La vita della nostra epoca sembra condannata all’inautenticità.
Le relazioni umane all’interno dei nuclei familiari e specialmente negli ambienti di lavoro sono improntate a convenzionalità: la cortesia sovente, quando non cela invidie e competizione, si congela in uno scambio formale di frasi fatte.
Il tempo è fagocitato da incombenze tanto onerose quanti inutili a tal punto che non ce ne resta per vivere e per essere. Nel passato brevi esistenze erano bruciate dal fuoco della creazione: poeti, artisti, filosofi infiammavano di ispirazione gli orizzonti, oggi inceneriti da una nebbia grigia ed uniforme. Essi sapevano trasformare la cronaca della vita in épos: in un dipinto di Caravaggio un banale brano di realtà assurge ad emblema, con l’istante che si traspone nell’atemporalità.
Ha ragione Heidegger quando suggerisce che il significato più profondo del mondo non si annida nella scienza, ma nella genesi poetica, nella potenza del linguaggio simbolico. Attualmente, però, la pletora di parole (sempre il filosofo tedesco le bolla come “chiacchiere”) è sinonimo di incomunicabilità il cui cristallo freddo e perentorio non sappiamo neppure incrinare.
Il nostro percorso è un’odissea senza grandezza: come Ulisse siamo lontani dalla patria, ma non siamo consci di essere separati da Itaca. I viaggi attraverso mari burrascosi e terre incognite sono movimenti senza meta e senza senso. Nessuno ci attende nella “petrosa isola”; noi stessi non attendiamo più alcuno né alcunché.
I pochi che ancora cercano l’autenticità non riescono ad identificarla con qualcosa di definito. E’ comunque un privilegio non conoscere che cosa manchi, ma avvertire la necessità di riempire il vuoto, l’esigenza di tradurre l’assenza in presenza.
Le relazioni umane all’interno dei nuclei familiari e specialmente negli ambienti di lavoro sono improntate a convenzionalità: la cortesia sovente, quando non cela invidie e competizione, si congela in uno scambio formale di frasi fatte.
Il tempo è fagocitato da incombenze tanto onerose quanti inutili a tal punto che non ce ne resta per vivere e per essere. Nel passato brevi esistenze erano bruciate dal fuoco della creazione: poeti, artisti, filosofi infiammavano di ispirazione gli orizzonti, oggi inceneriti da una nebbia grigia ed uniforme. Essi sapevano trasformare la cronaca della vita in épos: in un dipinto di Caravaggio un banale brano di realtà assurge ad emblema, con l’istante che si traspone nell’atemporalità.
Ha ragione Heidegger quando suggerisce che il significato più profondo del mondo non si annida nella scienza, ma nella genesi poetica, nella potenza del linguaggio simbolico. Attualmente, però, la pletora di parole (sempre il filosofo tedesco le bolla come “chiacchiere”) è sinonimo di incomunicabilità il cui cristallo freddo e perentorio non sappiamo neppure incrinare.
Il nostro percorso è un’odissea senza grandezza: come Ulisse siamo lontani dalla patria, ma non siamo consci di essere separati da Itaca. I viaggi attraverso mari burrascosi e terre incognite sono movimenti senza meta e senza senso. Nessuno ci attende nella “petrosa isola”; noi stessi non attendiamo più alcuno né alcunché.
I pochi che ancora cercano l’autenticità non riescono ad identificarla con qualcosa di definito. E’ comunque un privilegio non conoscere che cosa manchi, ma avvertire la necessità di riempire il vuoto, l’esigenza di tradurre l’assenza in presenza.
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La condanna all'inautenticita' è un dono lasciatoci da cinema e televisione.
RispondiEliminaTutti alla rincorsa del sogno americano, paesi di tutto il mondo che gettano nel cestino antiche tradizioni e l'identità dei popoli in favore della globalizzazione.
Virtuoso è colui che ottiene una moltitudine di like, mentre le persone vere vengono emarginate.
La nostra odissea differisce da quella di Ulisse per il fatto che noi navighiamo a gonfie vele alla ricerca del canto delle sirene.
Sagge quanto amare parole, amico.
EliminaCi sfracelleremo sugli scogli, contenti di sfracellarci.
Ciao
Parafrasando banalmente antichi versi, aggiungo che il naufragar ci è dolce
RispondiEliminaBeati quelli che, come minimo, si pongono il problema... (Ciao Zret :) )
RispondiEliminaBella e tragicamente vera l'analogia con Ulisse, naufrago a se stesso. Per dirla con ironia: siamo stati naufragati, veleggiamo senza bussola ed ormai anche senza vento. Ciao
RispondiEliminaMolto peggio dell'Ulisse di Joyce.
RispondiEliminaCiao a tutti.