imporre il loro dominio. Tuttavia bisogna convincersi che “stato democratico” è un ossimoro, una contraddizione in termini. Nessuno stato, quale manifestazione di un'oppressione legalizzata e, per così dire, "costituzionale", può essere democratico.
L'errore di Popper (e di molti altri), frutto di una visione allucinata ed utopica, risiede almeno nell'ingenuità della sua disamina, nell'ignoranza totale delle vere forze che determinano gli sviluppi storico-politici, nella fiducia in riforme che sono stravolgimenti, nella concezione orizzontale dei fenomeni diacronici e sincronici.
Avverte l'autore: "Se allentiamo la nostra vigilanza e se non rafforziamo le nostre istituzioni democratiche nel momento stesso in cui conferiamo maggior potere allo stato mediante la pianificazione interventista, possiamo perdere la nostra libertà e, se la libertà è perduta, tutto è perduto."
Purtroppo la tanto decantata libertà era già perduta quando Popper scriveva, poiché essa era ed oggi sempre più è solo lo slogan del dispotismo dal volto "umano".