08 gennaio, 2017

“Hunger games” tra denuncia ed acquiescenza al sistema



E’ famosa, soprattutto fra le nuove generazioni, la pellicola “Hunger games” per la regia di Gary Ross (2012), trasposizione dell’omonima saga scaturita dalla penna di Suzanne Collins.

“Hunger games” descrive una società distopica in cui un’élite di ricchi smidollati soggioga dodici distretti dove vive una popolazione ridotta in miseria. La classe dirigente, che vive in una città supertecnologica e corrusca, ogni anno organizza, a commemorazione di un tumulto sedato nel sangue, una lotteria culminante in una lotta mortale tra ventiquattro giovani, uno per ciascun distretto. [1]

La produzione ha quasi sempre incontrato il consenso sia del pubblico sia della critica, nonostante lo schematismo di certi espedienti narrativi, già visti (e letti) in altre opere del sottogenere fantascientifico-distopico. Ci pare che, da un punto di vista artistico, i pregi maggiori del film risiedano nella fotografia rutilante e nella recitazione, in grado di bilanciare una regia ed una sceneggiatura di taglio talora piattamente televisivo.

Sotto il profilo ideologico, “Hunger games” spicca per l’icastica rappresentazione del ceto al potere: è formato da individui fatui, sciocchi, dall’identità sessuale ambigua. E’ il ritratto perfetto della società prossima ventura con una classe di potenti impotenti, di oziosi alla frenetica ricerca di piaceri: la loro stessa crudeltà è scintillante di lustrini e di frivolezze.

Fondamentale è il ruolo che assume la tecnologia nel mondo di “Hunger games”: impianti sottocutanei per la localizzazione, ologrammi, droni, videosorveglianza globale… il film squaderna una serie di ritrovati, molti dei quali appartengono già ai nostri tempi tecnocratici. Con questo scenario futuribile stride, in un’efficace dissonanza, l’atmosfera decadente da Basso Impero: ormai l’”umanità” che tiene le leve del comando è ebbra di sangue, sfatta, satura di noiosi divertimenti.

La pellicola è stata letta ora come denuncia dei piani orchestrati dai fautori del Nuovo ordine mondiale ora come esempio di programmazione predittiva. Ci pare che "Hunger games" si situi in una zona di penombra tra critica ed acquiescenza: purtroppo adolescenti e giovani si sono appassionati alle peripezie, soprattutto sentimentali, degli eroi, Katniss e Peeta, più che riconoscere i cenni alle insidie di una propaganda deviante. Esiste il rischio di staccare dalla produzione il romanzo d’avventura, isolandolo dalle valenze critiche che, pur blande, non sono irrilevanti. Il rischio maggiore, però, è un altro: che la realtà prospettata in “Hunger games”, a base di emozioni effimere ma intense, di una tecnologia seducente, anche se coercitiva, sia considerata desiderabile.

L’opposizione al sistema pare ormai utopica, non per la debolezza di chi lo avversa, ma per la forza ed il convincimento con cui molti lo accolgono.

[1] In questa breve recensione ci riferiamo solo al primo episodio del ciclo narrativo.

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