“Cosmo” - dal greco kòsmos - significa “ordine”, eppure se contempliamo dalla terra un angolo di universo in una notte limpida, più che restare ammirati per l’armonia con cui le costellazioni trapuntano il firmamento, siamo presi dalla vertigine, quasi dall'angoscia.
Astri, galassie, nebulose, ammassi…: se potessimo veleggiare lungo i meandri intersiderali, il senso di stupefazione che proviamo dinanzi alla notte stellata si accentuerebbe sino a tramortirci. Si è che la bellezza dell’universo è spaventevole ed i fenomeni che occorrono negli "interminati spazi" hanno alcunché di terribile nella loro grandiosità: ora nasce una stella, ora un corpo celeste deflagra, ora un buco nero divora la luce; qui glauchi pianeti, là cadaveri di astri…
Si ha l’impressione che il cosmo sia un gigantesco diorama, un sogno rutilante sognato da chissà chi. Può apparire paradossale, ma questo spettacolo mirabile e sublime più che lasciare intuire una presenza divina, ci getta nella più abissale solitudine, ricordandoci la nostra piccolezza di esseri aggrappati ad un piccolo, insignificante atomo che ruota nell’infinito.
E’ il mare dove Leopardi “naufraga” dolcemente, la dimensione in cui Tommaseo scorge l’impronta della Provvidenza e, di converso, Pascoli avverte solo un glaciale silenzio.
L’infinito, però, è anche in un granello di sabbia o in una goccia d’acqua. L’infinito si espande nell’anima che inspira, con un brivido, l’eco del tempo e dell’eterno.
APOCALISSI ALIENE: il libro