A nostro avviso, erra chi pensa che il ritorno ad una concezione geocentrica potrebbe restituire dignità all’uomo di oggi smarrito in un cosmo senza un fulcro. Il ruolo dell’essere umano dipende forse dall’ubicazione del pianeta su cui vive? Che importa! Blaise Pascal ci ricorda che la nostra grandezza è nella coscienza della nostra fragilità. Che la Terra sia il perno dell’universo o uno dei miliardi fra i pianeti dispersi negli spazi siderali, qual è la differenza? La solitudine ed il disorientamento sono consustanziali alla coscienza. Anzi, la magnanimità si manifesta quanto più si è consapevoli della propria piccolezza, una piccolezza che è sprone a superare i confini ed a volgere lo sguardo verso le stelle.
La Terra è solo un granello di sabbia delle sconfinate galassie lambite dall’oceano celeste? Che importa! Non sono né il tempo né lo spazio a definire la sublimità, bensì il pensiero, la capacità creativa, l’anima… se ne sono rimasti anche solo dei pallidi simulacri.
Purtroppo le concezioni materialiste sono difficili da sradicare al punto che esse tendono ad allignare pure in quei terreni che dovrebbero essere fecondati da ben altri umori. Si scivola dal geocentrismo nell’antropocentrismo, inteso come superba egomania, come ipertrofia di un ego piccolo, piccolo.
Ben diversa è la lezione dei filosofi del Rinascimento: l’uomo può abbrutirsi, assecondando le pulsioni e l’hybris, o può rendersi simile agli angeli, qualora tenti di innalzare il suo spirito. Gli angeli, a differenza di quanto volgarizzato da certo cinema e certa letteratura, non sono inferiori all’uomo, perché incorporei: la corporeità è un limite posto affinché sia trasceso.
Le ragioni per cui oggi l’essere umano pare perduto, precipitato in un abisso nerissimo non dipendono da visioni cosmologiche o da teorie scientifiche: sono ben più profonde, di ordine storico e metafisico. Che quasi nessuno sia consapevole della spaventosa caduta è la prova provata della caduta.
La Terra è solo un granello di sabbia delle sconfinate galassie lambite dall’oceano celeste? Che importa! Non sono né il tempo né lo spazio a definire la sublimità, bensì il pensiero, la capacità creativa, l’anima… se ne sono rimasti anche solo dei pallidi simulacri.
Purtroppo le concezioni materialiste sono difficili da sradicare al punto che esse tendono ad allignare pure in quei terreni che dovrebbero essere fecondati da ben altri umori. Si scivola dal geocentrismo nell’antropocentrismo, inteso come superba egomania, come ipertrofia di un ego piccolo, piccolo.
Ben diversa è la lezione dei filosofi del Rinascimento: l’uomo può abbrutirsi, assecondando le pulsioni e l’hybris, o può rendersi simile agli angeli, qualora tenti di innalzare il suo spirito. Gli angeli, a differenza di quanto volgarizzato da certo cinema e certa letteratura, non sono inferiori all’uomo, perché incorporei: la corporeità è un limite posto affinché sia trasceso.
Le ragioni per cui oggi l’essere umano pare perduto, precipitato in un abisso nerissimo non dipendono da visioni cosmologiche o da teorie scientifiche: sono ben più profonde, di ordine storico e metafisico. Che quasi nessuno sia consapevole della spaventosa caduta è la prova provata della caduta.
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